Spaccaossa: recensione del film di Vincenzo Pirrotta
Spaccaossa manda in frantumi l'anima servendosi di un cast tecnico e artistico impeccabile e di una storia brutale.
È un ciclo dei vinti, quello che Vincenzo Pirrotta ci spiattella in faccia con Spaccaossa: un pugno allo stomaco che ci lascia rantolare al suolo e meditare sul lato marcio della società, il liquame della quale diviene combustibile utile a far partire l’idea di una storia. Questa storia. Che è quella consumatasi realmente nella periferia palermitana e venuta a galla sui notiziari nell’agosto 2018; raccolta da Vincenzo Pirrotta e Ignazio Rosato, che l’hanno eletta a soggetto di un’opera cinematografica, consacrata in fase di sceneggiatura dal contributo di Salvo Ficarra e Valentino Picone, che insieme al duo precedentemente citato hanno lavorato alla sceneggiatura al fine di elaborare una storia dagli angoli taglienti.
Spaccaossa: il ciclo dei vinti di Vincenzo Pirrotta
Ricamando il titolo la pellicola si inerpica così nelle azioni di un gruppo di malavitosi che raccatta disperati disposti a farsi mutilare pur di ricevere i soldi dalle assicurazioni. Chi recluta (Vincenzo, interpretato dallo stesso Pirrotta), chi crea falsi incidenti (Francesco, a cui presta il volto Ninni Bruschetta), chi esegue materialmente le mutilazioni (il Fasulina di Maziar Firouzi), chi si occupa della burocrazia (il Michele di Giovanni Calcagno), chi si lascia adescare in questa trappola, sia che sia indebitato come Machinetta (Luigi Lo Cascio) o Mimmo (Filippo Luna), sia che voglia semplicemente festeggiare la Prima Comunione della figlia.
Interamente recitato il dialetto siciliano, Spaccaossa si rifugia nella criptolalia di una lingua che non conosce la coniugazione del futuro e, col cinema pasoliniano a fare da guida, intesse a trame strette un racconto fatto di disperazione, miseria e riscatto fasullo in cui i personaggi sembrano muoversi sulla lastra della letteratura verista di stampo verghiano, quasi a voler rimarcare che, al netto dei tempi e a ragion di lingua, il futuro in certi anfratti del Bel Paese sembra proprio non voler esistere.
Si respira quella cappa della Provvidenza (che nei Promessi Sposi manzoniani risolve, qui invece butta solo fumo negli occhi), distillata in litanie che abbracciano l’intero minutaggio irrorandoci i timpani con le musiche originali di Alessio Bondì, Fabio Rizzo e Aki Spadaro: sinfonie vecchie messe in bocca ai giovani per rimarcare l’attaccamento viscerale e incontrastabile a un presente che puzza di passato, parole intonate che si intersecano con le filastrocche sacre ripetute a memoria da una vecchia signora. La preghiera fa ombra a un mondo spietato, tenta invano di esorcizzare le cattive azioni, ma rimane sempre sul fondo e sullo sfondo, come tutto ciò che di bello ci potrebbe essere.
Sacro e profano, dolore e meraviglia: la misura di una storia senza lieto fine
L’intera pellicola si piega a questa logica secondo la quale la meraviglia è sempre distante, il dolore invece ci assale, ci si appiccica addosso. Vincenzo Pirrotta, che con Spaccaossa debutta alla regia cinematografica, immette anche sul grande schermo la sua lunga formazione teatrale, restituendoci uno sguardo privo di luce persino nei momenti in cui potrebbe esserci: il cibo di strada, la perfezione architettonica di una chiesa al centro di Palermo; sono cose a cui non abituarsi, a cui non far caso, il lato gradevole di una città che in questo contesto si presenta nella sua veste più meschina va appuntato ma non trattenuto. Dobbiamo invece tatuare, nei bulbi oculari, la cattiveria umana, seguire la via crucis di questi corpi senza anima che la fotografia di Daniele Ciprì immortala drasticamente, tratteggiandone i contorni.
