Spaceman: recensione del film Netflix con Adam Sandler
Fantascienza esistenziale nella space-opera diretta da Johan Renck e interpretata da Adam Sandler, che dopo la presentazione alla 74ª Berlinale è approdata su Netflix dal 1° marzo 2024.
Sono trascorsi appena una decina di giorni dalla première mondiale alla 74ª edizione della Berlinale e per Spaceman è già tempo, senza neppure un passaggio nelle sale, di fare il suo debutto in piattaforma, per la precisione quella di Netflix che ha deciso di rilasciarlo il 1° marzo 2024 probabilmente per cavalcare l’onda mediatica della prestigiosa anteprima alla kermesse tedesca. Strategie distributive a parte, il film diretto da Johan Renck (noto anche con lo pseudonimo di Stakka Bo) è l’adattamento cinematografico del romanzo del 2017 Spaceman of Bohemia, scritto da Jaroslav Kalfa ed edito in Italia da Guanda con il titolo Il cosmonauta. Ed è con questa trasposizione che il cineasta svedese ha voluto fare il suo ritorno al lungometraggio a distanza di sedici anni dall’esordio con Downloading Nancy, al quale sono seguite le regie di episodi di numerose serie di successo tra cui Breaking Bad, The Walking Dead, Vikings e Chernobyl. Decisamente un bel modo questo di mantenersi in allenamento per un autore che con i suddetti show ha tenuto incollati alle poltrone milioni di spettatori a tutte le latitudini. Il ché non ha fatto altro che creare non poche aspettative nei confronti di questo suo secondo lungometraggio, dopo che il primo all’epoca non aveva raccolto i risultati desiderati. Un motivo in più per riprovarci con una pellicola che, rimanendo nel recinto dei generi, gli ha consentito di passare dal thriller alla fantascienza per raccontare un’odissea umana ed esistenziale nello spazio più profondo.
Spaceman è l’adattamento cinematografico del romanzo Spaceman of Bohemia di Jaroslav Kalfa
L’odissea in questione è quella vissuta nel corso di una missione solitaria dall’astronauta della Repubblica Ceca Jakub Procházka che da 189 giorni naviga nello spazio per esplorare una misteriosa nube ai confini della galassia. Missione che lo ha portato lontano anni luce dalla Terra e da sua moglie Lenka che rimasta incinta avrebbe maturato la dolorosa decisione di interrompere la loro relazione. In un momento di disperazione, riceve un inaspettato sostegno da Hanus, una creatura aliena che si nasconde nelle viscere dell’astronave. Nel tempo lunghissimo che passano insieme, l’uomo cerca di capire che cosa è andato storto e come fare per riconquistare la donna che ama. Viene da sé che quella narrata è una vera e propria space-opera che si addentra nel tortuoso e complesso territorio della fantascienza esistenziale, che vede il protagonista di turno fare i conti prima ancora che con i pericoli dello spazio con i grandi dilemmi e i traumi del passato, parlando con un ragno alieno gigante dalla saggezza antica, senza nemmeno essere sicuro che la creatura sia reale o il frutto della sua immaginazione.
Spaceman è il viaggio di un uomo nel proprio universo interiore dai densi significati simbolici che elevano la Sci-Fi a qualcosa di più alto intellettualmente
Quello che va in scena è dunque un viaggio di un uomo nel proprio universo interiore dai densi significati simbolici che elevano la Sci-Fi a qualcosa di più alto intellettualmente e concettualmente strutturato, così come era stato per molte altre pellicole di livello superiore come Arrival, Contact, Gravity, Interstellar e Moon. Ed in quest’ultimo che Spaceman si riflette maggiormente per approccio, modus operandi e DNA narrativo e drammaturgico, con il magnetico film di Duncan Jones che appare il modello al quale il collega scandinavo sembra avere fatto riferimento e forse prima di lui l’autore del libro. Le assonanze con la pellicola del 2009 sono piuttosto evidenti a cominciare dal plot che vedeva l’impiegato alienato interpretato da Sam Rockwell, lasciato solo con i suoi pensieri nello spazio desolato della Luna ad estrarre energia dalle rocce incontrare se stesso. Se al doppio del protagonista andiamo a sostituire un ragno peloso gigante con la voce profonda di Paul Dano (motivo per cui consigliamo vivamente la visione in lingua originale), la sostanza di fatto non cambia. Anche in Spaceman si materializza sullo schermo un faccia a faccia tra un uomo e una manifestazione altra della propria coscienza con e attraverso la quale condividere paure, disperazione e sensi di colpa tanto personali quanto ereditati dal padre. Nel tempo sospeso della missione spaziale s’incrociano desideri, paure, dolori, tracce del passato infangato dalle colpe di chi lo ha preceduto e che è stato informatore e torturatore durante il regime comunista. Da qui un racconto che si sviluppa nell’arco di una lunga seduta analitica di auto-introspezione affrontata da un individuo sospeso nel nulla e in piena crisi emotiva, chiamato a fare i conti con il suo essere stato e con il suo essere ora.
Protagonista assoluto di Spaceman è un convincente ed emotivamente coinvolto Adam Sandler sempre più votato a ruoli impegnativi e meno leggeri
Tutto questo “magma” incandescente che si riversa nel plot, alimentato a getto continuo da flashback onirici, surrealismo poetico, domande emblematiche e saggezza millenaria, da una parte permette all’opera di attrarre uno spettatore più esigente che non si accontenta di una fantascienza più terra terra, dall’altra toglie originalità a un progetto che in termini narrativi ha come abbiamo potuto constatare precedenti decisamente più convincenti. Spaceman dice molto, ma nulla che non sia stato già detto e ridetto da chi ha voluto confrontarsi tempo addietro con le medesime tematiche universali e dal peso specifico rilevante come quelle che si possono ritrovare qui. Al netto di tutto questo, l’opera in questione e chi l’ha diretta non ha avuto però timori reverenziali, assumendosi i rischi del caso nel richiamarle in cause. Con un bagaglio così ingombrante sulle spalle, aiutato da un Adam Sandler convincente e sempre più votato a ruoli impegnativi e meno leggeri che ne certificano il cambio di rotta, Renck porta a casa un film assai complesso che merita una visione poiché capace di regalare spunti di riflessione e un flusso di emozioni cangianti.
Spaceman: valutazione e conclusione
Per il suo ritorno al lungometraggio dopo i successi nelle produzioni seriali, Johan Renck ha scelto di puntare sulla fantascienza esistenziale realizzando l’adattamento cinematografico del romanzo Spaceman of Bohemia di Jaroslav Kalfa. Il risultato è una space-opera che affronta temi universali, complessi e dal peso specifico rilevante attraverso un faccia a faccia tra un uomo e la sua coscienza che ha preso le sembianze di un ragno gigante dalla saggezza millenaria alla quale presta la voce Paul Dano. Motivo per cui si consiglia alla versione doppiata quella originale, anche per apprezzare il one-man-show di un Adam Sandler sempre più impegnato e attorialmente maturo nei panni del protagonista. È lui a caricarsi sulle spalle un film che nella trama non ha nulla di inedito da offrire se si pensano alle non poche somiglianze con Moon di Duncan Jones, ma che ha tanto da dare da un punto di vista emotivo, riflessivo e simbolico. La confezione tecnica e la regia sono entrambe di buona qualità, ma a fare la differenza in termini esperienziali per quanto concerne la fruizione sono le musiche e l’audio avvolgente del sound design.