Tempo d’attesa: recensione del film dal Sole Luna Doc 2024
Un'opera profondissima che mira a raccontare la maternità, l'essere madre e il viaggio di queste donne, scevro da cliché sterili.
Un gruppo di donne parla. Più o meno giovani. Diverse sotto molti punti di vista, c’è una cosa che le unisce: la maternità. Questo, ma non solo, è il tema di Tempo d’attesa, l’intenso e potente documentario di Claudia Brignone, film in concorso al Sole Luna Doc (Palermo, 1-7 luglio 2024).
Tempo d’attesa: lo sguardo sensibile di una narratrice che con delicatezza entra nel cerchio di un gruppo di donne animate da speranze, sogni ma anche paure
Claudia Brignone è una narratrice attenta come il suo sguardo sensibile che accompagna con delicatezza lo spettatore dentro le sue storie. Questa volta narra qualcosa che le è ancora più vicino, mentre la regista girava il documentario anche lei era incinta. Si percepisce vicinanza e rispetto per le paure, le ansie di quelle donne, non c’è giudizio, ci sono volti, parole, visi delle partorienti. Il documentario nasce proprio dall’esperienza/dall’esigenza personale, dalle sue paure, quella di diventare madre, di affrontare questo passaggio; la forza, l’intensità e la potenza di idee, domande, concetti sono evidenti ed è chiaro quindi quanto tutto ciò fosse importante per la stessa Brignone che cercava esperienze utili, di sostegno in un momento della vita così delicato. Lei, come le altre donne, sorelle per un momento, per quei mesi, voleva smettere di avere paura e accogliere la creatura che aveva in grembo nel modo migliore, si tratta di responsabilità anche in quanto narratrice.
Tempo d’attesa è dialogo e interiorità, è pance e timori di madri future che esprimono ciò che spesso devono tenere/tengono celato; è un’esperienza corale quella che Brignone porta al centro, cosa che lei fa spesso nel suo cinema. Per Brignone, autrice spinta dal bisogno di narrare, la settima arte è forma di apertura al mondo attraverso l’incontro con altre.
Brignone entra in punta di piedi nella storia di queste gestanti, le lascia dialogare, aprirsi riguardo alle loro preoccupazioni e insicurezze, prendendosi i giusti tempi. Parla di maternità come di “uno sconvolgimento emotivo e fisico; ognuna deve sentirsi libera di viverla come crede”.
Teresa, una magnolia, una forza catalizzatrice che smuove, accarezza e ascolta le gestanti
Il gruppo di donne in gravidanza si incontra ogni settimana nel parco del Bosco di Capodimonte, a Napoli. Sotto ad una magnolia, ciascuna racconta il proprio percorso. Alcune storie sono simili, di bambini desiderati e subito arrivati, altre molto lontane, colme di difficoltà e sofferenza. Fulcro, crocevia e nucleo che prende tutto, lo elabora, sciogliendo i nodi, è Teresa De Pascale, ostetrica con molti anni d’esperienza, fondatrice dell’associazione “Terra Prena”, che aiuta le future mamme a partorire ma non solo, entra tra le pieghe delle loro anime, delle loro concrezioni naturali. Teresa non giudica, è pronta all’ascolto, è una sorta di divinità di parole e sentimenti, che tocca pance, accarezza fragilità, sorride, benignamente, con una risata piena e calda, di ciò che dicono perché lei sa, conosce, ha sentito tante altre mamme parlare in questo modo della gestazione e della genitorialità. Teresa è catalizzatrice, un’anima perfetta per essere protagonista di un film, è affascinante con il suo volto segnato da tutta la vita e l’esperienza avuta, con il suo corpo nodoso, un giunco su cui le narrazioni si aggrappano e diventato bagaglio importante.