Vincenzo Pirrotta sottolinea l’omertà e la bassezza culturale, acuisce il dolore lasciandolo implodere in un grido soffocato o in una porta sbattuta in faccia, precludendoci la visione dei dettagli e in tal maniera amplificandoli. Gli uomini eseguono la spaccatura delle ossa o la subiscono, le donne, invece, puntellano la grammatica di una società retrograda, definendo le cime di un paesaggio montuoso impossibile da valicare.
Nei volti delle protagoniste di Spaccaossa si dipingono tutte le possibilità dell’essere donna in una società annientata dal maschilismo e dalla sete di potere. C’è Maria, la rassegnata moglie di
Francesco, a cui Simona Malato dona tutta la compassione umana che il suo personaggio prova per quelle anime dannate, segregate nella sua dimora fino al riscatto del premio assicurativo; lei è la fortezza umana, ma fragile, costretta a obbedire agli ordini e a stare al gioco. Tanto Maria, moglie del carnefice, quanto la Patrizia di Rossella Leone, la moglie della vittima (Mimmo), restano a penzoloni nel bilancio matrimoniale e, seppur trattate in modo differente, a entrambe non resta che assistere alla tragedia, unendosi inesorabilmente a quel coro disperato e rimanendo, di fatto, come ai margini della narrazione.
Il ruolo delle donne Spaccaossa
Altro ruolo tocca invece alla talentuosa Selene Caramazza, che si veste di fragilità per interpretare Luisa, una ragazza tossicodipendente nei cui occhi si scorge, a un certo punto, una palese voglia di riscatto. Legata sentimentalmente a Vincenzo, sarà lei stessa vittima della “spaccatura”, invischiata in una decisione lacerante e dolorosa che la lascerà annegare verso l’irreparabile. Se Luisa è apparentemente forte e ribelle, nelle sue vene scorre la solitudine più assoluta e ogni suo passo, ogni sua scelta, sembra confermarle che non ha speranza di voltare pagina. È figlia dispersa, sorella respinta, utente (del centro di disintossicazione) derisa e, come in un triangolo perfettamente bilanciato, Luisa rappresenta nella vita di Vincenzo un ipotetico passo avanti verso la vita, l’amore, il bene che si è in grado di fare. Peccato però che a falciarlo sia proprio l’altro punto focale della sua vita, quella madre anziana incarnata da Aurora Quattrocchi che, sotto l’aura della debolezza fisica, cela un’astuta perfidia assumendo le caratteristiche umane di una madre matrigna, che prima accoglie in casa una povera sventurata e poi spinge il figlio affinché la sacrifichi.
Le donne, in Spaccaossa, è come se chiudessero un immaginario cerchio dei vinti, vomitando sulla stoffa del fato azioni che potrebbero rivoluzionare, se non il mondo, la loro condizione. Ma non c’è nessun lieto fine, in questa terra lontana dai riflettori in cui Dio resta solo imbrattato di preghiere, senza elargire miracoli. A tutti spetta di morire, realmente o in senso figurato, crocifissi a un destino che spacca parimenti le illusioni.
Presentato alle Giornate degli Autori e nelle sale italiane dal 24 novembre 2022, distribuito da Luce Cinecittà, il film prodotto da Attilio De Razza e Nicola Picone per Tramp Limited, con Rai Cinema (con il contributo di: Regione Siciliana-Assessorato Turismo Sport e Spettacolo, Sicilia Film Commission, MiC- Direzione generale cinema e audiovisivo, Agenzia per la Coesione Territoriale, Sensi Contemporanei) è un’opera che manda in frantumi l’anima: dura, realisticamente pessimista, scevra di facili pietismi, artisticamente ossimorica; resta in quel confine tra sacro e profano, tra le prediche imbevute di redenzione e le azioni intrise di brutale perversione.