Sound of Freedom – Il canto della libertà: recensione

Una melodrammatica crociata americana, con Jim Caviezel nel cast.

Jim Cavieziel (La passione di Cristo) torna al cinema per interpretare Tim Ballard, agente governativo che combatte il traffico di minori e la pedofilia. Sound of Freedom – Il canto della libertà racconta la storia vera di un’operazione governativa statunitense contro i trafficanti di esseri umani minorenni, trasformandola in un acerbo action movie con tutti gli occhi puntati sull’eroico protagonista e poca attenzione rimasta per i bambini, vittime marginali di tutta la narrazione.
Negli Stati Uniti è stato il film fenomeno del 2023, in Italia arriva al cinema dal 19 febbraio 2024, distribuito da Dominus Production.

Sound of Freedom: una melodrammatica crociata americana

La storia iniziale viene rappresentata efficacemente nei primi minuti del film, attraverso una fotografia calda e satura, che esalta i contrasti, e una colonna sonora invadente, che riesce a sottolineare i passaggi importanti anche attraverso un rimarchevole silenzio rumoroso. Purtroppo, l’interessante preambolo si rivela un mero pretesto per introdurre l’eroe e seguirne da vicino le epiche gesta.

Più che la tragica realtà dei bambini, vittime inermi dei trafficanti, Monteverde sembra volerci raccontare l’eroica odissea di Tim Ballard (Jim Cavieziel), tipico eroe americano: bianco, biondo, bello, con una famiglia numerosissima e una moglie devota. I cattivi sono tutti brutti e ripugnanti, immediatamente identificabili come il male contro cui combattere. Ballard invece è di bell’aspetto, circondato da personaggi affascinanti, come Paul, oppure da pentiti redenti che abbracciano la causa, come Vampiro.

Ballard si trasforma continuamente per raggiungere il glorificante finale. Nelle scene iniziali sembra liquidare l’arresto del pedofilo con freddezza e distacco professionale, per poi scoppiare in lacrime nell’ufficio del capo chiedendogli il permesso di condurre un’operazione speciale per salvare due bambini, i protagonisti delle scene iniziali. Qui comincia la sua metamorfosi.
Dopo 12 anni di servizio, si rende improvvisamente conto che quei minori hanno un nome, un volto e una famiglia. Decide quindi di recuperarne due. Alla domanda del perché si sia impegnato in questa missione di salvataggio risponde: Perché i figli di Dio non sono in vendita. Ecco il profeta salvatore, un crociato del ventunesimo secolo che salva bambini innocenti in nome di Dio.

Dal secondo atto in poi, il film si trasforma in un action movie, a tratti sconfinante nel buddy movie grazie alla complicità di Bill Camp nei panni di Vampiro, in un mal riuscito mix tra 007, Mission Impossible e Narcos.
Dei film con James Bond ed Ethan Hunt cerca di riprendere gli ingegnosi piani per smascherare i cattivi, con location esclusive, lusso e bluff sul filo del rasoio. Di Narcos tenta invece di recuperare i toni, soprattutto nel terzo atto ambientato nella giungla colombiana. Fallisce su entrambi i fronti: i momenti di spiegazione dei piani sono al limite del comico, con messinscene deboli e poco credibili; la parte nella giungla è stereotipata, con i narcos ridotti a cliché ridicolizzati.
In questa parte finale Tim si trasforma ancora una volta, da crociato a capitano Willard di Apocalypse Now, capace di risalire il fiume, infiltrarsi nell’accampamento criminale e salvare la bambina prigioniera, tutto da solo.

Del supereroe in stile cinecomics Tim Ballard ha tutto: l’aspetto, la storia, la trasformazione e l’arco narrativo. Lo vediamo allenarsi di corsa, cambiare outfit per mascherarsi (due volte), ed essere insignito di un nuovo nome, Timoteo, dal fratello della bambina da salvare.
I toni sono altisonanti, melensi, retorici e ridondanti. Ballard agisce in nome di Dio, come un moderno Captain America che si erge da solo contro il male. Proprio come Steve Rogers, Timoteo rifiuta le armi e si traveste da medico, infiltrandosi disarmato nell’accampamento dei narcos.

Sound of Freedom – Il canto della libertà: valutazione e conclusione

Sound of Freedom non è la storia delle vittime ma l’esaltazione dell’eroe, in una melodrammatica epopea che risulta quasi parodia di genere.

I personaggi sono bidimensionali. Gli attori cercano di districarsi tra dialoghi banali e didascalici e svolte narrative scontate e prevedibili. Anche laddove gli snodi del racconto confermano le previsioni non si dimostrano comunque all’altezza delle aspettative.
Una nota di merito va data alla fotografia, che in alcune sequenze riesce ad essere incisiva e risolleva spesso l’andamento generale del film, distogliendo l’attenzione dalla recitazione ostentata e dalla debole sceneggiatura.
Anche i titoli di testa sono interessanti, presentando in sequenza le riprese delle telecamere di sorveglianza che mostrano i rapimenti veri perpetrati dai trafficanti, ponendo lo spettatore in una condizione di angosciante attesa che purtroppo viene però delusa.
Unica geniale intuizione è la scena post credits, annunciata da un countdown durante i titoli di coda, in cui compare Jim Caviezel rivolgendosi direttamente al pubblico, con una preghiera di massima diffusione del film, invitando gli spettatori ad offrire il biglietto a chi non può permetterselo per ampliare il più possibile il bacino di utenza.

Una trovata di marketing non convenzionale decisamente efficace, visto il successo commerciale del film: 250 milioni di dollari di incasso a fronte dei 14,5 di budget iniziale.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 3
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.2