Solo per una notte: recensione del film con Jeanne Balibar

Jeanne Balibar è la meravigliosa protagonista di Solo per una notte, il film diretto da Maxime Rappaz che racconta la storia di una donna lacerata dal conflitto tra dovere e passione.

Jeanne Balibar è la carne, lo spirito e il senso, sfuggente, magnetico e contraddittorio, dell’interessante opera prima dello svizzero Maxime Rappaz. Si chiama Solo per una notte e nelle sale italiane arriva il 12 dicembre 2024 per una distribuzione Wanted Cinema. Minimalista, intelligente e laconico, il film nasconde un incendio di sentimenti e volontà inespresse dietro l’eleganza un po’ fuori dal tempo della messa in scena e il detto non detto della protagonista. Dice poco e fa ancora meno, in scena, Jeanne Balibar, ma c’è un oceano di intenzioni e significati camuffati in fondo alla sua reticenza e a un senso del dovere spinto a estremi esasperanti. Una donna che ama, ama così tanto che forse è troppo, e la vita e la felicità le sfuggono di mano, fino a un incontro provvidenziale che fa a pezzi la fragile trama di routine e responsabilità opprimenti. Completano il cast Thomas Sarbacher e Pierre-Antoine Dubey.

Solo per una notte: una personalità congelata e l’imprevisto che sconvolge tutto

Solo Per Una Notte cinematographe.it

Il conflitto tra passione e dovere attraversa una donna e la sua complessa – frequentemente disattesa, non solo al cinema – interiorità. Solo per una notte cerca di abbattere gli steccati e i pregiudizi che offuscano la percezione e la costruzione del genere con uno sguardo largo, larghissimo, sulla femminilità, non fermandosi alle apparenze e accogliendo le contraddizioni con maturità e coraggio. La vita di Claudine (Jeanne Balibar) è un muro di apparenze incastrate un mattoncino dopo l’altro in una vita di desideri negati e amore opprimente. Vive con il figlio Baptiste (Pierre-Antoine Dubey) a due passi dalla diga della Grande Dixence nel Cantone Vallese, Svizzera sud-occidentale. La diga trattiene un impressionante parete d’acqua. Intorno, tutto è ghiaccio e neve, promessa di un risveglio dei sensi dal torpore di un inverno che è più di una stagione, è uno stato mentale.

Maxime Rappaz lega l’interiorità e l’esteriorità della protagonista valorizzando il potenziale drammatico di cose, corpi e ambienti, intonando il paesaggio intimo del personaggio di Jeanne Balibar alle forme del mondo che la circonda. Non potrebbe vivere altrove, Claudine, con il ghiaccio dentro e una diga emotiva a bloccarne una necessaria, ma fin qui tradita, emancipazione. Da una vita si prende cura del figlio affetto da disabilità, il padre non c’è e non è previsto un ritorno, nell’immediato. Claudine fa la sarta e si concede una sola via di fuga da una vita consacrata all’amore e al senso di responsabilità: ogni martedì raggiunge l’elegante albergo vicino casa, sceglie un turista, possibilmente straniero perché altrimenti il gioco non funzionerebbe, si concede una veloce avventura e poi via, fino alla prossima occasione. Strappa agli amanti passeggeri informazioni sulla vita e il posto da cui vengono e le rielabora in lettere fittizie che legge al figlio illudendolo che arrivino dal padre assente.

Claudine ha seppellito la sua promessa di felicità dietro una parete di amore incondizionato e una castrante attitudine al sacrificio. Cerca di resistere circondandosi di squallide routine e sta attenta a non aprirsi troppo, a non concedersi niente di più di un piacere fugace e una luce passeggera. Un giorno, in albergo, conosce Michael (Thomas Sarbacher), ingegnere idraulico che si permette di oltrepassare la cortina di silenzi educati, implacabili occhiate e freddezza emotiva della donna fino a distruggerne, per il meglio s’intende, l’equilibrio interiore. Il gioco di Solo per una notte è semplificare l’intreccio per complicare interiorità e psicologie.

Una protagonista intonata al paesaggio interiore e esteriore del film

Il dove è la Svizzera. Il tempo di Solo per una notte è il 1997 e la morte di Lady Diana – una vera ossessione per Baptiste, che ne ritaglia ogni foto trovata su giornali e riviste – perché, spiega Maxime Rappaz, è il limbo storico a metà strada tra il passato e il presente che serve alla storia. Non troppo lontano, non così vicino, perfetto per riflettere l’ambiguità esistenziale della protagonista e precisare il profilo romanzesco del film. Lo chiede l’eleganza dei temi, delle forme, dei discorsi, che a volte piega la verità del racconto alle logiche di un’esteriorità dolcemente compiaciuta. Per fortuna che c’è la grazia, il carisma e la freddezza incandescente di Jeanne Balibar. La sua interpretazione ha due facce, le cose che dice e che fa, e quelle che pensa; dall’incastro, un piccolo capolavoro di sottrazione, verità a mezza bocca e sentimenti. I gesti e le parole, sottoposti a un’austerità implacabile, Jeanne Balibar li intona d’istinto alla sua enigmatica personalità per raccontare il senso soffocante di sacrificio che avvolge Claudine.

Solo per una notte è, prima, una riflessione su una preziosa frattura interna alla femminilità. Moglie, madre, amante, professionista e non solo, Claudine è una donna scomposta e il dovere che il film si autoimpone è di restituirne la problematicità senza giudizi, colmando le lacune nello sguardo maschile dell’autore lasciando alla protagonista campo libero. Poi, Solo per una notte è la storia dell’annoso conflitto tra passioni e doveri e una riflessione sulla necessità di restaurare l’equilibrio perduto tra egoismo e dono di sé. Claudine interpreta il suo essere madre come un sacrificio senza limiti e così facendo inibisce, senza volerlo o forse no, il suo irrinunciabile diritto alla felicità.

Cronaca di un imprevisto, di un amore e delle sue conseguenze rivoluzionarie. La vita di Claudine va in pezzi e quello che segue non potrà somigliare al passato e non risolverà i conflitti, ma è un passo necessario verso la libertà. Il primo pregio del film di Maxime Rappaz è un’intuizione felice: l’amore incondizionato è anche la più insopportabile delle prigioni. Il secondo pregio, la coerenza interna ed esterna di un film elegante e freddo, ma non gelido; bello il lavoro sull’immagine e sul relativo contenuto, estetico e tematico, da parte del direttore della fotografia Benoit Dervaux. Il terzo, va da sé, è Jeanne Balibar.

Solo per una notte: valutazione e conclusione

Jeanne Balibar fa della sua Claudine un enigma che non ha fretta di sciogliersi e senza traccia di compiacimenti, accettandone e valorizzandone le contraddizioni – il conflitto tra l’amore altruista per il figlio e la volontà di emanciparsi con una felicità commovente e inevitabilmente egoista – nella loro verità emotiva e intima, senza scorciatoie e facili (ipocrite) risoluzioni. Il controllo della performance, il lavoro di sottrazione, il non detto come modalità espressiva, la coerenza tra l’alchimia caratteriale del personaggio – la freddezza e, sotto, il fuoco – e il dna dell’attrice trattengono l’eleganza di Solo per una notte, risparmiando al film l’inciampo di sterili preziosimi.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3

3.2