Spider-Man: Across the Spider-Verse: recensione del film d’animazione
Spider-Man: Across the Spider-Verse arriva nelle sale italiane il primo giugno 2023 per raccontarci ancora una volta di Miles Morales, Gwen Stacy, Peter B. Parker (e non solo) alle prese con i misteri del multiverso.
Può un film deludere un pochino, restando comunque fantastico? In qualità di seguito di un celebrato gioiellino d’animazione supereroistica, Spider-Man: Across the Spider-Verse fa esattamente tutto quello che ci si aspetta da un secondo capitolo: più lungo (2 ore e 20), più colorato, più caotico – non è necessariamente un male – moltiplica gli ambienti, accosta una nuova pattuglia di personaggi agli storici, tenta di armonizzare al meglio che può (è abbastanza) scavo psicologico e architettura tematica, più articolata rispetto al primo film. Che si chiamava, era il 2018, Spider-Man – Un nuovo universo, in inglese Spider-Man: Into the Spider-Verse. Il seguito del 2023, regia di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson, sceneggiatura di Phil Lord & Christopher Miller e David Callaham, cambia qualcosina della formula.
Non più Into (in, dentro) ma Across (attraverso) lo Spider-Verse. Data per assodata la realtà dei fatti, cioè che ogni storia è soltanto una versione tra le innumerevoli, di un disegno globale e interconnesso, è ora di cominciare a muoversi in lungo e in largo per le autostrade esistenziali del multiverso e rispondere alla domanda delle domande: quanta parte si può riscrivere, di una storia amatissima e conosciuta da tutti? La posta in gioco è la costruzione dell’indentità. Spider-Man: Across the Spider-Verse arriva nelle sale italiane il primo giugno 2023 per Sony Pictures Italia.
Spider-Man: Across the Spider-Verse: tante versioni dello stesso eroe, ma soprattutto Miles e Gwen
Gwen Stacy, alias Spider-Woman, Terra #65 (con i progressivi si arriverà a cifre con molti zeri), stavolta si comincia con lei. La sua storia è in un certo senso un’anomalia, uno dei rari casi in cui la dinamica di base si rovescia, restando uguale. In questo universo qui, infatti, è Peter Parker l’amico indifeso che non si può fare a meno di perdere, mentre a lei tocca indossare il costume. Il grande cambiamento, rispetto al primo film, è che Gwen adesso sa di non essere sola. Conosce l’intrinseca complicatezza del multiverso per averla assaggiata in prima persona. Ha cementato un rapporto di stima e affetto con molti colleghi delle dimensioni adiacenti, ma sembra non bastarle. Continua a sentirsi sola. Al padre poliziotto non racconterebbe la sua verità per tutto l’oro del mondo; conciliare vita privata, vita pubblica e vita segreta si fa sempre più difficile. Una metafora azzeccata di Spider-Man: Across the Spider-Verse spiega bene la situazione di Gwen (e di tutti gli altri e di tutte le altre): la ragazza sa di voler entrare in una band, non sa ancora bene quale.
Crede di aver risolto la questione aggregandosi a una colossale task force di Spider-Man e Spider-Woman impegnati a mantenere la pace e la stabilità nel multiverso. Sono tanti, attrezzatissimi, hanno trovato anche il modo di stabilizzare gli inconvenienti del passaggio da una dimensione all’altra; i fan del primo film lo ricorderanno di certo, era un problema piuttosto grosso. Tira le fila di questa misteriosa comunità di eroi, fondamentalmente gli Avengers che riproducono infinite versioni dello stesso personaggio, il signor Miguel O’Hara. Come Ragno, è muscoloso e non ha per niente senso dell’umorismo. Gwen non riesce a legare molto con lui, per questo sposta la sua attenzione su Jessica Drew, Spider-Woman tostissima e molto informata sul multiverso.
