Sr.: recensione del commovente docufilm Netflix di Chris Smith
Sr. è un ultimo e commovente incontro tra un padre e un figlio che, influenzandosi l’un l’altro nel bene e nel male, si confrontano senza esclusione di colpi sulle proprie colpe e sulle conseguenze di un rapporto minato da pericoli, insidie e pessime abitudini, ma che non ha mai messo da parte l’amore.
Prodotto da Team Downey e Library Films e distribuito globalmente su Netflix a partire dal 2 dicembre del 2022, Sr. è il commovente e memorabile documentario biografico sulla vita e la carriera cinematografica di Robert Downey Sr., realizzato con il supporto del figlio, Robert Downey Jr. e differenti personalità dello spettacolo, facenti parte della cerchia d’amicizia del padre, tra cui Alan Arkin, Lawrence Wolf, Norman Lear e Paul Thomas Anderson.
Il Cinema secondo Robert Downey Sr. – Conoscere mio padre
“Mi interessa molto conoscere chi è mio padre nel qui e ora perché nessuno sa quando arriverà il momento. Non sappiamo quanto tempo ci resta insieme”
La voce fuori campo di Robert Downey Jr. riflette malinconicamente sul tempo che è trascorso, quello non più destinato a tornare, perciò inalterabile. Quel tempo che il divo Hollywoodiano rimpiange di non aver vissuto appieno, o diversamente, esplicitando per certi versi il pensiero di non averlo vissuto affatto.
Sullo schermo, dinanzi agli occhi dello spettatore, scorrono alcune immagini di Downey Jr. insieme al padre, chiamato da tutti “Bob” o “Sr.”, e mentre i due sorridono a favor di camera, o in alcuni casi dandole le spalle, o il profilo, non cessano le riflessioni amare e nostalgiche del figlio, capaci di registrare immediatamente quell’esigenza vitale, potente e sincera che ha condotto nel corso di tre anni e poco più, il Team Downey e il giovane regista Chris Smith alla realizzazione di questo memorabile e commovente docu film, ossia il tentativo di una maggior conoscenza del proprio padre, da parte di un figlio per certi versi eternamente tormentato e privo di risposte.
A differenza di molti altri documentari, Sr. permette fin da subito allo spettatore di entrare in contatto diretto con l’oggetto – o in questo caso, soggetto – d’interesse della narrazione, privando la costruzione filmica e scenica di qualsiasi possibile barriera o filtro. Ecco dunque che la camera a mano, tecnica ricorrente nel corso del documentario, fa ingresso insieme al pubblico nella proprietà di Sr. negli Hamptons, dove il figlio Jr è impegnato a divertirsi con i due figlioletti, Exton e Avri Roel, per poi mettersi seduto attorno ad un tavolo, in compagnia del padre e della sua compagna attuale Rosemary Rogers, dando inizio ad una approfondita, amorevole, appassionata, seppur durissima autoanalisi familiare.
Sr. è esattamente questo, una seduta di terapia del Team Downey a cui lo stesso Team Downey ci permette d’aver accesso, privandosi di protezioni e mettendosi totalmente a nudo, in modo da offrirci un quadro estremamente lucido, feroce, nonché profondamente vitale e in definitiva drammatico di ciò che Robert Downey Sr. e Jr. sono stati nel corso della vita, nel loro rapporto padre e figlio, così come nel loro rapporto con il cinema, la passione che è stata capace di unirli e legarli indissolubilmente l’uno all’altro, in quanto appartenenti ad essa fin dal principio, senza tuttavia escludere un altro comune passaggio in ogni sua conseguenza, l’attraversamento del tunnel della droga e in più generale, il periodo della dipendenza.
