Biografilm 2023 – Tell Me Iggy: recensione
Un documentario agiografico sul leggendario punk rocker Iggy Pop.
Tell Me Iggy, di Sophie Blondy è stato presentato in anteprima italiana al Biografilm Festival 2023.
Il documentario è incentrato sulla figura di Iggy Pop, ma invece di ripercorrerne in maniera filologica la carriera, indaga i motivi del successo e della fascinazione che il performer ha suscitato in diverse generazioni di ascoltatori. Partendo dallo spunto di un cortometraggio girato dalla stessa Blondy con Iggy protagonista, la regista intervista giornalisti, attori come Denis Lavant e Johnny Depp, registi come John Waters e musicisti come Blondie, per costruire un tributo visivo alla rockstar di Detroit.
Il corpo sacro dell’Iguana
Il documentario della Blondy è forse uno dei più tradizionali, per messa in scena e montaggio, fra quelli presenti in questa edizione del Biografilm. É costruito attorno a interviste a personaggi del jet set artistico internazionale, corredato da repertorio di live storici e immagini, girate e montate nello stile MTV dei tempi che furono. Soprattutto spiccano le varie interviste che Blondy fa al protagonista, nelle quali l’Iguana si racconta con piglio riflessivo e professionale, lasciandosi andare di tanto in tanto a riflessioni generali sulla vita e lo showbusiness.
Insomma non vi è nulla di particolare. L’intera operazione è un’agiografia che racconta dall’alto un mito pop a un pubblico, che si suppone adorante. Il corpo di Iggy viene “esposto” e offerto in varie fasi della propria carriera ed età, come un corpo sacro su cui concentrare la visione. Muscoli che si tendono, tagli – mostrati con moderazione – e balli erotici stabiliscono il legame fra l’immagine del rocker e una sua funzione sacrale, all’interno della società dello spettacolo. La sensualità che sottende ogni forma di astrazione delle forme, nell’arte, è portata ai massimi livelli dall’astrazione che il corpo e le movenze di Iggy assumono nella loro rappresentazione del mito rock. Le immagini della fisicità del cantante divengono segni di un furore dionisiaco, scatenato (e controllato da) all’interno dell’industria culturale, cioè all’interno dei meccanismi di consumo dell’arte di massa. L’icona di Iggy diventa il vettore attraverso cui forze libidiche e caotiche vengono incanalate dal capitalismo all’interno di un funzionale meccanismo economico che promette liberazione ai suoi consumatori: liberazione dalle norme borghesi, liberazione sessuale, liberazione dal dominio della razionalità tipica delle società industriali e postindustriali. Naturalmente la promessa, l’immagine, il fantasma di questa liberazione è ciò che realmente viene venduto. L’energia che passa da Iggy ai fan è anch’essa ingabbiata negli stessi meccanismi da cui promette di liberare. Per questo essa può attualizzarsi ed essere reale solo nell’arco di tempo delimitato dalla performance, come in una moderna versione del Carnevale medievale. Assistiamo alla riproduzione tecnica di massa di un rito sciamanico che consente una trascendenza limitata in un tempo di festa (il concerto) che si è acquistato. In quest’ottica Iggy effettivamente, come afferma l’amico Depp, è uno sciamano.
La Blondy d’altronde non riflette più di tanto su questi aspetti della questione. Come già accennato, la regista è interessata solo alla sacralizzazione dell’icona – riprende l’Iguana davanti a un quadro di Cristo – perché in realtà di riflesso vorrebbe sacralizzare la sua stessa esperienza artistica. Da qui la volontà di circoscrivere le interviste solo alle star e quella di evitare di concentrasi sulla biografia storica del rocker. Storicizzarne l’esperienza significherebbe ricordarne l’umanità e inserirlo in un processo storico, ridimensionarne il valore mitico/sacrale. Di conseguenza anche il lavoro della Blondy assumerebbe i tratti dell’ennesimo documento di un fenomeno culturale/economico. Invece se Iggy è un mito sacro, Tell Me Iggy può aspirare a esserne una sorta di Hávamál o di Nuovo Testamento e la sua autrice una profeta.
Tell Me Iggy: valutazione e conclusione
In definitiva sebbene montato e fotografato bene, il lavoro di Blondy risulta troppo agiografico e autocelebrativo. Si pone come un testo monolitico, che offre solo il punto di vista di una certa èlite culturale e per questo motivo non riesce ad essere un’analisi realmente interessante della figura di Iggy Pop. Quest’ultimo rimane comunque uno dei più grandi interpreti di un certo tipo di punk rock, che ha segnato la cultura pop e per questo, nonostante tutto, Tell Me Iggy si lascia guardare con leggerezza.