Sputnik: recensione del fanta-horror russo disponibile su RaiPlay
Sputnik di Egor Abramenko è un film piccolo e interessante, un'opera prima che guarda ai cult della fantascienza per trovare una sua identità.
Ogni genere cinematografico ha i suoi dei, le sue norme e cliché. La fantascienza, come l’horror, ha alle spalle cult senza tempo, film che hanno fatto la storia del cinema. Ogni opera derivante, in un modo o nell’altro, ha dovuto fare i conti con quest’ingombrante eredità. Omaggio ed emancipazione, questi i poli sui si sono mossi registi e registe; portando l’asticella da un punto all’altro, abbracciando varie sfumature. È quello che ha fatto Egor Abramenko con Sputnik, la sua opera prima. L’autore russo rielabora i topi del genere per creare qualcosa di personale, quasi intimistico. Dal fanta-horror si sposta ben presto al dramma, al thriller da guerra fredda. Uscito nel 2020, il film arriva in Italia su Rai4 e on demand su RaiPlay.
La base è quella Alien, il mostro che viene dallo spazio profondo, indistruttibile e famelico. La creatura di Sputnik condivide con lo Xenomorfo la necessità di un ospite, di un ventre caldo che lo nutra. Ma Abramenko abbraccia anche un’altra filosofia dell’alieno, perché se nello stampo il film guarda a Ridley Scott, nel senso del mostro guarda al Venom della Marvel; al simbionte. Una creatura in simbiosi con il suo ospite, ognuno dei due dipendente dall’altro. Insomma, l’occhio del regista russo sembra saper cogliere l’essenziale dalla produzione americana di genere. Si potrebbe parlare di mimesi, di imitazione a derivazione nazionale, eppure non è così. A quel punto ogni fantasy sarebbe una brutta copia del Signore degli anelli di Tolkien. Sputnik non è di certo un film perfetto, si perde verso il finale e vive di esigenze, prima fra tutte quella di farsi largo nel mercato internazionale. Eppure, al di là questo, è un ottimo punto di partenza per il regista.
Sputnik: dallo spazio profondo alle cupe stanze di una base militare
Siamo nel 1983, la Orbit IV fa ritorno sulla Terra con i suoi due cosmonauti, Konstantin Veshnyakov (Pyotr Fyodorov) e Kirill Averchenko. Al momento dell’atterraggio vedono una creatura muoversi sulla loro astronave; sul suolo terrestre soltanto Konstantin arriverà vivo, ma non sarà più lo stesso. La dottoressa Tatyana Klimova (Oksana Akinshina) viene reclutata da Colonel Semiradov (Fedor Bondarchuk) per condurre una ricerca sul cosmonauta sopravvissuto. In una base segreta del Kazakistan, Sputnik non racconterà solo l’orrore alieno, ma un periodo storico.
Il tono musicale ricorda molto Arrival di Denis Villeneuve, come la fotografia e l’incontro tra alieno ed essere umano. I due film sono molto distanti tra loro, ma come abbiamo detto Egor Abramenko attinge dal bacino di genere a piene mani. Come un bambino curioso ed entusiasta, disegna con la sua fantasia i “mostri” dell’acquario. La riuscita del film non è solo sua, infatti l’intero cast svolge un buon lavoro di caratterizzazione, prima fra tutti Oksana Akinshina. L’attrice, con l’arco narrativo più completo, dona al suo personaggio la giusta espressione da horror. Perché nella sopravvivenza alla morte e coraggio difronte al pericolo, Tatyana Klimova ricalca i topoi del thriller orrorifico. Viaggia su binari opposti alla Ellen Ripley di Sigourney Weaver, dispiegando una trama più drammatica che adrenalinica da badass girl. Ottimo il feeling con Pyotr Fyodorov, l’attore calza perfettamente le vesti del cosmonauta: frustrato, dolorante, eppure ancora così caparbio.
Un film in tre atti, dove l’ambiente incarna il percorso dei protagonisti
Sputnik può esser visto in un’ottica a tre momenti: apertura, chiusura e di nuova apertura. Il film ha inizio con una scena nello spazio profondo, immenso, oscuro, apparentemente tranquillo. La narrazione si sposta poi negli spazi angusti di una base militare, e qui arriva la chiusura dell’ambiente. Metafora questa di un sistema opprimente, fatto di gerarchie e complotti, restrizioni e ambiguità. L’essere umano non ha più valenza come tale, come singolo, ma come mero esperimento, carne da macello per i successi di una nazione. La libertà è un concetto effimero e che, all’interno di queste stanze, è solo un’illusione. Infine, quando la scelta di non sottostare alle regole e il coraggio di infrangerle porta i protagonisti al di fuori, l’ambiente trova di nuovo apertura; luce contro l’oscurità. Le tematicche dell’eroe e della maternità sono ricorrenti per tutto Sputnik, e dopo un momento di perdita ritorna in bolla alla sua drammaticità; che non è altro quella dell’essere umano. Uomo e donna, Tatyana quanto Konstantin, incarnano entrambi gli aspetti in un gioco senza generi.
Ma veniamo alla parte saliente, l’alieno. Una CGI ottimale e visivamente d’impatto, la creatura si muove nello spazio d’azione in modo fluido. Il velo che separa il reale dalla finzione non si nota quasi mai. Fattore che sembra dipendere da una scelta intelligente, ossia non portare mai troppo vicino il “mostro” agli attori. Una distanza ben calcolata che, come un bravo prestigiatore, non svela mai il trucco. A differenza di un altro film come The Vast of Night che invece celava proprio le creature, e incentrava la tensione proprio sulla loro assenza. Sputnik è un piccolo gioiellino, imperfetto e citazionista come solo la fantascienza può fare; un B++ movie che saprà far felici i fan del genere.