Tuttavia fin dai primi minuti del docufilm a lui dedicato, Sr. non sembra interessarsi granché a ciò che viene e verrà raccontato sulla sua vita e su quella del figlio nel corso della narrazione, piuttosto al come, al metodo e alla tecnica cinematografica cui non smette di prestare attenzioni maniacali, correggendo e stimolando continuamente tanto il regista del docufilm (Chris Smith), quanto gli altri partecipanti (Robert Downey Jr, il figlio Exton e la compagna Rosemary su tutti) affinché guardino oltre, interessandosi alla potenza dell’inquadratura, al quadro, al modo in cui una battuta viene pronunciata, allo sguardo, al cielo, al caos intorno e così via.
Un eterno regista, amante della vita e del cinema in ogni loro aspetto, tanto da non voler arrestare la ripresa camminando per la strada e gioendo della presenza di un performer qualsiasi arrampicato su di una costruzione in ferro, piuttosto che correggendo il regista nel corso di una ripresa all’interno di una sala cinematografica deserta, durante la quale una sirena all’esterno sembra disturbare l’audio e allo stesso tempo appassionare maggiormente Sr. che procede come nulla fosse nel suo racconto.
Non è casuale che pochi attimi più tardi, il figlio Robert pronunci a favor di camera queste parole, appena prima dell’inizio della breve retrospettiva cinematografica dedicata alla carriera registica di Sr.:
“Sr. è uno dei migliori a immortalare scene di strada e foto che mai incontrerete”
Si comincia da Balls Bluff (1961), fino a Sweet Smell Of Sex (1965) e Chafed Elbows (1966), la bizzarra ode a Edipo che la madre di Sr. detestò, ignara del fatto che il cinema potesse raccontare l’incesto essendo piena finzione grottesca, demenziale e surreale, senza rispecchiarsi in qualsivoglia pensiero della realtà, soprattutto rispetto alla mente del figlio Robert tra creatività e fantasie. Sr. ancora sorride al pensiero del giudizio spaventato della madre, di fronte ad uno dei suoi film più strani, unici e diversi.
Brevi segmenti sulla figura di Sr. autore registico si alternano ad altri su Sr. uomo, ma soprattutto padre, durante i quali il figlio Jr. visibilmente nostalgico e toccato nel profondo si appella ai suoi ricordi, raccontando un po’ a sé stesso e un po’ a noi spettatori dell’incredibile flusso di persone ed estranei presente in casa negli anni della sua infanzia. Ospiti fissi per lunghissime, se non addirittura interminabili sessioni di proiezioni cinematografiche e scrittura, fatte di risate, amicizia e condivisione di un’enorme passione trasmessa, si direbbe con il sangue, anche a quel figlioletto costretto a dormire in culla accanto ai rulli, ai ciak e alle personalità del cinema e più in generale artistiche costantemente presenti in casa Downey.
Sul cinema di Sr, riflette oggi il figlio Jr., mettendo in evidenza quanto il cinema del padre fosse colmo di un nichilismo benigno capace di garantirgli una costante ed eterna libertà, che ci fosse una storia oppure no. Una cinematografia popolata e creata da attori molto più simili ad ubriaconi, folli o bizzarri individui qualsiasi raccattati per la strada. Un cinema estremo quello di Sr. e per questo vitale come pochissimi altri.
“Credi che tutte le nevrosi siano parte integrante della creatività o sono solo una rottura’”
“Entrambe le cose”
Giungendo poi alle riflessioni su Putney Swope (1969), Pound (1970) e Greaser’s Palace (1972), Paul Thomas Anderson, grande amico di Sr, nonché noto regista e sceneggiatore di numerosi e premiatissimi film quali Boogie Nights (nel quale Sr. compare in un piccolo ruolo), Magnolia, Il Petroliere, Vizio di forma e Licorice Pizza, in un filmato d’archivio dell’Austin Film Festival descrive così il cinema di Sr.:
“Bob non si faceva problemi nel confondere il pubblico, per questo il suo cinema era fantastico. C’è uno schema nel modo in cui fa le cose, che tu lo capisca o meno. Io ne sono rimasto incantato”
Affermazioni alle quali pochi istanti più tardi risponde Robert Downey Jr. intercettando ancora una volta il gusto fortemente umoristico e amaro del padre, del quale l’intero docufilm è colmo.
