Cannes 2019 – Sorry we missed you: recensione del film di Ken Loach
Ken Loach torna a concorrere per la Palma d'oro a Cannes 2019 con Sorry we missed you, racconto della quotidianità di una famiglia socialmente compromessa.
Ken Loach ruggisce ancora forte e chiaro, in Competizione al Festival di Cannes 2019 con Sorry we missed you, una nuova storia dai forti toni sociali e familiari con cui combattere l’alienazione del capitalismo e del lavoro. Ricky e Abbie con molti sforzi riescono a sopravvivere con i loro due figli e a garantirsi una vita dignitosa anche se al limite delle possibilità della tempra umana. Stanco di avere a che fare con datori di lavoro ormai fuori da ogni categoria umana, Ricky decide di provare l’esperienza di lavorare in proprio, pur aderendo a un franchise di corrieri per le consegne a domicilio.
Le regole sono poche e molto rigide, ma le soddisfazioni anche economiche possono arrivare con relativa facilità; il vero problema è far convivere un lavoro che fisicamente porta lontano da casa per moltissime ore con le necessità delle mura domestiche. L’escalation della stanchezza di Ricky e di Abbie, lavoratori indefessi, viene catalizzata dalle intemperanze del figlio adolescente, in piena ribellione a qualsiasi ordine costituito (genitori inclusi) e dai sensi di colpa per non riuscire a dare serenità alla figlia ancora bambina e in cerca di sicurezza da parte di padre e madre.
Sorry we missed you: Ken Loach racconta l’alienazione e la continua rincorsa al lavoro, unica vera priorità della vita moderna
Il lavoro nobilita l’uomo, ma come ben evidenzia Ken Loach in Sorry we missed you il mondo del lavoro che persiste intorno a noi finisce in quasi tutti i casi con il divenire freddo e impassibile di fronte alle sofferenze umane e, più semplicemente, alla necessità di trovare un giusto equilibrio tra quello che realmente può cambiare la vita e la semplice professione. Persino gli affetti familiari vengono messi in crisi da un uomo obnubilato dal bisogno di lavorare e di avere potere economico sufficiente a realizzare quello che socialmente viene ritenuto il minimo indispensabile per una vita felice.
Quella che viene mostrata nel finale non è per niente una vita felice, torna tutto a essere schiavitù in un mondo che con questi ritmi serrati e queste imposizioni sociali non permette di prendere fiato a chi lo vorrebbe fare e non lascia scampo di sopravvivenza a chi inciampa o semplicemente rallenta un attimo per capire cosa fare e cosa vuole dalla vita. La corsa verso una famiglia felice, umile ma potente, incombe su Ricky e sulla sua famiglia, lasciandoli però di fatto fuori da una reale possibilità di compiere questo sogno. Nella situazione, pur speranzosa, in cui si trovano diventa un ostacolo insormontabile persino avere un paio di giorni di ferie durante i quali potersi riavvicinare agli affetti e ai figli, con i quali il rapporto è quanto meno incrinato.
Lo stile di Ken Loach non arretra di un centimetro neanche in Sorry we missed you, anzi continua ad asserire forte e chiaro cosa significa l’alienazione umana e quanto subdolamente si intrufola nelle vite di ognuno. Il bisogno costante e continuo di lavorare, di compiere azioni e di confrontarsi con i modelli imposti fa in modo che resti ben poco della solidarietà fraterna e che il risultato a cui si tende con tanta forza, una volta raggiunto, mostri il suo lato peggiore. Ken Loach persiste nel raccontare il mondo contemporaneo attraverso storie comuni di persone e famiglie altrettanto comuni, partendo dall’ambiente della periferia inglese, la quale continua ad avere un luogo di riguardo nel cinema contemporaneo proprio grazie soprattutto alla sua filmografia.