Suole di vento – Storie di Goffredo Fofi: recensione del docufilm di Felice Pesoli
Presentato all’Oritigia Film Festival 2021, il documentario di Felice Pesoli è un dialogo affascinante e lucido con il critico cinematografico e organizzatore culturale Goffredo Fofi, uomo dallo sguardo libero e naturalmente svincolato dal conformismo.
Al piglio animoso di chi crede ancora nella lotta di classe, senza la quale “non c’è movimento della Storia”, nel suo lungo dialogo con il regista e autore Felice Pesoli per il docufilm Suole di vento (presentato all’Ortigia Film Festival 2021), Goffredo Fofi alterna una certa venatura di pessimismo di chi invece, lenta e inesorabile, vede scivolare via la società nella quale non si riconosce più. Restio alle etichette soffocanti quali ‘intellettuale’, la cronologia vitalistica dell’ottantaquattrenne critico cinematografico e fondatore di numerose riviste culturali, si dispiega tutta in una sorta di necessità frenetica al nomadismo, ritrovando nell’urgenza di spostarsi su e giù per lo Stivale del secondo dopoguerra, la naturale giunzione interiore alla voglia tutta giovanile e politicamente impegnata dell’esserci in campo come unica lotta sociale e dunque rivoluzionaria.
Suole di vento – Storie di Goffredo Fofi: un dialogo partecipato con la Storia del novecento
Dalla natia Gubbio, terra di cerimonie medioevali e simbologie religiose, a sette anni imprime in memoria quello che forse è il suo primo turbamento collettivo: le Fosse Ardeatine ancora scoperchiate, portato lì dal padre bracciante e reduce dalla Germania nazifascista. Sempre a Roma, in adolescenza comincia a leggere le prime riviste di cinema e rimanere affascinato dal potere consolatorio e illusorio della settima arte, riconoscendo in Totò e in Anna Magnani gli artefici di una passione sobbollente e perpetua, in attesa ancora di concretizzarsi definitivamente.
Dopo il frangente partecipativo e pedagogico della Sicilia in miseria a fianco del sociologo Danilo Dolci, Fofi conosce il fascino sottoproletario e carnale della Roma delle comparse a Cinecittà; il mito della classe operaia a Torino nella quale impara “il rigore morale” e il conformismo come naturale compromesso al benessere, e poi finalmente Parigi, scrivendo per Positif, antagonista della politique des autuers dei Cahiers du Cinema, conoscendo Fritz Lang e intervistando Buñuel. Il ‘68 lo vive a Milano, fonda la rivista Ombre Rosse dall’anno prima, ma decide di scendere di nuovo a sud, nella Napoli dell’avanspettacolo e della Mensa dei Bambini Proletari per poi risalire nel ’77 a Bologna tra Radio Alice e i fumetti di Andrea Pazienza.
Riviste, animazioni e materiale d’archivio
Oggi Fofi si è stabilito a metà, nella Roma del rione Monti, inquadrato dalla telecamera di Pesoli nel suo camminare per nulla infiacchito, sostituendo la consueta passeggiata mattiniera a quel salire e scendere dai treni come faceva in gioventù. Lucido, intellettualmente onesto e critico nella consapevolezza di un pessimismo attivo, il fondatore di “Ombre rosse”, “Quaderni piacentini” e “Gli asini” si racconta senza divismo in un documentario partecipato e partecipativo, seguendo la linea del tempo come fosse un diario aperto, alternando alla parola un’accurata scelta di materiale d’archivio, immagini e illustrazioni in 2D realizzati dai più importanti disegnatori italiani (Mara Cerri, Elfo, Simone Massi, Gianluigi Toccafondo).
“La cultura è anche conflitto!“: poetica e passione in eterna lotta del critico e Maestro Fofi
Suole di vento – Storie di Goffredo Fofi lavora così per scompartimenti, aprendo e chiudendo parentesi storiche limitrofe alle vicende personali del protagonista, segnate da incontri, accese discussioni, ripensamenti e domande, sigillo di acutezza pensante e animo affabile. Conscio dell’impossibile natura celebrativa del suo soggetto, Pesoli amalgama costantemente il Passato di Fofi in dialettica al Presente universale, ponendo l’accento sullo sguardo libero e critico del saggista e dell’uomo che osserva la cultura come frutto del ‘conflitto’, coraggiosamente mantenuto nel corso di una vita intera ed espresso in slanci di giudizi in prospettiva.
Parafrasando Rimbaud allora, la necessità dell’artista di essere “assolutamente moderno” per Fofi diventa imperativo assoluto nell’essenza stessa del suo narrarsi, dell’indispensabilità a non estraniarsi da lontano ma vivere all’istante lo scorrere perpetuo della sola esistenza che abbiamo – come appreso dalle performance svincolate e anarchiche del newyorkese Julian Beck. Di temperamento anticapitalistico e spirito empatico fra gli ultimi (“I soldi sono il diavolo!”), “lo straniero” Fofi continua a resistere, a studiare, a fare rete e a “rompere le scatole”, regalando così a fine film il suo personale elenco di rimedi all’ondata di storture e brutture della società italiana di oggi, custodendo l’ironia tagliente e il viso amabile di un uomo del Novecento e di un appassionato Maestro d’arte.