“Paul Thomas Anderson adora i film più della maggior parte delle persone che incontro e conosco. Non è un mistero, lui è il figlio che mio padre avrebbe voluto avere”
E poi ancora Paul Thomas Anderson riflettendo sulla condivisione del tempo con Bob:
“Più passi il tempo con Bob e più lo conosci. Ha un fantastico senso dell’umorismo e un’incredibile sicurezza che gli permettono di narrare una storia secondo i suoi tempi. Un autore unico, non ho mai conosciuto nessun altro come lui”
Proprio riflettendo su Greaser’s Palace (1972), due degli attori feticcio (Alan Arkin e Lawrence Wolf) accompagnati da Rosemary Rogers, approfondiscono rispetto ad uno dei titoli più interessanti della cinematografia di Sr. osservando quanto fosse allora e quanto sia rimasto oggi davvero profondo quel film, per via di un messaggio spirituale senza precedenti e un senso dell’umorismo grottesco e dissacrante, capace di differenziare quel film rispetto ad ogni altro della carriera di Sr., un autore e uomo dall’enorme talento umoristico e per questo troppo onesto, poiché legato ad una volontà eterna di rivelare sé stesso sempre, senza alcun filtro, senza alcuna barriera.
Una cinematografia destinata come tutte ad incontrare momenti bui, così come vere e proprie prove di coraggio e successive risalite. È interessante dunque osservare quanto Sr. fosse totalmente a suo agio e spensierato nella realizzazione creativamente libera del suo cinema underground privo di produzioni e majors, e quanto invece fosse mutato e destabilizzato cominciando a lavorare per l’industria spietata di Hollywood. Una fase che Sr. descrive così:
“Con Up The Acdemy (1980) quel periodo ha avuto inizio. Quindici anni di completa pazzia nella terra dei sogni infranti. Loro non volevano davvero un mio film e io che ho fatto? Ho fatto di tutto per dare loro quello che non avrebbero mai voluto rischiando il licenziamento più di una volta. Questo sono io avrei voluto dire loro, come se già non lo sapessero…”
Il progetto cinematografico più probabilmente corretto per dare un’idea chiara su chi fosse realmente Robert Downey Sr. però non appartiene né alla prima fase underground, né al periodo Hollywoodiano, bensì a quella conclusiva, durante la quale Sr. realizza Rittenhouse Square (2005), il suo ultimo film, un documentario su un piccolo parco di Philadelphia per certi versi amatoriale. Sr. infatti accompagnato da una troupe filma nel corso di un intero anno la bizzarra frequentazione del parco di Rittenhouse Square interessandosi un’ultima volta ai reietti, ai diversi e allo studio delle persone e del tempo.
“Perché il documentario è diverso dal lungometraggio di finzione? Perché devi fidarti di tutto, perché tutto può accadere e soprattutto perché girando un documentario senza smettere mai di filmare, non sai cosa può succedere, e trovi la bellezza e trovi l’unicità”
La malattia e i demoni di Sr. – Chi sono? Non lo saprò mai
Se nella parte di retrospettiva e analisi cinematografica Sr. come docufilm biografico si rivela capace di interessare, intrattenere e divertire lo spettatore, è nella seconda parte che compiendo un inatteso cambio di rotta tutto cambia e il film comincia a divenire via via più teso, profondo, tragico e commovente. La parte durante la quale Sr. e Jr. in un dialogo ininterrotto, anche se frammentato da immagini di repertorio e clip di altri lungometraggi e progetti, tentano di venire a patti con i demoni dell’autore, analizzando la malattia di Sr. e l’impatto che questa ha avuto sulla realizzazione del docufilm e in più in generale sul suo modo di osservare la vita.
Così come Life Itself (2014) di Steve James, docufilm altrettanto memorabile sulla figura e malattia di Roger Ebert, leggendario critico cinematografico, anche Sr. filma l’ultimo incontro e scontro tra eterna passione verso il cinema e progressivo peggioramento di salute di un uomo che non si è mai arreso e che non vuole in nessun modo permettere ad una malattia di mettergli i bastoni tra le ruote. Sr. infatti non si ferma e pur ritrovandosi disteso a letto in preda agli effetti del Parkinson, non smette di lavorare e restare lucido, fine alla sua revisione del montaggio personale di ciò che oggi ci è dato vedere, Sr.
