Source Code: la recensione del film con Jake Gyllenhaal
In Source Code la componente fantascientifica funge da sfondo a un racconto intimo e profondo, in cui a farla da padrona è l'eccellente caratterizzazione dei personaggi principali.
Source Code è un film di fantascienza di Duncan Jones del 2011, con protagonisti Jake Gyllenhaal, Vera Farmiga e Michelle Monaghan. A fronte di un budget di circa 32 milioni di euro, la pellicola è riuscita a incassare poco meno di 150 milioni di dollari in tutto il mondo, ricevendo anche un ampio consenso da parte della critica.
Il Capitano Colter Stevens (Jake Gyllenhaal), reduce da una missione in Afghanistan, si ritrova bordo di un treno diretto a Chicago, senza ricordi del suo recente passato. Pochi secondi dopo la scoperta che agli occhi degli altri appare come l’insegnante Sean Fentress, Colter viene coinvolto insieme al resto dei passeggeri nell’esplosione del treno, dovuta a un ordigno piazzato a bordo.
Il veterano si risveglia immobilizzato in una sorta di avveniristica capsula, dove apprende da Carol Goodwin (Vera Farmiga) di trovarsi all’interno di un segretissimo piano antiterroristico ideato dal Dr. Rutledge (Jeffrey Wright), chiamato Source Code. Il Source Code permette all’utente di rivivere in una realtà alternativa gli ultimi 8 minuti di vita di una persona deceduta. Attraverso la ripetizione di questi minuti, il compito di Stevens è quello di individuare e bloccare il terrorista, impedendogli così di realizzare il suo successivo obiettivo: il lancio di una bomba nucleare su Chicago.
Source Code: ritrovare se stessi nella continua ripetizione
Dopo il convincente esordio con Moon, il figlio di David Bowie Duncan Jones stupisce nuovamente con un’altra pellicola in cui la componente fantascientifica funge da sfondo a un racconto intimo e profondo, in cui a farla da padrona è l’eccellente caratterizzazione dei personaggi principali. Il regista britannico evita la trappola di appesantire eccessivamente la narrazione con tecnicismi e lezioni teoriche, scegliendo la strada di rilasciare poche informazioni e in maniera armoniosa e graduale.
Il risultato è un film che trova il perfetto bilanciamento fra azione, fantascienza, thriller, mistero e una spruzzata di romanticismo, senza mai perdere coerenza e solidità e schivando abilmente la potenziale ripetitività degli 8 minuti rivissuti continuamente dal protagonista.
Jake Gyllenhaal centra l’ennesima grande prova della sua carriera, scavando a fondo in un personaggio che ha alcuni punti di contatto con quello del Sam Rockwell del già citato Moon: entrambi vivono infatti circondati dalla massima espressione della tecnologia, ma sono fondamentalmente abbandonati a loro stessi e afflitti da uno stato di perenne alienazione e confusione, derivante dalla sovrapposizione di più piani di realtà.
La star americana riesce così ad aiutare lo spettatore a immergersi in una storia straordinaria ma fatta di persone ed emozioni comuni, vere e riconoscibili. La necessità di ricominciare continuamente da capo il proprio compito da parte del protagonista e la sua mancanza di punti di riferimento diventano così una chiara e al tempo stesso acuta metafora della condizione umana, in continuo mutamento e in perenne balia del fato e della fortuna.
Source Code: cinema popolare che sa intrattenere e toccare le corde del cuore
Più che al plot di Ricomincio da capo o a quello del più recente Déjà vu – Corsa contro il tempo, Source Code si rifà alla fantascienza vecchio stampo, quella di serie televisive come Ai confini della realtà e In viaggio nel tempo (il cameo vocale di Scott Bakula nella parte finale della pellicola è un omaggio esplicito in tal senso) o delle opere letterarie di Philip K. Dick, riprendendone la volontà di spingersi verso i confini della conoscenza per ritrovare l’umanità più autentica e fragile. Nonostante qualche debolezza a livello di trama e alcune concessioni al sentimentalismo nella parte finale, il film riesce a mantenere sempre alto il ritmo, chiudendo concretamente il cerchio della storia ma lasciando anche il necessario all’interpretazione e alla riflessione.
Buona prova anche per quanto riguarda Michelle Monaghan, il cui personaggio è l’unico appiglio di Colter durante i suoi viaggi nella realtà alternativa, mentre risulta più statica e meno espressiva del solito Vera Farmiga, condizionata anche dalla rigidità del proprio personaggio. Duncan Jones si dimostra sempre a proprio agio in ogni situazione, variando abilmente toni e registri narrativi a seconda del particolare momento del film. Qualche perplessità a livello tecnico invece per gli effetti speciali in stile videogame della prima parte della pellicola e per le non indimenticabili musiche di Chris Bacon.
Source Code è il cinema popolare (e nello specifico fantascientifico) che vorremo sempre vedere, capace di intrattenere ma allo stesso tempo anche di fare riflettere e di toccare le corde del cuore, grazie soprattutto all’invidiabile padronanza del mezzo cinematografico di Duncan Jones, figlio d’arte destinato a lasciare il segno nel mondo della settima arte ancora per tanti anni a venire.