Cannes 2018 – Sorry Angel: recensione del film di Christophe Honoré
Sorry Angel è un film dalla cornice sfavillante ma dai contenuti piuttosto poveri, un'occasione mancata per un regista che sa sicuramente il fatto suo ma che - in questo caso - ha prestato tutta l'attenzione all'approfondimento della psicologia dei singoli personaggi, trascurando un po' troppo l'apparato narrativo.
Sorry Angel (Plaire, Aimer et Courir Vite), per la regia di Christophe Honoré (Ma mere, Metamorhoses, Quelle Peste de Sofie) si apre su una presentazione dei protagonisti a ritmo di musica, sullo sfondo di una Parigi fredda e distante degli anni ’80, teatro degli amori complicati di uno scrittore di 35 anni, divenuto ancora più ermetico dopo la diagnosi di AIDS e la malattia, ormai terminale, del suo ex ragazzo Marco. Jacques (Pierre Deladonchamps) scrive romanzi in cui riversa la vita che non può più avere, continua ad avere rapporti occasionali ma decide di precludersi la possibilità di vivere un altro amore, avvertendo che i suoi giorni sono destinati a finire a breve.
Fino a quando non incontra Arthur (Vincent Lacoste), un entusiasta studente bretone ventiduenne bisessuale che non vorrebbe porre limiti alla sua relazione con Jacques, nonostante sia al corrente della sua malattia. Sorry Angel narra la sofferenza nel vivere una malattia invincibile e la difficoltà di respingere una passione difficile da arginare, nonostante i tanti limiti oggettivi, indagando nella psicologia dei personaggi senza un esplicito intento comunicativo o allegorico.
Ed è proprio questo che rende il film di Christophe Honoré, al quale nulla si può dire né a livello di qualità tecnica né recitativa, difficile da apprezzare fino in fondo. Nel voler ritrarre sul grande schermo l’ennesima storia di amore e sofferenza, sullo sfondo dell’ombra dell’AIDS, resta difficile comprendere le ragioni di un film che non va oltre una scrittura piuttosto stringata per poter essere efficacemente diluita in una pellicola di oltre 2 ore.
Sorry Angel (Plaire, Aimer et Courir Vite): una storia già vista, caratterizzata da una struttura narrativa debole
Solo l’anno scorso, proprio a Cannes è stato presentato un film dai presupposti simili ma decisamente meglio sviluppati, il bellissimo 120 battiti al minuto di Robin Campillo, in grado di far vivere sulla propria pelle le emozioni e le fatiche quotidiane dei malati di AIDS, alle prese con una lotta attiva verso un governo che rifiuta di prendersi le proprie responsabilità. Sorry Angel sembra un’imitazione impoverita di quest’ultimo, lasciando a fine visione una serie di interrogativi slegati dai significati – fin troppo chiari – ma inerenti alla debolezza dei presupposti, destinati a scivolare verso un finale che non riesce a stravolgere le aspettative, confermando quanto sia difficile empatizzare a fondo con protagonisti le cui dinamiche non poggiano su un contesto solido.
Perché raccontare l’ennesima storia di vita, amore e morte senza sostenerla con un messaggio preciso? Perché scegliere gli anni ’80 come collocazione temporale se poi le vicende non sono in nessun modo collegate al contesto storico? La stessa tematica gay appare in vari punti semplicistica e artificiosa, in una Parigi in cui sembra fin troppo facile incontrarsi e trovarsi, lasciando invece in ombra, ad esempio, l’oggettiva problematica del pregiudizio e delle sue implicazioni.
Fra citazioni cinematografiche e letterarie sparse qua e là, musica incalzante e momenti di piacevole e amara ironia, Sorry Angel resta così un film dalla cornice sfavillante ma dai contenuti piuttosto poveri, un’occasione mancata per un regista che sa sicuramente il fatto suo ma che – in questo caso – ha prestato tutta l’attenzione allo sviluppo della psicologia dei singoli personaggi, trascurando un po’ troppo l’apparato narrativo e lasciando la sensazione dell’assenza di un filo conduttore che permetta allo spettatore di entrare a fondo in dinamiche relazionali che restano poco più che accennate.