Incredibilmente commovente e tragica la gioia che Chris Smith non smette di inquadrare, concentrandosi sul volto di Sr. costantemente attento rispetto alle singole scene che scorrono davanti ai suoi occhi stanchi in una camera da letto colma di medicinali, pillole, flebo e quant’altro.
È chiarissimo, questo progetto non è uno dei tanti, è l’ultimo, è una vera e propria missione da portare a termine per la sua famiglia. Una sorta di testamento cinematografico capace di dare una personalissima visione di sé stesso tanto al pubblico, quanto al figlio, al quale questo film docufilm è dedicato (e non il contrario). Un modo per permettergli di conoscerlo a fondo, o quantomeno, di capirlo un po’ meglio. Un’opera cinematografica definitiva.
Padri e Figli – L’impatto dei demoni di Bob sulla vita di Jr. e l’addio
Nella parte finale di Sr. poi lo spettatore si ritrova dinanzi alla conclusione di quella seduta di terapia tra padre e figlio cominciata con sorrisi, ilarità, leggerezza e umorismo dissacrante, e destinata a congedarsi invece con le lacrime e la fotografia lucida e profondamente drammatica dei traumi vissuti dai due uomini: la dipendenza dalle droghe, l’elaborazione del lutto e il conseguente abbandono del proprio amore.
In un momento di grande commozione infatti Jr. combattendo con sé stesso affinché le lacrime non prendano il sopravvento, dialoga in videochiamata con il padre, riflettendo su quegli anni e considerando come quella cultura della droga e della dipendenza li abbia assorbiti entrambi, prima il padre e subito dopo il figlio, senza lasciar loro alcuna via di uscita, non immediata almeno. Una considerazione che in un primo momento sembra spiazzare Sr. e che subito dopo accetta, sì, quella è tutta la verità.
Nell’analisi di Hugo Pool (1997) infatti, Sr. e Jr. raccontano tanto al pubblico, quanto a loro stessi di ciò che realmente contiene uno dei film probabilmente più conosciuti, maturi e tragici dell’autore. Un lungometraggio che racchiude in sé l’esperienza di vita totale di Sr. come regista e uomo, trasformandosi in una vera e propria elaborazione del lutto e degli effetti della droga sul rapporto tra un padre e un figlio.
Sr. appena prima di Hugo Pool perde infatti l’amata compagna di allora, l’attrice Laura Ernst, alla quale viene diagnosticato il morbo di Lou Gehrig. Una diagnosi che vede presente la coppia e che distrugge completamente Sr. rendendogli chiaro quanto quella tragedia rappresenti in tutto e per tutto il momento di crescere e pensare prima a qualcun altro, per poter prendersene cura. Una consapevolezza improvvisa che riguarda tanto la compagna malata, quanto il figlio Jr. in preda agli effetti di una tossicodipendenza decisamente peggiore rispetto a quella vissuta negli anni della sua giovinezza da cinema Underground.
Un film Hugo Pool che Sr. definisce un vero e proprio concentrato di dolore, tale da rivelarsi l’immediato e profondo cambiamento di Sr. Un cambiamento che padre e figlio elaborano nel corso di una videochiamata estremamente toccante durante la quale Jr. si commuove una volta per tutte, riflettendo sui sensi e sulla volontà dopo essersi ripulito di migliorarsi continuamente per poter prendersi cura delle persone amate che non smettono mai di restare accanto a noi, nonostante i nostri demoni, nonostante le nostre paure. Una riflessione alla quale Sr. chiosa dicendo:
“Te lo meritavi dopo tutto quello che hai passato”
Il docufilm diviene così un ultimo e commovente incontro tra un padre e un figlio che influenzandosi l’un l’altro nel bene e nel male – Jr. da ragazzino nel corso di un lungo viaggio in compagnia di Sr. da Santa Fe a Los Angeles viene iniziato alla tossicodipendenza dal padre, in quanto incaricato della pipa dell’Hashish – si confrontano senza esclusione di colpi sulle proprie colpe e sulle conseguenze di un rapporto sicuramente minato da pericoli, insidie e pessime abitudini, ma che non ha mai messo da parte l’amore.
