Svegliami a mezzanotte – Recensione del docufilm di Francesco Patierno

La recensione del docufilm Svegliami a mezzanotte, diretto da Francesco Patierno, trasposizione dell'omonimo romanzo di Fuani Marino.

Terminata la visione di Svegliami a mezzanotte si percepisce l’immediato bisogno di lasciare la sala, raggiungere l’esterno e prendere un bel respiro, osservando i passanti, perciò la vita, sorridendo e lasciandosi alle spalle quei settanta minuti dolorosi e senz’altro sinceri di confessionale cinematografico, che restano impressi nella memoria dello spettatore a tal punto da richiedere appena dopo un’interminabile dose di spensieratezza, leggerezza, e perché no, anche superficialità, pur di dimenticare, almeno per un po’, quella voce così vivida e quei ricordi così intimi e reali e definitivi da lasciare il segno, come vere e propri cicatrici sulla pelle e sul tempo, che non corrisponde soltanto a quello della visione – breve ma intenso -, piuttosto a quello della riflessione, potenzialmente infinita, pur augurandosi che così non sarà.

Un’esperienza cinematografica bizzarra, dolorosa e unica nel suo genere

Dovendo immaginare e identificare il modo più corretto per definire questo film, si ha come la sensazione di non riuscire a farlo, almeno, non immediatamente. Svegliami a mezzanotte è senza alcun dubbio un’esperienza cinematografica bizzarra e unica nel suo genere. È straniante, anomala, psichedelica, orrorifica, invasiva e mai salvifica.

Un vero e proprio road movie che Francesco Patierno, regista del film, non compie insieme alla sua protagonista Fuani Marino, come convenzionalmente dovrebbe accadere nel cinema road, ovvero sulle strade o tra i paesaggi del mondo – pur facendolo -, bensì nella psiche e dunque tra i diari, le fotografie e i ricordi del personaggio che racconta (la stessa Marino), compiendo di fatto un viaggio interiore che si dipana appunto tra fitte pagine di diari pre-adolescenziali, adolescenziali, giovanili, della maturità e così via, alternate a polaroid molto spesso rovinate dal gusto chiaramente vintage, con tanto di righe e buchi e bruciature, e poi ancora brevi file video filmati in pellicola e poi in digitale – interessante accorgersi della differenza tra la pellicola e il digitale, per avere un’idea chiara dell’arco di tempo che il film copre in appena settanta minuti di durata -, a loro volta alternati a vecchi spot pubblicitari, o ancora immagini astratte, o frammenti non meglio identificati di opere video dall’origine sconosciuta e dal contenuto misterioso, evanescente e molto spesso inquietante.

Svegliami a mezzanotte - Cinematographe.it

Patierno, servendosi dell’efficace montaggio di Renata Salvatore, sembra dunque rifarsi ad un immaginario documentaristico a metà strada tra il cinema sperimentale, quello espressionista e infine l’inchiesta giornalistica, che con sguardo clinico e mai creativo analizza e pone sotto – o dinanzi – la sua lente talvolta glaciale e distaccata, altrimenti empatica, il vissuto senz’altro problematico, conflittuale e traumatico di Fuani Marino che nel 2019 pubblica per Einaudi Editore un breve romanzo autobiografico intitolato appunto Svegliami a mezzanotte, che Patierno adatta liberamente per il cinema, consegnando agli spettatori il film probabilmente meno accessibile e più respingente della sua intera filmografia, trattandosi di un film che non è affatto interessato a fare sconti, piuttosto a mostrare e raccontare con grande lucidità e perizia la progressione dolorosa e la discesa in qualche modo nerissima e disperata di una donna nel vortice della depressione.

Necessario fin da subito considerare che la natura respingente del film non è affatto legata alla sua non riuscita, bensì al suo contenuto e alla ricezione e modalità di visione da parte del suo pubblico, che se abituato ad un cinema di finzione popolare di commedia o di dramma spesso e volentieri rassicurante, pur essendo amaro, si ritrova in questo caso ad osservare un’opera documentaristica che la finzione sceglie aprioristicamente di negarla, in funzione di una verità fin troppo intima, invasiva e dolorosa, come d’altronde un buon documentario dovrebbe fare, senza abbellimento alcuno.

