State a casa: recensione della dark comedy di Roan Johnson
Quattro coinquilini, quattro mura, un serpente nascosto e un padrone di casa ambiguo. La dark comedy di Roan Johnson sfrutta la pandemia per raccontare un virus più grande.
“Un virus che nasce nello stesso organismo che lo ospita.” Un male intestino che Roan Johnson estrae maieuticamente dalla sintesi sinergica di quattro protagonisti proteiformi, avviluppati l’uno all’altra nell’attesa di un’amnistia celeste. La pandemia si fa spartiacque di epoche distinte, un a.C – avanti Covid – e un d.C – dopo Covid – soffocando i peccati dei giovani inquilini, prigionieri di una casa angusta e di visioni bibliche. La globalizzazione e l’informazione diffusa hanno permesso l’universalizzazione di una storia che catarticamente ha assolto il suo demiurgo: il groviglio psicologico del regista – sospeso tra sensazioni nefaste e allucinazioni indulgenti – ha preso forma nell’esercizio esorcizzante della pellicola, girata durante il secondo lockdown (ottobre-novembre 2020) dopo un periodo di prove “sul set” che hanno reso autentica la rete di rapporti sottoscritti dai protagonisti.
State a casa: la generazione che non ha niente da perdere rischia tutto
Nell’era del Covid-19 i tetti della periferia romana si popolano di giovani alla ricerca di aria pulita da respirare, di dubbi affidati alla velocità del vento e di desideri custoditi dalla volta celeste. Nick (Lorenzo Frediani), Benedetta (Giordana Faggiano), Paolo (Dario Aita) e Sabra (Martina Sammarco) condividono da tre anni un appartamento, ma l’esplosione della pandemia ha alterato gli equilibri degli inquilini, costretti alla convivenza forzata nel periodo più oscuro che si ricordi. Soffocati dalla stasi, senza soldi né prospettive, un incidente si trasforma nell’occasione di poter cambiare il corso degli eventi a spese di quella generazione “che ha fatto i soldi facili”. L’ingannevole epilogo distensivo è l’incipit di un’altra storia, più oscura, sussurrata, deviata, violenta, corrotta, reificata da un’aberrante, a tratti intollerabile, pornografia della violenza, fisica e psicologica. Un cambio di registro che perde la sua spinta propulsiva nel gioco di un’addizione mal dosata.
L’organismo è la Terra, il virus siamo noi
Ci hanno insegnato ad aver paura, ci hanno addestrati al dubbio, al subdolo, al meschino. Ci hanno instillato la paura dell’esterno, dell’alieno, del diverso, preservandoci egoisticamente dagli enigmi intestini: siamo tutti buoni, o tutti cattivi? Fin dove possiamo spingerci mossi dal delirio del fallimento? “In viro veritas“, dice Tommaso Ragno che nel film interpreta il viscido padrone di casa Spatola. Nell’evoluzione forzata del dramma, l’alchimia iniziale cede il posto al sospetto che nell’abbraccio della mediocrità trova conforto. La carica simbolica del sottotesto si manifesta nella figura archetipica del serpente, quinto coinquilino muto e silenzioso, che invisibile si nasconde nelle tubature della casa come un male viscerale pronto a riemergere. Il peccato originale, segregato nella camera oscura delle quattro anime coinvolte, si manifesta lento e progressivo sotto la pelle di ciascun elemento dell’insieme, animando uno scontro esistenziale edificato su ideali mutevoli e sentimenti volubili. L’eccesso di materia grottesca, kitsch e surreale guasta e corrompe l’autenticità delle performance attoriali, stratificate attraverso un viaggio preliminare e propedeutico che il regista ha voluto fortemente per estrarre il lato più intimo e vulnerabile dei personaggi.
Sabra – come il virus – è l’alieno: Martina Sammarco racconta la mitologia dietro State a Casa
Nel prologo Sabra non condivide la scena con gli altri protagonisti. Il suo ingresso, silenzioso e decisivo, la inserisce nelle dinamiche del gruppo senza conferirle alcuna responsabilità nel dramma. Appare sullo schermo vestita di nero, con il volto coperto da un casco, mentre gli altri inquilini sono alla ricerca del serpente e i suoi toni pacati, che sembrano solo suggerire decisioni, muovono in realtà le fila dell’intera narrazione. “All’inizio mi sono dovuta domandare se Sabra fosse la più buona o cattiva di tutti, poi ho realizzato quanto fosse interessante stare nel mezzo. Roan mi ha detto ‘pensati come se fossi una divinità’. La prima, fallimentare impressione, è stata di pensarla come superiore, poi c’è stato un cambiamento radicale nella comprensione del personaggio. Io sono appassionata di mitologia greca: le divinità sono separate ma osservano in maniera attiva, giocando e patendo con eroi e civili. Dovevo essere empatica ma distante. La divinità non sceglie per l’uomo, ma gli apre delle vie: Sabra è stata uno specchio per il gruppo, gli ha concesso l’opportunità di ‘vedersi’. L’ambiguità mi è stata necessaria: ero un alieno ospite in questa casa“.
Distribuito in 150 copie da Vision Distribution, State a Casa è al cinema dall’1 luglio 2021.