“Nonostante mio padre passasse gran parte del suo tempo a cercare una musa, non ha mai messo da parte il suo rapporto con me, portandomi sempre più spesso al cinema, considerandomi un adulto. Condizione che mi permise di vedere film non proprio adatti alla mia età come La grande abbuffata. Quel film fu un vero shock, bizzarro da parte sua in effetti. Conservo però dei ricordi incredibili, di alcune salette dimenticate, nelle quali la pioggia filtrava dall’esterno, oppure altre solitarie e popolate da individui bizzarri e inquietanti… o quelle in cui restavamo soli io e lui, vivendo totalmente la bellezza del cinema”
I film li univano e lì era celato l’amore di un padre nei confronti di un figlio e di un figlio nei confronti di un padre. Il legame indissolubile che c’era, non soltanto non svanirà mai sembra considerare oggi il figlio Jr. ma muterà continuamente, con il progressivo evolversi del cinema nel corso di questi anni e al quale non smetterà di prestare impegno, cura e attenzione.
Così, negli ultimi segmenti di questo incredibile e toccante docufilm, ripercorrendo i luoghi e le location vissuti e filmati da Sr., Jr. in compagnia del figlioletto Exton intraprendo l’ultimo viaggio in pieno Covid-19 verso la casa di cura di New York nelle quale Sr. è ricoverato, riflettendo ancora una volta sul tempo e su ciò che è rimasto:
“Non so se mio padre sia riuscito a venire a patti con i suoi comportamenti del passato, e l’impatto che hanno avuto su di me.”
E ancora Exton:
“Volevo essere qui soprattutto per rivedere il nonno. Volevo rivederlo in modo da avere, in un certo senso, dei ricordi. Così, quando morirà, potrò dire che ho passato del tempo con lui”.
Appena prima dell’addio Jr. compie inoltre una riflessione incredibilmente lucida e interessante sulla condizione vissuta oggi dagli interpreti e divi come lui che si può considerare in qualche modo il punto di partenza ed esigenza umana che ha reso questo docufilm ciò che realmente è:
“Noi attori facciamo della nostra vita un’arte. C’è una parte di me che ha paura di perdersi qualcosa o forse è proprio perché ora sembra che il tempo stia per scadere. C’è la paura di non rivederlo mai più certo. La cosa positiva però è che non mi capitava da tempo di apprezzare New York, e poterla vedere attraverso gli occhi di Exton, dal punto di vista della terza generazione, è stato bello. Però la domanda che mi resta è sempre questa, come faccio a non sentire di essermi perso qualcosa? Non so se c’è qualcosa che ho bisogno di dirgli, quello che so è che non voglio fare la cosa sbagliata e che lo amo per ciò che ha fatto e per quello che non ha fatto”.
Nel corso della carrellata lenta e nostalgica di alcune fotografie familiari appese sul muro della stanza di Sr, capaci di raccontare meglio di qualsiasi linea di dialogo l’importanza della famiglia, dell’amore e dell’incessante scorrere del tempo, la famiglia Downey si congeda dal pubblico con Cat Stevens e Nick Drake che incontrandosi in un’unione perfettamente riuscita e colma di emotività – il primo con On The Road To Find Out e il secondo con From The Morning – sembrano dare definitivamente un senso a ciò che Sr. è, un dialogo nostalgico, malinconico, lucidamente drammatico e dall’eterna vitalità tra un padre e un figlio che non hanno messo smesso di amarsi.
Sr – Vi siete mai conosciuti voi due?
Jr – Io e Jr. intendi?
Sr – Sì
Jr – Sì, ci stiamo conoscendo