Sposa in rosso: recensione della commedia romantica di Gianni Costantino
Fantasia al potere nel film di Gianni Costantino!
Spesso si guarda alle capacità della mente di creare e inventare come a doti residuali, da utilizzare solo in certi settori o nelle “grandi occasioni”; in realtà il “pensiero laterale”, la ricerca creativa di punti di vista alternativi, dovrebbe essere la forma mentis da usare più comunemente per creare opportunità (in una vita che appare spesso senza opportunità). È il modo di vedere le cose che sta a cuore al regista Gianni Costantino, che con il film Sposa in rosso – il suo terzo lungometraggio dopo Ravanello Pallido e e Tuttapposto – racconta, nella forma di una commedia romantica e di “un balletto in equilibrio tra realtà e immaginazione”, un’avventurosa liaison amorosa ma anche qualcosa in più. Perché il film di Costantino, che arriva nei nostri cinema il 4 agosto 2022, adoperando i magici strumenti del linguaggio cinematografico e facendoli assumere i toni più rilassati della commedia, è capace anche di rappresentare un dramma dei nostri giorni come il precariato. Sposa in rosso, la cui sceneggiatura è firmata da Gianni Costantino, Lorenzo Ciorcalo e Francesca Scialanca, è prodotto da Vision Distribution e Fenix Entertainment, e distribuito da Adler Entertainment. Vede nel cast, oltre alla coppia di attori protagonista Sarah Felderbaum-Eduardo Noriega, anche Anna Galiena, Massimo Ghini, Dino Abbrescia, Cristina Donadio, Maurizio Marchetti e Roberta Giarrusso.
Sposa in rosso: due quarantenni precari e privi di prospettive inscenano un finto matrimonio per dividersi i soldi delle buste degli invitati
Il soggetto di questo film, come ci ha spiegato il regista in un’interessante intervista, è nato da “una chiacchierata con una coppia di amici su un loro finto matrimonio per intascare “le buste” dei parenti e riuscire così a dare la “caparra” per comprare un appartamentino a Roma”. La storia vede protagonista la coppia Roberta (Sarah Felberbaum)/ Leòn (Eduardo Noriega); i due si incrociano per caso a Malta. Roberta è una donna indipendente e orgogliosa, ha sempre viaggiato, e ora che è rimasta incinta, senza fidanzato e senza un progetto di vita, fa la guida turistica nell’isola. Incontra casualmente il giornalista spagnolo Leòn; anche lui quarantenne precario. Dopo una rapida successione di bizzarri accadimenti, convince Leòn a sposarla per finta, con l’intento di intascare i soldi delle buste che in Puglia gli invitati regalano agli sposi.
Lo spettatore partecipa alla messa in scena di Gianni Costantino e a quella ideata dal duo Roberta/Leòn – il gatto e la volpe di questa storia avventurosa – che prova a riscattarsi dopo tante cose andate storte. Ma lo fanno attraverso il “fake wedding” (una truffa), riescono a ingannare tutti o quasi tutti. Attorno ai due si muovono diversi personaggi, come la figura centrale di Lucrezia (Anna Galiena), la madre di Roberta, che incarna la tradizione immersa nel mondo contemporaneo: aristocratica-autoritaria-decadente, e, non a caso, viene accostata ironicamente al personaggio immaginario di Norma Desmond, mentre nei ruoli più stravaganti (e complici dei protagonisti) ci sono zia Giada (Cristina Donadio) – costumista teatrale in rotta con la famiglia tradizionalista e figura di riferimento per la nipote – e Giorgio (Massimo Ghini) – un pittoresco fotoreporter, amico e mentore di Leòn – divertito dall’idea di calarsi nel ruolo del finto prete. Ma in tutta questa impresa truffaldina, che ha poco da invidiare alle trame romanzate, non manca il villain che ha l’obiettivo di far naufragare la cerimonia nuziale. Sauro è il Don Rodrigo della situazione, che ha deciso che “questo matrimonio non s’ha da fare, nè domani nè mai!“; il fratello della sposa è convinto che Leòn nasconda un passato compromettente e che il matrimonio sia un espediente architettato dalla sorella per sottrargli l’eredità che gli spetta…
Tutto può succedere se hai fantasia di immaginarlo
Una critica al realismo attraversa tutto il film che, mettendo in discussione il concetto di verità (“tutto è finto/ la verità è sopravvalutata“), esorta a creare “un senso di realtà” attraverso una visione, osando e immaginando. Essere precari vuol dire non avere valore? Basta dire “ti amo” per dimostrare amore? Stare insieme per provare l’esistenza di una relazione autentica? Leòn e Roberta annaspano in uno stato di incertezza lavorativa ed esistenziale. Non avendo ancora trovato la loro strada, finiscono per scontrarsi con la tradizione, con la famiglia e con le aspettative degli altri: con un dover essere che non li rappresenta. Se, nel dipanarsi della storia il fattore economico è scatenante (lei è ricca, ma è andata via di casa quando era giovanissima, e per orgoglio non vuole chiedere più nulla ai genitori); quello identitario provoca più dolore. Chi siamo? Chi avremmo voluto essere?Chi possiamo ancora diventare? I due estranei comprendono che a volte il realismo è sopravvalutato, che la finzione può essere la via per giungere a un’altra verità: è la scoperta a cui si arriva attraverso questa commedia di due ore di durata, che mette tanta carne al fuoco (e sfiora anche i temi dell’immigrazione e della transessualità). Tuttavia, Sposa in rosso è un film che si lascia guardare piacevolmente, in grado di mettere d’accordo sia il pubblico generalista sia quello più esigente; con la sua anima eclettica, con una love story che si alza verso il cielo alla fine (quando tutto sembra perduto), riesce a trasmettere in altri modi, per altri versi, un messaggio di speranza: “tutto può succedere se hai la fantasia di immaginarlo”.