Speak No Evil: recensione del thriller-horror con James McAvoy
Accettare un invito dagli sconosciuti potrebbe non essere la cosa più giusta da fare. Speak No Evil, Con James McAvoy, Scott Nairy e Mackenzie Davis, in sala l'11 settembre 2024, è un rifacimento dell'omonimo horror danese del 2022.
Non c’è bisogno di aver visto l’originale danese del 2022 per capire – sentire, è meglio, il cinema è un fatto essenzialmente emotivo – Speak No Evil. Però aiuta. Il film, regia di James Watkins e con James McAvoy, Mackenzie Davis, Scoot McNairy e Aisling Franciosi, arriva nelle sale italiane l’11 settembre 2024 per Universal Pictures International Italy. È l’ultima offerta, in ordine di tempo, della Blumhouse Production, la casa di produzione di Scappa – Get Out e L’uomo invisibile. Thriller psicologico-horror dal carattere fluido – non è facile capire dove finisca l’uno e cominci l’altro – e piuttosto libero nel rapporto con l’originale. Si chiamava anche quello Speak No Evil (solo da noi però, in patria in Danimarca invece Gæsterne) e la parola remake non è la più appropriata, per questa seconda versione; corretta, ma non così precisa. Meglio parlare di rielaborazione e ricostruzione di spunti e temi a partire dalla sceneggiatura di Christian (anche regista) e Mads Tafdrup. Per struttura, dinamiche psicologiche e, in qualche caso, ambientazione, i due film si equivalgono. Non è abbastanza per una perfetta simmetria. Speak No Evil (2024) ha i suoi interessi, le sue piste da seguire e un surplus di temi.
Speak No Evil: l’incontro tra due famiglie agli antipodi e un invito che sarebbe meglio rifiutare
Una tensione sotterranea e impalpabile percorre Speak No Evil. A un certo punto, però, le cose cambiano e l’ambiguità lascia spazio a un orrore dai contorni molto più netti. Il film comincia, come l’originale, in un elegante resort in Toscana. Due famiglie a confronto, accostate in modo che ciascuna sia, contemporaneamente, riflesso speculare e negazione dell’altra. C’è la famiglia americana – sul punto di cominciare una nuova vita a Londra, chissà perché – composta da mamma Louise (Mackenzie Davis), papà Ben (Scoot McNairy) e la loro unica figlia, Agnes (Alix West Lefler). Di fronte, gli inglesi Paddy (James McAvoy), Ciara (Aisling Franciosi) e Ant (Dan Hough), che ha un problema a comunicare e per questo, spiegano i genitori, ha un’aria così triste e non socializza con nessuno. Gli inglesi sono rumorosi, senza freno e un po’ volgari. Gli americani educati, progressisti e incredibilmente repressi.
C’è potenziale per un certo tipo di commedia, la parodia, la satira appena accennata di attitudini agli antipodi e molto contemporanee – il populismo accattivante di Paddy vs. la pescetariana e ultra borghese Louise – ma il film vuole andare oltre. Non c’è una ragione logica – Hitchock diceva, a ragione, che la logica è ottusa – per cui le due famiglie dovrebbero socializzare. Ma lo fanno, sarà per via dell’irresistibile attrazione degli opposti. Paddy e Ciara invitano Ben, Louise e Agnes a trascorrere un po’ di tempo da loro, nella rustica (eufemismo) casa in cui passano la maggior parte del tempo, da qualche parte nella campagna inglese. La premessa di Speak No Evil è degna di una bella fiaba horror: non accettare inviti dagli sconosciuti.
Ad attrarre Ben e Louise è l’apparente libertà (anche sessuale) di Paddy e Ciara e una sorta di viscerale sintonia con l’ambiente che li circonda: ne sono immediatamente attratti e anche un po’ disgustati. Un’ambivalenza si riflette sul tono della storia – che è quello del thriller psicologico – mentre monta una tensione destinata a deflagrare in qualcos’altro, l’horror claustrofobico e opprimente, anche molto violento. Decisivi nella ricerca della verità i più giovani: a differenza dell’originale, i ragazzi hanno un ruolo e un protagonismo – soprattutto lui – inedito. È il legame che si forma tra Agnes e Ant che porta al livello successivo il film. Svelandone il cuore segreto, non necessariamente il tema più importante ma quello che definisce e raccoglie gli altri: il sogno, l’illusione della famiglia perfetta. È la più vistosa differenza tra Speak No Evil e il suo diretto predecessore. E la ragione per cui, nonostante le eccellenti caratterizzazioni e l’elettricità nervosa che lo attraversa, questo remake “ribelle” e riluttante a essere la copia carbone dell’altro, convince un po’ meno.
