Berlinale 2019 – Synonymes: recensione del film di Nadav Lapid
Con Synonymes Nadav Lapid porta alla Berlinale 2019 un trattato sull'immigrazione molto divertente. Ecco la nostra recensione del film
Cosa significa essere occidentali? Che importanza ha? Lasciando da parte ogni retorica, sempre inutile e irritante, appartenere a un Paese piuttosto che a un altro fornisce dei privilegi, una posizione nel mondo diversa. Ecco perché quando il protagonista di Synonymes – film presentato in Concorso alla Berlinale 2019 – si mostra disposto a tutto pur di diventare francese, di cambiare la propria identità a costo di sacrificare se stesso, non possiamo che sederci davanti allo schermo e osservare in rigoroso silenzio. Anche perché la pellicola di Nadav Lapid è anche un sacco divertente.
Siamo a Parigi e le cose non iniziano benissimo per l’israeliano Yoav. È appena arrivato nella capitale francese e, mentre si sta facendo un bagno in un appartamento vuoto, viene derubato di tutto quello che possiede. Rimane nudo e in balia delle temperature impietose e non gli resta che cercare aiuto. Non lo trova e solo il mattino dopo una giovane coppia lo soccorre portandolo nel proprio appartamento.
Yoav ha grandi aspettative su Parigi, enormi. È determinato a liberarsi della sua nazionalità il prima possibile: per lui essere israeliano è una malattia, una pustola da rimuovere. Diventare francese significherebbe guarire, diventare un essere umano di serie A. Ma da qualche parte deve partire: il ragazzo, allora, decide di sostituire completamente la sua lingua, eliminando dal suo vocabolario ogni singola parola di ebraico e imparando più sinonimi francesi possibili.
Con Synonymes Nadav Lapid discute di accoglienza e adattamento
Synonymes racconta la storia personale del regista – uno straniero a Parigi – ed esplora in maniera estremamente umoristica il tema dell’immigrazione e dell’identità culturale. Cosa significa dover mettere le radici in un luogo nuovo, profondamente diverso dalle proprie origini? Con le avventure tragicomiche di Yoav ci ritroviamo a pensare all’adattamento, all’accoglienza e alle diversità. Vale la pena dimenticare ciò che eravamo per diventare quello che vogliamo essere?
Il film di Lapid è ottimo. Si muove sulla sottile linea tra bizzarro, folle e autoriale portando in vita un prodotto finale che, sorprendentemente, funziona. Synonymes fa ridere tantissimo ed è ridicolmente strambo. Nel suo insieme alcuni elementi in particolare si fanno notare per primi: pensiamo per esempio al protagonista (Tom Mercier), perfetto per la parte e con una fisicità, un modo di muoversi che ricorda quello di un’esibizione slapstick. L’attore scatta da una parte all’altra, corre e ondeggia caratterizzando il suo Yoav in maniera fortissima.
La forza di Synonymes: i dialoghi di Nadav Lapid
Dall’altro lato, però, c’è un’enorme componente che ha contribuito alla buona riuscita del film: i dialoghi. Lapid costruisce dei discorsi e racconta delle storie inimmaginabili. Forma pezzo per pezzo delle torri di pensieri e parole, che sembrano in bilico, ma non cadono mai. Come il suo protagonista anche il regista si affida ai sinonimi e ogni frase diventa una metafora da Thesaurus. Rimaniamo aggrovigliati nelle discussioni senza sapere bene come uscirne e come siamo arrivati fino a quel punto. Rimaniamo confusi e interdetti come se fossimo parte attiva di quella conversazione.
Questo modo brillante di affrontare un argomento che, altrimenti, sarebbe stato l’ennesimo strappa-cuore cinematografico, ci permette di aggiungere leggerezza e, contemporaneamente, obiettività alla storia. La parte drammatica non è eliminata, certo, rimane e persiste per bilanciare un discorso che altrimenti diventerebbe solo ridicolo. Ed è quando con estrema tragicità Yoav descrive Israele come un Paese “malvagio, osceno, ignorante, orrendo, vile, sordido, abominevole, fetido, ripugnante, detestabile, stupido e abbruttito”, che scatta questo meccanismo. Stiamo assistendo alla crisi d’identità di un ragazzo che si rifiuta di essere riconosciuto e associato a un Paese che non gli appartiene più, tragico sì, ma lo fa con rapidità di pensiero, di parole, di sinonimi, da diventare quasi comico. Soprattutto perché, come dice il suo amico Emile, “nessun Paese può essere tutte quelle cose”.
Synonymes è un ottimo esempio di cinema fatto di contenuti, oltre che da scelte registiche e di scrittura ingegnose e innovative. Va visto con la consapevolezza della situazione socio-culturale in cui stiamo vivendo e interpretando il messaggio senza troppi filtri e fronzoli. Chiunque siate in questo momento – Yoav o chi si trova oltre la porta chiusa che cerca violentemente di abbattere – chiedetevi cosa si prova a stare dall’altra parte.