Venezia 74 – Suburbicon: recensione del film di George Clooney
George Clooney fa centro con Suburbicon, un'opera completa, complessa e con diverse chiavi di lettura.
George Clooney diverte, scuote e incanta la 74ª Mostra del Cinema di Venezia con Suburbicon (il trailer qui), grottesca commedia nera sospesa fra impegno sociale e il thriller alla Hitchcock, che non è difficile inserire già da adesso nella rosa dei sicuri pretendenti ai più prestigiosi premi di questa stagione cinematografica. Un cast di stelle comprendente il premio Oscar Julianne Moore, Matt Damon e Oscar Isaac esalta e completa il superbo lavoro in fase di sceneggiatura dei fratelli Coen, nitidamente riconoscibili in ogni secondo di pellicola.
La vita del sobborgo borghese di Suburbicon negli anni ’50 viene scombussolata dall’arrivo di una famiglia di colore, vista immediatamente di cattivo occhio dalla perversa e retrograda morale della middle class dell’epoca. Nelle immediate vicinanze, procede in maniera apparentemente tranquilla la vita della famiglia Lodge, formata dal padre Gardner (Matt Damon), il figlio Nicky (Noah Jupe), la moglie Rose e la gemella Margaret (entrambe impersonate da una formidabile Julianne Moore). L’irruzione nella loro abitazione di due malviventi farà emergere il lato oscuro e i segreti della famiglia, innescando una catena di follia e violenza.
Suburbicon: una commedia nera graffiante e tagliente sull’ipocrisia della middle class americana
Il crudele nichilismo dei fratelli Coen e la critica alla società americana tipica del modo di fare cinema di George Clooney si fondono mirabilmente in un noir dei nostri giorni, attraversato da una vena di tensione e suspense che deriva dalla grande tradizione del thriller americano e continuamente scosso da una feroce satira su qualsiasi forma di pregiudizio e razzismo, di questi tempi più necessaria e attuale che mai.
Nel luogo e nell’epoca dove si consuma il più fiero, ipocrita e consumistico perbenismo americano, George Clooney mette in scena una parabola efferata e distruttiva della classe media americana, rappresentata, salvo particolari eccezioni, come un covo di serpi disposte ad annientarsi a vicenda, per poi scaricare colpe e inquietudini sul diverso, sull’emarginato, su chi non ha la posizione e le forze per difendersi autonomamente. Pur attraversando temi complessi e non banali come il razzismo, l’emarginazione, il lutto e la depravazione morale, Suburbicon è costantemente attraversato dalla migliore ironia dei Coen, che stempera e ridicolizza con un umorismo macabro e tagliente anche le sequenze più cupe e violente, facendo chiudere più che volentieri un occhio su qualche passaggio narrativo forzato all’interno della sceneggiatura dei celebri fratelli.
Suburbicon: una miscela esplosiva fra il macabro nichilismo dei Coen e l’impegno sociale di Clooney
George Clooney si volta indietro per guardare avanti, traendo ispirazione e insegnamenti dal noir americano degli anni ’40 e trovando in Julianne Moore una femme fatale postmoderna, apparentemente dimessa e rassicurante ma capace di diventare al momento giusto una sensuale e pericolosa traghettatrice infernale. Un’altra fenomenale prestazione di una delle più grandi dive del cinema contemporaneo, sdoppiata in due per l’occasione, che potrebbe tranquillamente dire la sua nella corsa all’Oscar come migliore attrice protagonista. Ad affiancarla è un sempre più maturo e convincente Matt Damon, che trova una prestazione nettamente migliore rispetto a quella già apprezzabile di Downsizing (passato proprio in questi giorni al Lido) mettendo definitivamente da parte la sua faccia da eterno bravo ragazzo per dipingere la figura di un perfido e inquietante borghese, stretto fra la voglia di arrivare a qualsiasi costo e la sua endemica mediocrità morale e intellettuale.
Pregevole anche la performance dell’esordiente Noah Jupe, unico elemento di purezza e dolcezza in mezzo a un coacervo di crescente depravazione e orrore, specchio di una società che mistifica il diverso, mortificandolo e allontanandolo dalla vita pubblica per camuffare e nascondere la propria bassezza. Un doveroso plauso anche al regista George Clooney, che si lascia alle spalle il passo falso di Monuments Men dimostrando la propria maturità artistica con una perfetta direzione di assolute eccellenze nei rispettivi campi, come il suo fedele direttore della fotografia Robert Elswit, abile a patinare al punto giusto la perfetta apparenza di Suburbicon e a esaltare il suo lato oscuro, lo scenografo Jim Bissel e la costumista Jimmy Eagan, autori di un’azzeccata finta impeccabilità nelle location e nei vestiti dei protagonisti, e il compositore Alexandre Desplat, che adatta il suo stile ormai inconfondibile al lato più torbido della storia, enfatizzandone il crescendo di tensione e violenza.
Suburbicon punta il dito contro l’ipocrisia e il perbenismo della società americana
George Clooney centra un’opera completa, complessa e con diverse chiavi di lettura, mostrando con acuto sarcasmo la ripetitività e l’ottusità di schemi di pensiero e di comportamento che dagli anni ’50 a oggi appaiono sostanzialmente immutati e pronti a scaricare sul diverso di turno le proprie frustrazioni e inadeguatezze. Con l’aiuto del proverbiale nichilismo dei Coen, il regista americano intrattiene, sconvolge e interroga lo spettatore, realizzando una delle più importanti pellicole di questa stagione cinematografica e puntando fermamente il dito contro lo squallore etico e culturale tuttora imperante nella nostra società.