Super Mario Bros. – recensione del film di Aaron Horvath e Michael Jelenic
Sono lontani ormai i tempi e le estetiche che nel 1986 e poi nel 1993 hanno tentato goffamente, servendosi di linguaggi e forme differenti – pur riservate alla sala cinematografica – di rendere il fortunatissimo videogioco Nintendo, Mario Bros. datato 1983, un possibile successo commerciale di natura cinematografica. Se nel primo caso si ha a che fare con un prodotto curiosamente a metà strada tra formato cinematografico e formato televisivo, ossia l’anime, “The Great Mission to Rescue Princess Peach” di Masami Hata, recentemente restaurato in 4K, nel secondo caso l’animazione cede il passo ad un bizzarro live action che vorrebbe muoversi dalle parti del cinema cyberpunk più adulto, non soltanto in chiave dark, ma anche grottesca, rifacendosi tanto al modello di Landis, quanto a quello di Reitman, mancandoli entrambi, e rischiando perfino di danneggiarli. L’unico merito di Super Mario Bros. di Rocky Morton e Annabel Jankel resta se non altro, quello di essere il primo film della storia del cinema tratto da un videogioco.
Sono trascorsi trent’anni e quel fortunatissimo prodotto Nintendo, forte dei suoi “Mamma Mia” e “It’s-a me, Mario!” che è Mario Bros., torna nelle sale cinematografiche globali, ancora una volta al centro di un’operazione d’adattamento complessa, fracassona, coloratissima, divertente e in costante dialogo tra i linguaggi che sono propri del videogioco e del cinema mettendocela davvero tutta pur non di tralasciare il benché minimo dettaglio e ammiccamento, tanto ai dettami del primo, quanto alle regole del secondo, correndo il rischio – e forse proprio per la ragione appena descritta – di non soddisfare mai realmente né i fan del videogioco, né gli spettatori cinematografici. Ecco perché.
Essere un idraulico italoide, stereotipato e ibrido nella Brooklyn dei giorni nostri
C’è crisi, ma l’industria dell’intrattenimento ci salverà, o almeno, questo si va sperando.
Perfino Super Mario Bros. racconta la crisi sociale e lavorativa come piaga del nostro secolo, seppur in modo spensieratamente fanciullesco, ammorbidito e buffo, mettendola in relazione a ciò che l’industria dell’intrattenimento è capace di offrire, in termini di visibilità e sostegno mediatico a tutti quei soggetti che privati delle condizioni sociali e lavorative più basilari, vi ripongono fiducia, sperando in un aiuto esterno, mediatico, perciò in un’ampia diffusione della richiesta esplicitata.
Allo stesso modo si comportano i due fratelli Mario e Luigi, bizzarri individui baffuti che a partire dalle origini del primissimo videogioco Nintendo avrebbero dovuto rispondere – e corrispondere – alla fenomenologia di due idraulici italiani, o meglio, italo-americani, o ancora, individui vagamente italici caratterizzati da una stereotipizzazione assolutamente estrema, generalista e infantile, capace perfino di confonderli con una provenienza più direttamente messicana, oppure latina.
Ecco perché Mario e Luigi non possono essere altro che italoidi, rispondendo ad un processo profondo e continuamente mantenuto e mutato di ibridazione, tanto rispetto al concetto di etnia – vaga e ancora una volta confusa -, quanto a quello di ideologia sociale e comportamento nella società, o più nello specifico all’interno dell’universo videoludico, narrativo e cinematografico d’appartenenza, contaminato da un distillato generico arrivato a sedimentarsi con il susseguirsi e intrecciarsi di filtri e contesti culturali perlopiù giapponesi e statunitensi, scansando dunque la fenomenologia italica e sfruttandola come un bieco strumento linguistico capace di garantire umorismo e bizzarria a entrambi i personaggi e nulla più.
Eccezion fatta per una lettura che da sempre ha interessato fan e appassionati legata al fatto che il personaggio di Mario sembri corrispondere molto bene ad una versione cartoonesca della narrazione della “mediterraneità”, come piacevole e spiacevole al tempo stesso, perciò obiettivamente buffa e interessante. Non è infatti casuale ripensare alla caratterizzazione quasi sempre ambigua degli italiani, come frutto di un processo sociale arretrato, discriminatorio e ingenuamente razzista.
Super Mario Bros. è un racconto familiare… più italiano di così
Super Mario Bros. di Aaron Horvath e Michael Jelenic, sfruttando appieno questo discorso di ibridazione, contaminazione e distillato di etnie e stereotipizzazioni profonde, mostra e racconta la famiglia di Mario e Luigi come tipicamente italiana, o italica, forte di una condizione familiare assolutamente unita, gridata a gran voce e rispettata nel corso dell’intero viaggio, tanto da produrre quella che si rivela essere la riflessione più matura e inaspettatamente adulta dell’intero film, ossia, la delusione che i figli osservano sul volto dei propri padri e che vorrebbero in tutto e per tutto far sparire, dimostrando loro di essere forti e di avere grandi capacità, tanto da salvare il mondo.