Eva Padoan, guida di un intenso racconto familiare

Il cammino che Patierno e Marino intraprendono ha inizio perciò nella fanciullezza della stessa Marino, raccontata attraverso polaroid familiari, accompagnate dalla voce fuori campo della narratrice Eva Padoan, che prendendo per mano lo spettatore per l’intera durata del film, interpreta seppur con l’uso della sola voce racconti, accadimenti, sensazioni, emozioni e drammi sempre diversi, ma in ogni caso legati allo stesso modo dall’incombente patologia ed eterna compagna di viaggio della Marino, ossia la depressione, ed il bipolarismo, che da uno stadio iniziale apparentemente non preoccupante, divengono via via più gravi, fino alla reale conoscenza della morte.

Appena prima della morte però, c’è la vita, che si divide tra più luoghi e individui, Napoli, Roma, ancora Napoli e poi Pescara. Eva Padoan osservando dolcemente e nostalgicamente il vissuto della Marino ci guida tra innamoramenti giovanili, periodi di spensieratezza, ombre di un male eterno che cresce nell’anima senza tuttavia reclamare la propria presenza, e poi ancora turbamenti e drammi familiari, dati da una condizione di affetto e sentimento genitoriale pressoché assente, cui la Marino risponde fin da subito con un impellente desiderio e volontà di autonomia, di distacco e abbandono di quei luoghi così cupi, eppure nevralgici della sua esistenza, tanto a livello geografico, quanto psicologico.

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Passando per le colpe dei padri e delle madri, Svegliami a mezzanotte riflette sugli effetti che la famiglia disfunzionale e segnata dal dolore produce sui figli, considerando come inevitabile, o almeno così pare, il sopraggiungere di una riflessione fin troppo profonda, precoce e buia, che Patierno comunica allo spettatore soffermandosi brevemente su alcune pagine di diario della Marino adolescente che comprendono passaggi come:

“Sono così depressa che nessuna musica va bene adesso” oppure “Nessun dolore fisico è paragonabile ad una testa che non funziona”.

Ancora una volta, scansando ogni equivoco, il racconto familiare di Francesco Patierno e Fuani Marino non ricerca altro che l’intensità, l’analisi drammatica e la concentrazione sul male, tralasciando qualsiasi possibilità di leggerezza o di respiro spensierato, perfino nei segmenti riguardanti la gravidanza della Marino, che se possibile appaiono ancor più tensivi, drammatici e bui del precedente percorso coming of age, condotto e ricostruito con meticoloso rispetto cronologico tra fotografie e frammenti video dall’indubbia capacità comunicativa e allo stesso modo colmi di turbamento.

Cronaca di una morte annunciata, ma non riuscita  

26 luglio 2012. Il giorno che di fatto rappresenta il nucleo principale della narrazione di questo documentario. Come d’attese, Svegliami a mezzanotte, tanto per i lettori dell’omonimo romanzo, quanto per il pubblico più generalista, osservando il percorso di vita della Marino, non perde mai di vista il proprio apice narrativo, quello che inevitabilmente ha condotto alla pubblicazione del romanzo e poi alla realizzazione della sua trasposizione filmica, ossia, la cronaca di un morte annunciata e vissuta, seppur scampata, quella della stessa Fuani Marino.

Quel giorno infatti corrisponde al momento in cui la Marino decide una volta per tutte di conoscere la morte, tentando il suicidio buttandosi giù da un terrazzo appositamente scelto nei giorni precedenti, poiché considerato il più adatto per porre fine alle proprie sofferenze, suggerite e causate interminabilmente da quelle buie e insistenti compagne di viaggio che lungo l’intero documentario Francesco Patierno mostra e racconta servendosi di schizzi, disegni, fotografie, appunti e materiale video d’archivio che tra una sequenza e l’altra pongono tanto alla Marino, quanto allo spettatore domande come:

“Che cosa pensa chi sta per suicidarsi?”