La bizzarria, meglio, l’anomalia, è che in questo calderone di amichevoli ragni di quartiere sembra esserci spazio per tutti, tranne che per Miles Morales. Il nostro, Terra #1610, ha perfezionato il costume, non sta zitto un momento, vorrebbe fare coming out con i genitori, mamma Rio e papà Jefferson (sta per diventare capitano di polizia, congratulazioni), ma gli manca il coraggio. Ignorano la sua doppia vita, perciò faticano a giustificare un comportamento che, non potendo unire i puntini, appare imprevedibile e poco serio. La minaccia più credibile, per Miles, è un cattivo parecchio strano chiamato Macchia. In un modo o nell’altro fa parte del suo passato, è anche il gancio per l’auspicato ricongiungimento. Gwen e Miles si ritrovano perché c’è una minaccia comune da affrontare, di cui Macchia è una parte consistente, ma non esaustiva. Il villain ha capito come destreggiarsi tra i vari piani dimensionali per fare il bello e (principalmente) il cattivo tempo, ma c’è di più. Il problema di Miles, Gwen, Peter B. Parker e di tutto il resto della gang di gemelli diversi, è sia materiale (il multiverso è in grave pericolo), sia filosofico, emotivo, sentimentale.
Il destino dell’eroe, già scritto o tutto da scrivere?
Esteriormente, è la ricetta standard, per il cinecomic sia pure d’animazione. Tizi in calzamaglia dal passato burrascoso che compiono acrobazie spettacolari per le più nobili ragioni, centrifugando azione esagerata, umorismo e sentimento. La famiglia al centro di tutto, grandi poteri, grandi responsabilità, risate. Spider-Man: Across the Spider- Verse, proprio come il predecessore, complica meravigliosamente il quadro fingendo di fare le stesse cose degli altri, allo stesso modo. Sfruttando il salto inter-dimensionale come espediente per valorizzare le mille angolazioni e la potenza visiva di un’animazione superba, dosando con fluidità il discorso progressista (diversità, accettazione e rappresentazione inclusiva) e delicatamente posandolo sul tessuto della storia; non ce ne accorgiamo, è tutto molto naturale. C’è un limite legale (!) alle cose che si possono raccontare del film.
Si può però dire che il tema dei temi è la costruzione dell’identità dell’eroe, tirato per il costume da due estremi ingombranti, destino e libero arbitrio. La base di ogni storia che si rispetti, dai nostri amici greci di migliaia di anni fa a, beh, tizi mascherati che sparano ragnatele. Il problema di Miles e di tutti gli Spider-Man e Spider-Woman di questo mondo (di tutti i mondi) è che l’armonia del multiverso, questa grande ragnatela che intreccia pianeti diversi, eroi diversi, storie diverse, è assicurata dal ripetersi di un certo tipo di dinamiche, situazioni standard e comuni a tutti gli universi. Hanno a che fare con l’idea della separazione, della perdita, del limite estremo che anche il più grande eroe non può, ragionevolmente, oltrepassare: non si possono salvare tutti. L’interrogativo, insieme morale e narrativo, che Spider-Man: Across the Spider-Verse ha il coraggio di porsi, è il seguente: cosa succede se, all’improvviso, l’eroe sceglie di mettersi di traverso al destino e cerca di diventare Spider-Man ma alle sue condizioni, infischiandosene del canone? Si può realizzare l’impensabile senza compromettere l’equilibrio generale? Miles lo pensa.
Quello che succede, è che il film sorregge le ambizioni estetiche, narrative e spirituali del suo adorabile, imbranato protagonista (e dei compagni di avventura), sostenendone con fervore il bisogno di emancipazione. Finendo però per soccombere un po’, proprio sul finale. Che Spider-Man: Across the Spider-Verse sia solo la prima tappa di un viaggio più lungo e complesso non arriva come una novità, ma una certa fretta con cui il film tronca l’esplorazione di problemi seri e articolati, riproponendo una morale e una dinamica narrativa già viste e già sentite, sembra dare partita vinta al canone, al gioco senza rischi. Smorzando l’originalità di un’operazione che, fino a quel momento, aveva colto nel segno tanto nella forma quanto nella sostanza.
Spider-Man: Across the Spider-Verse: conclusione e valutazione
Per ogni impero che colpisce ancora – il sequel ben fatto che approfondisce il discorso del primo film incupendolo, ma lasciando aperta una porta alla speranza – c’è sempre in agguato un ritorno dello jedi, la parziale delusione che compensa con tanti momenti memorabili la chiara sensazione d’amaro in bocca. Il destino di questo film, lo scriverà il prossimo. Tanti i pregi, un problemino di Spider Man: Across the Spider-Verse è un certo squilibrio nella concezione della struttura narrativa: ci immerge nella storia con tanta disinvoltura, che la sospensione improvvisa in attesa del terzo capitolo sa di frustrazione. La delusione va inquadrata nell’ottica di un lavoro che si pone nettamente al di sopra dello standard del cinecomic moderno, animato o meno. Imperfetto, comunque molto molto valido.