Perciò al di là del facile parallelismo con il road movie e il discorso metalinguistico e mediale – cinema, fumetto, videogame -, questa nuovissima resa filmica di Mario Bros. non può far altro che configurarsi come un racconto solare, divertito, coloratissimo e pur sempre ripulito sul legame familiare, e più nello specifico, sul legame indistruttibile che unisce i fratelli e poi ancora su quello invece spesso tempestoso e conflittuale, ma in definitiva dolce e comprensivo che intercorre tra i padri e i figli.
Ecco perché Mario e Luigi vengono catapultati nell’universo della principessa Peach, del re fricchettone Kong, e del temibile Bowser, nel tentativo di ottenere soddisfazione economica capace di sostenere famiglia e padre. Ecco perché Donkey Kong ce la mette tutta pur di spalleggiare l’inizialmente spiacevole e avverso Mario a salvare il Regno dei Funghi – e così il mondo intero – dalla furia di Bowser, nella speranza che l’ormai anziano padre ne rivaluti maturità, serietà e tenacia. Per sanare un rapporto, per appianare divergenze,
Un vero e proprio racconto familiare… più italiano di così!
Un discorso di genere quello della Regina Peach, donna che addestra e guida gli uomini
Eppure Super Mario Bros. è anche molto di più e andando oltre la questione prettamente road e di viaggio fantasy tra regni, tubi verdi, fiori carnivori, mattonelle sospese e così via, il discorso che più resta e colpisce – pur senza scordare la potenza fragorosa e onnipresente della varietà cromatica che contraddistingue da sempre l’universo di Super Mario e che qui esplode in una resa filmica e di computer grafica alla Avatar di James Cameron, con tanto di cascate, oceani, foreste e individui dalla pigmentazione e conformazione sempre differente – è proprio quello della giovane principessa Peach.
Le figure maschili non mancano, eppure appaiono tutte come esclusivamente di supporto e di sfondo. Se Mario infatti riesce a rendersi visibile agli occhi di Peach apparendo improvvisamente al suo cospetto – Peach è pur sempre una regina – all’interno del Regno dei Funghi, ciò non accade per una particolare resa virile o feroce o potente di Mario, un uomo basso, tozzo, baffuto e bizzarramente prigioniero di un’età e condizione psico-sociale mai realmente definita e definibile, piuttosto per la sua diversità e poi somiglianza con la regina stessa, unica umana in un mondo di ibridi.
Mario non è forte al di fuori di quel mondo, ma può diventarlo. Bowser non è crudele, non definitivamente almeno, e solo l’amore e la presenza femminile nel suo cuore duro e apparentemente impenetrabile possono salvarlo. Così come i Kong, in un primo momento isolati, pacifici ed estranei al conflitto e solo in un secondo momento coinvolti in quanto consapevoli e strenui difensori della causa, tanto per meriti di Mario, quanto della regina Peach.
Inutile girarci ulteriormente intorno, Super Mario Bros. di Aaron Horvath e Michael Jelenic è attorno a due nodi che ragiona e modella la sua narrazione: la famiglia e il femminile, qui costantemente predominante e messo in luce in quanto leader e guida, per tutti quegli uomini – o figure più direttamente maschili – che divengono di supporto e spalla di una condizione sociale ben precisa che si riflette sulla nostra quotidianità, facendola impallidire.
Super Mario Bros. – Conclusioni e Valutazione
Il terzo tentativo di resa cinematografica dell’universo videoludico Mario Bros. va a segno solo parzialmente, centrando tutte quelle che sono le questioni di estetica, stile e rispetto nei confronti di un universo videoludico davvero ampio e che qui non mancano mai, raggiungendo facilmente un inevitabile e tutto sommato doveroso consenso da parte dei fan più sfegatati, rischiando al tempo stesso di allontanare lo spettatore cinematografico più estraneo alla faccenda, catapultato per un’ora e mezza di alterno divertimento, estetica impazzita e coloratissima da opera ibrida a cavallo tra videogame e cinema, così come continue strizzate d’occhio ad elementi tipicamente narrativi di Super Mario dalla conoscenza inevitabilmente necessaria, fino ad annoiarlo, allontanandolo quasi totalmente dall’esperienza film e dalla partecipazione emotiva.
Nota di merito alla colonna sonora, che nel compiere una meravigliosa e ricchissima operazione nostalgia, in più di un momento umoristica – e parodistica – alla Deadpool I e II, conquista e diverte, riuscendo a coinvolgere il pubblico, anche se solo momentaneamente nell’esperienza collettiva che di fatto vuole e dovrebbe essere, dalla prima all’ultima inquadratura Super Mario Bros. – Il film.
Super Mario Bros. – Il film è al cinema a partire da mercoledì 5 aprile, distribuzione a cura di Universal Pictures.