RomaFF14 – Stay Still: recensione del film di Elisa Mishto
La recensione di Stay Still del 2019, scritto e diretto da Elisa Mishto, con protagoniste Natalia Beltiski e Luisa-Céline Gaffron.
Stay Still del 2019 è un lungometraggio italo-tedesco scritto e diretto da Elisa Mishto, accompagnata dalla fotografia di Francesco Di Giacomo e dal montaggio di Cristiano Tavaglioli e Beatrice Babin. Il cast è guidato dalla coppia tutta al femminile composta da Natalia Belitski e Luisa-Céline Gaffron, accanto a loro recitano Martin Wuttke, Katharina Schüttler, Ole Lagerpusch, Jürgen Vogel, Kim Riedle, Edda Brockmann, Leslie Malton e Giuseppe Battiston.
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La pellicola è prodotta da CALA Filmproduktion, Partner Media Investment, con il contributo del MiBACT, Farbfilm Produktion, Cine Plus Filmproduktion con il sostegno di BKM, German Federal Film Board, Medienboard Berlin-Brandenburg e German Motion Picture Fund. La distribuzione in Italia è a cura di Istituto Luce Cinecittà, mentre quella all’estero è curata da Intramovies.
Stay Still è stato scelto per la sezione Panorama Italia di Alice nella Città, evento autonomo e parallelo la 14esima Festa del Cinema di Roma.
Stay Still: la trama del film
Julie è un’ereditiera sopra le righe: testarda, saccente, sarcastica e con un’apparente mania per la pulizia. Una ragazza egocentrica che vive la sua vita nell’immobilismo, cercando qualsiasi scappatoia per fuggire ogni minima responsabilità, addirittura recandosi volontariamente in una clinica psichiatrica.
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Lì, durante il suo ultimo soggiorno, incontra Agnes, una giovane infermiera appena assunta, madre di una bimba di tre anni con la quale non riesce a empatizzare in nessun modo, nonostante cerchi di darsi da fare. Il loro incontro segnerà una svolta per la vita di entrambe e genererà un uragano che scuoterà le fondamenta delle esistenze di coloro che sono intorno a loro.
Stay Still: una formica in controtendenza
La Mishto scrive un’operetta interessante, decidendo di giocare sull’intellettualismo filosofico e politico, senza rinunciare al divertimento di fare un film. E in questo senso, la sua Julie è il portabandiera perfetto. Stay Still non fà segreto del suo nucleo esistenziale, mettendo le carte in tavola sin da subito: la sua protagonista è una formica che decide di non marciare, di non lavorare e di non seguire il compito affidatole dalla società. Il suo atto rivoluzionario, per essere però totale e completo, non si dovrà limitare al rifiuto di compiere il suo lavoro, ma al rifiuto di compiere qualsiasi attività. L’immobilismo è il suo unico credo, l’ozio il suo unico compagno di viaggio, l’ostentazione sfrenata e sconvolgente dell’atto del non fare nulla, di per sé anche liberatorio e politicamente radicale, il suo modo di vivere. In perfetta e, stavolta sì, totale opposizione con la tendenza di una società che alle nuove generazioni impone l’urgenza di fare qualcosa.
Un leitmotiv sicuramente sagace e affascinante, messo bene in scena dalla protagonista, si sposa ottimamente con la trovata narrativa della clinica e anche con il personaggio di Agnes, l’altro lato della medaglia e una potenziale vittima della rivoluzione, tale proprio perché causerà la caduta di qualche testa. L’accostamento a Ragazze Interrotte diventa in un certo momento della pellicola calzante e quasi benaugurante, salvo poi cadere alla fine.
Infatti lo scioglimento frena molto il motore della pellicola, come se, improvvisamente, sia mancato il coraggio per dare un finale in cui si potesse mantenere uno sguardo “sul ciglio della strada”, lasciando l’attivazione agli altri.
L’atto rivoluzionario di Stay Still rimane dunque monco, nessuna testa cade e l’unica vittima rimangono le sue, fino a quel momento, ferme intenzioni di rimanere impassibili davanti a un richiamo all’attività che alla fine vince. Un finale che pesa come un macigno, facendo pendere sull’intera storia l’interrogativo di essere in realtà priva di un fondamento reale e dell’essere solo stata molto brava a farlo credere.