Senza tuttavia, suggerire alcuna risposta.

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La caduta nel baratro della malattia mentale e della disperazione non ha mai fine, pur trovando sprazzi di sollievo e di apparente risalita nella parte finale, o più nello specifico, all’apparire di un dottoressa vagamente somigliante alla Diane Keaton di Io e Annie o Tutto può succedere che per la prima volta non osserva la Marino come un caso disperato e irrisolvibile, bensì come una donna che in quanto tale può dividersi tra tenacia e debolezza, stabilità e vuoto, riconducendola alla vita attraverso quella riflessione tanto semplice, quanto reale e sorprendentemente efficace da riecheggiare senza sosta fino agli ultimi minuti del film:

“Tu non sei quello che hai fatto, è solo una cosa che è successa”.

Sdoganare la malattia mentale e riflettere sui sensi di colpa

Se c’è poi un messaggio ancor più positivo che il film riesce a consegnare allo spettatore è che se operata con sincerità, cura, rispetto ed emotività, la malattia mentale con conseguente riflessione sul suicidio, l’uso – e abuso – di psicofarmaci, e così via, può rientrare indiscutibilmente e senza alcuna vergogna o pudore tra gli argomenti di discussione e dibattito tanto del cinema, quanto della letteratura contemporanea, senza per forza subire quella tipica rilettura addolcita, pacificata e consolatoria delle opere di finzione che se apparentemente sembrano voler raccontarla, la nascondono poco dopo o immediatamente, favorendo tracce narrative secondarie, come l’amore, il sollievo e così via.

Infatti, pur giungendo a conclusione, Svegliami a mezzanotte non si rivela affatto interessato nel comunicare allo spettatore una possibile – e totale – risoluzione di quel trauma che per settanta minuti gli è stato mostrato e raccontato fin troppo dettagliatamente e drammaticamente. All’opposto, il film lascia lo spettatore con ancor più domande poiché come Fuani Marino (o Eva Padoan per conto dell’autrice e protagonista) dice a sé stessa:

“La sensazione di non farcela non mi ha mai abbandonata, e percepisco continuamente il senso e ricordo di quel vuoto…”.

Nel congedarsi poi, Fuani Marino e Francesco Patierno rivelano il senso ultimo e più profondo del film, ossia l’opera cinematografica che diviene lettera dedicata alla figlioletta della Marino, Greta, elaborando dunque il film come mezzo di comprensione – o maggior conoscenza – di una madre dalle numerose ombre e cupe voci celate nell’anima e protette dalle cicatrici conseguenti la caduta.

Svegliami a mezzanotte - Cinematographe.it

Riflettendo sui sensi di colpa e sui dubbi emotivi e familiari che l’hanno sempre e inevitabilmente turbata la Marino rivela:

“Ho dovuto convivere con la sensazione di essere stata la rovina di mio marito. Di essere stata una moglie terribilmente difficile e capace di rendere un inferno anche le cose più semplici… “.

Dubbi che il marito dissolve tra le lacrime attraverso la lettura di un messaggio su carta, scritto dalla stessa Marino in ospedale nel corso della convalescenza e che rende chiaro a ciascun spettatore quanto l’amore sia l’arma più forte.

“Ogni persona ha la sua storia”

Quella di Fuani Marino è dolorosa, cupa e drammaticamente reale. Svegliami a mezzanotte non è un film per tutti. È un’esperienza per pochi che necessita di una visione accuratamente scelta rispetto ad uno stato d’animo adeguato, altrimenti il rischio è quello di passare oltre, non volendo affatto convivere o riflettere così duramente su di un male che quotidianamente e sempre più silenziosamente serpeggia nella società, diffondendosi senza sosta, ascolto, o comprensione.

Prodotto da Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Cinema, Svegliami a mezzanotte è stato presentato nel corso del 40°Torino Film Festival all’interno della sezione documentari, esce nelle sale cinematografiche italiane il 13 febbraio 2023.  

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.6