Venezia 77 – Sportin’ Life: recensione del documentario di Abel Ferrara
Recensione di Sportin' Life, il documentario di Abel Ferrara con Willem Dafoe, presentato in anteprima a Venezia 77.
Pochi registi possono rivendicare la coerenza, il coraggio e la fedeltà alla “vecchia scuola” come Abel Ferrara, classe 1951, nato in quel Bronx che è un piccolo pezzo d’Italia nella Grande Mela, e da decenni connesso ad una visione della settima arte e della vita assolutamente uniche e viscerali, che Sportin’ Life celebra in 65 minuti tiratissimi.
Con un cast che verte sostanzialmente su Willem Dafoe (assistito da Cristina Chiriac, Anna Ferrara, Paul Hipp e Joe Delia), il documentario è parte integrante del progetto Self, curato da Anthony Vaccarello, direttore creativo di Saint Laurent, ed incentrato sul rapporto tra artista, arte e società contemporanea.
Quella società che ha avuto in Ferrara, da sempre uno dei cantori più dolenti, cupi e aulici, un vero e proprio outsider integralista, fiero combattente per la causa della sua visione e della sua indipendenza di regista, in un mondo di false firme e falsi autori. Il risultato è (come molti degli ultimi lavori del regista) corposo, pieno di autoreferenzialità e musica, ma anche genuino, senza filtri e di certo non privo di una grande espressività e onestà intellettuale.
Sportin’ Life è un omaggio ad un sodalizio artistico
Pacifico dire che la relazione personale e professionale tra Ferrara e Willem Dafoe, sia il cuore di un documentario che ruota attorno alla visione del cinema, del modo di fare cinema e di concepire l’arte del duo, passato alla storia per quel Cattivo Tenente che a tanti anni di distanza è ancora oggi indicato come un assoluto capolavoro.
Assieme, Dafoe e Ferrara hanno fatto molto altro, ma Sportin’ Life va oltre il cinema, cerca di far comprendere allo spettatore la natura di un rapporto che da artistico diventa personale, scava nelle energie mentali e nervose, nella comune visione prismatica della realtà, del cinema e della musica che parlano di essa. Dafoe, socievole e affettuoso con questo matto dal sangue salernitano, questo istrione che ha reso matti i produttori più scafati e ostici, si è sempre schierato dalla parte degli ultimi, dei rinnegati, dei reietti di una società che ieri come oggi, è maestra nel distruggere chi è al di fuori della norma. E che ha avuto in Abel Ferrara un cronista cinematografico tanto attento, quanto sensibile ed audace.
Tra religione, politica e pandemia
In Sportin’ Life è dato grande spazio alla visione della vita, al rapporto di Ferrara con la religione, con il mondo che cambia, con il cinema che cambia, senza però che venga meno un tentativo di parlarci di questo 2020, di questo Covid-19, dei morti, malati, degli infermieri in lacrime che contano i caduti come al fronte.
Tuttavia, in ultima analisi, questo coniugare i due aspetti (il privato, la confessione artistica da una parte, questo 2020 tragico dall’altra), non si può certo dire che sia molto riuscito, anche per un tono troppo autocelebrativo e allo stesso tempo freddo, non molto empatico, in cui non emerge in realtà, mai un ritratto del Ferrara uomo, solo dell’artista. La voce di chi ne condivide e ne ha condiviso percorso artistico e personale è sostituita da lunghi soliloqui musicali, da Trump e Fauci che si contraddicono, da Ocasio Cortez e dalla Roma in cui vive, senza però che vi sia un reale legame.
Sportin’ Life appare un collage poco armonioso, sovente scontato, purtroppo anche frettoloso in diversi momenti, soprattutto nel finale. Un’occasione persa, un esercizio di stile troppo personale e asettico per risultare interessante, e che rende uno dei registi più importanti della sua generazione, più simile a certi stilisti narcisisti circondati da una corte autocelebrativa, che il Dante cinematografico dei disperati che è stato. Peccato.