Teresa è Tempo d’attesa, come lo sono le donne che Brignone porta sullo schermo e come lo è anche lei. Di minuto in minuto si azzerano i preconcetti, affronta tematiche che vengono costantemente sottovalutate, la solitudine, il silenzio, l’angoscia, il senso di colpa, cose che non si possono/non si devono dire perché maternità è felicità. Teresa raccoglie confidenze, esperienze e aspettative per il futuro di un gruppo di donne incinte, riunite in un cerchio in cui si fanno conoscere, quel gruppo è saldo e dona sicurezza. Yoga, respirazione, coinvolgimento del partner, consapevolezza della propria sessualità, violenza ostetrica, sono strumenti con cui la levatrice entra nel mondo di queste gestanti e accudisce la salute fisica e mentale delle sue “figlie”, “compagne”. Entra sempre più profondamente nella “materia”, tira fuori, ma senza essere invadente, questioni rimosse, suggerisce alle giovani (e meno giovani) gestanti di come il parto sia in relazione con il sessuale, dando loro modo di indagare temi, questioni complesse (anche assieme ai compagni, i futuri padri).
Tempo d’attesa: un’opera profondissima che mira a raccontare la maternità, l’essere madre e il viaggio di queste donne, scevro da cliché sterili
Tempo d’attesa è un’opera profondissima, intrisa di verità, è un canto di nascita e di trasformazione, di paure e di amore, di senso di colpa e di sessualità, di corpo e anima. Brignone è una tessitrice di tutto ciò e riesce a dare una dimensione allargata del vivere in comune, restituita dal suo sguardo espanso e sensibile. La registe si muove accanto ai corpi, ai timori e ai desideri delle donne protagoniste, con grande coraggio e attenzione, si fa sguardo delle differenti voci della coralità. Non c’è mai Brignone sulla scena, non sentiamo mai la sua voce eppure percepiamo il suo corpo, la sua voce, la sua esperienza in ogni sguardo, la sentiamo lì, in cerchio, sotto ad un albero. Lei instaura un rapporto con loro e assieme a loro ha creato uno spazio sicuro, protetta. Brignone restituisce la ricchezza di una comunità quasi arcaica, dove le donne si esprimono senza adeguarsi a niente e a nessuno, grazie a Teresa. Lo spettatore partecipa, è lì, si elabora non solo la gioia ma anche il magma di sentimenti che investe, positivi e negativi, tutte le donne.
L’occhio della documentarista indaga con estrema delicatezza le esperienze con cui entra in contatto, Brignone mira ad una narrazione pura, senza esibizione o descrizione. Questo avviene anche grazie ad alcune delle donne del gruppo di Teresa, che acconsentono a mostrare la loro intimità, la case in cui partoriranno e il loro travaglio, fino alla nascita.
Tempo d’attesa: valutazione e conclusione
Tempo d’attesa è un racconto estremamente puro e sincero. Brignone, come ha fatto anche nei suoi cortometraggi e negli altri due lungometraggi (La malattia del desiderio, del 2014, e La villa del 2019), è capace di entrare in contatto con la materia che tratta, con le persone protagoniste dei suoi lavori. Chi guarda è insieme a Teresa e alla donne del suo documentario, riesce ad ascoltare senza schemi accogliendo il momento di passaggio, denso di emozioni, dubbi e paure. Grazie allo sguardo della regista le partorienti, le aprono le porte della loro esistenza, la sentono dalla loro parte e questo ha fatto sì che Brignone si muova liberamente con la camera cosi vicina ai loro corpi.
L’opera della cineasta è un viaggio nei corpi, nella vita, nelle esistenze, è un racconto vibrante e poetico, capace di accarezzare il pubblico e che fa sentire le donne parte di un gruppo, è una geografia umana di corpi, di sentimenti multipli, plurali e ricchissimi di sfaccettature, tutte comprensibilissime. Si parla di maternità, nel senso più profondo e unico, e Brignone porta al cinema una storia importante, un tempo importante che sa essere anche molto complesso e mostra quanto le donne abbiano bisogno di uno spazio, di un luogo dove comunicare, parlare, incontrarsi.