Thriller, prima che horror
Finiscono apparentemente nello stesso modo, con la stessa inquadratura – niente spoiler – e una dinamica-narrativa psicologica simile. Il resto è diverso, molto, quasi capovolto. È da rimarcare lo sforzo di James Watkins, che dirige il film dopo averlo anche sceneggiato, di non impigrirsi sul materiale preesistente. Il suo Speak No Evil è altra cosa rispetto al predecessore e l’intenzione di “aggredire” la fonte, senza appiattirsi ma rinnovandola dall’interno, tradisce un senso del cinema, se non autoriale, maturo. Ma il cinema non è solo questione di buone intenzioni (anche apprezzabili, è questo il caso) ma anche di resa, di risultati concreti.
Speak No Evil ha il tempo di indagare sulle psicologie; approfondisce, rifinisce, allarga, completa. Ci fa intuire le ragioni della freddezza tra la coppia di invitati americani Mackenzie Davis e Scoot McNairy. E scopriamo qualcosa anche sui traumi e gli oscuri moventi degli altri,. Aisling Franciosi e James McAvoy hanno il compito insieme più ingrato e gratificante, perché mettono in moto la storia ma devono rifinire ossessivamente le rispettive caratterizzazioni per sconfinare nell’eccesso cartoonesco e nell’implausibilità pura. Per quanto Paddy e Ciara vivano un mondo popolato di incubi, deve esserci comunque un background emotivo a sorreggerne e “giustificarne” le azioni, anche le più forti. Il film risponde alla chiamata scavando nel loro rapporto, per mostrarne inaspettate contraddizioni.
Gæsterne era un horror-thriller coltivato su un senso di sorda minaccia pronto a esplodere, senza preavviso, in un finale di terrificante implacabilità – lasciate ogni speranza, cominciava così vero? – costruito su una rilettura ironica delle dinamiche di potere dietro ogni relazione umana (cosa siamo disposti a sopportare pur di compiacere gli altri?). Un colossale incontro-scontro tra due stili di vita contrapposti: uno anestetizzato, civile e progredito, l’altro più libero ma senza freni a controllarne gli impulsi. Speak No Evil aggiunge un discorso familiare in linea con molto cinema commerciale contemporaneo e ribalta la prospettiva nei rapporti tra generi. Nella galleria di shock fisici che costellano il finale ha la meglio l’horror violento, ma prima – e per gran parte del tempo – l’etichetta è di thriller psicologico costruito su una tensione accennata, via via più forte. Più preciso nei meccanismi narrativi e scrupoloso nella messa in scena, al punto di togliere qualcosa alla sincerità dell’emozione, Speak No Evil è una fantasia thriller horror pregevole ma meno incisiva dell’originale. Non nasconde la sua natura spettacolare e così facendo ammorbidisce la paura, perché la colloca sul piano degli incubi (cinematografici) e non riesce a infonderle abbastanza realismo.
Speak No Evil: valutazione e conclusione
Speak No Evil è un terreno ideale per coltivare l’estro sopra le righe e la fisicità di James McAvoy, che regala a Paddy un’intensità e una fame animalesca. È il senso del film fatto personaggio, la contrapposizione tra due mondi, uno viscerale ma squilibrato e l’altro tecnologicamente all’avanguardia, sobrio ma dannatamente represso. A un livello superiore vanno situate la battaglia tra famiglie e la guerra di sottomissione sociale che ne arricchiscono il bagaglio tematico; è raro trovare un horror così pronto a condividere la sua complessità con il pubblico. Vivrebbe meglio senza il fantasma dell’originale a incalzarlo ma è inevitabile fare confronti proprio perché James Watkins ha avuto il coraggio di intervenire sul materiale di partenza, cercando di appropriarsene. La cura dei dettagli un po’ lo tradisce, ne disinnesca la paura, in favore di una tensione costruita in maniera pregevole ma meno dirompente.