Terminator Salvation: recensione del film con Christian Bale

Terminator Salvation cerca di dare un nuovo punto di vista alla saga nel rispetto dei fan e della trilogia originale, rimanendo però impantanato in una regia poco ispirata e dall'assenza di James Cameron.

Terminator Salvation (2009), diretto da Mcg, è passato alla storia come uno dei capitoli di rilancio di una saga meno riusciti di sempre, per un franchise, quello di Terminator, che riesce ad essere al contempo uno dei più floridi nonché uno più sfortunati nella storia del cinema di fantascienza (e non solo). Dopo i primi due capitoli targati James Cameron, capaci di rivoluzionare il genere attraverso un uso degli effetti speciali che, fino al 1991, non s’era mai visto prima, il franchise ha trovato una solida battuta d’arresto in un terzo capitolo – Le macchine ribelli (2003) – che non faceva che rispolverare la struttura narrativa de Il giorno del giudizio (1991) senza però quella cura dei personaggi in scena.

L’obiettivo di Columbia Pictures e Halcyon, a quel punto – forte del successo della prima stagione del serial Terminator: The Sarah Connor Chronicles (2008-2009), ambientato subito dopo gli eventi del secondo capitolo del 1991, era quello di rilanciare la saga di Terminator attraverso qualcosa di nuovo, magari un punto di vista inedito per una saga che, fino a quel punto, non aveva fatto altro che raccontare di robot (quasi) indistruttibili, fatti tornare indietro nel tempo per uccidere John Connor. È qui che entra in scena Terminator Salvation (2009), che ci mostra fin da subito la tanto raccontata – e finora poco mostrata se non tramite brevissimi flashback – guerra tra la Resistenza e Skynet, in una sequenza iniziale dalla regia dinamica che ci immerge da subito in uno scenario apocalittico, nel 2018 di John Connor (interpretato da Christian Bale).

Terminator Salvation infatti, sarebbe dovuto essere il primo capitolo di una nuova “Trilogia della Guerra del Futuro” scritta e diretta da Mcg, che ci avrebbe portati nel 2018 tanto raccontato da Kyle Reese (interpretato da Michael Biehn) in Terminator (1984), e dallo stesso T-800 (interpretato da Arnold Schwarzenegger) in Terminator 2: Il giorno del giudizio (1991). Purtroppo però i bassi incassi – oltre che la poca fiducia generale in un regista che, a detta dello stesso Christian Bale, non ha mai avuto una filmografia tale da giustificare un progetto così maestoso – han spinto la Columbia a cancellare i successivi due capitoli in lavorazione, rendendo così il lavoro alla base di Terminator Salvation, seppur ammirevole e innovativo, del tutto vano.

“Uccidere Kyle Reese, resettare il futuro, niente John Connor”

In Terminator Salvation, nell’evidente impossibilità di poter utilizzare il viaggio nel tempo come pretesto narrativo per raccontare della vita di John Connor e di come diventerà l’uomo a capo della Resistenza, si sceglie una soluzione alternativa. In una delle battute del film infatti, viene detto come John Connor non sia affatto il primo obiettivo di Skynet, piuttosto lo è Kyle Reese (interpretato da Anton Yelchin) – che per ovvie ragioni narrative essendo un prequel degli eventi “futuri” di Terminator (1984) non è ancora un Sergente della Resistenza, piuttosto un comune civile.

La pellicola infatti si dipana in una struttura narrativa che segue due archi ben delineati, quello del misterioso Marcus Wright (interpretato da Sam Worthington) che si imbatte nel giovane Reese impegnato a raggiungere la Skynet Central nella zona di San Francisco – con cui esplorare l’ambiente narrativo; e quello di John Connor, che tra il rivivere i ricordi di ciò che sua madre gli aveva insegnato a proposito del giorno del giudizio, è impegnato a guidare la Resistenza e a cercare Reese per salvargli la vita (nonché se stesso).
Archi che, giunti al terzo atto, si incrociano e compenetrano in una sequenza che rievoca per atmosfere e nel suo sviluppo, la liberazione di Leia (interpretata da Carrie Fisher) dalla Morte Nera in Star Wars: Episodio IV – Una Nuova Speranza (1977) e l’atto conclusivo di Terminator (1984) nella fabbrica.

Terminator Salvation - Cinematographe.it

Ulteriore elemento innovativo per aggiungere un po’ di pepe a una saga che come detto, ha sempre mantenuto una certa struttura narrativa ben delineata – è la presenza del personaggio di Marcus, che nel secondo atto si scopre essere un ibrido uomo-macchina utilizzato da Skynet come cavallo di troia per infiltrarsi nella Resistenza.

Marcus, oltre a creare una sorta di dualismo con il Connor di Bale sugli effettivi ruoli narrativi interpretati nella pellicola – Chi l’eroe? Chi il villain? Lo sono entrambi? – dà nuovo slancio alle implicazioni filosofico-esistenziali alla base della saga – ben esplicate in Terminator 2: Il giorno del giudizio (1991) – su come la differenza tra una macchina e un umano non sta tanto negli elementi meccanici al posto degli organi, piuttosto nel cuore.

Terminator Salvation, sacche di Resistenza per un ambiente narrativo globale dalla regia approssimativa

Terminator Salvation - Cinematographe.it

Altro pregio di Terminator Salvation è il dare una percezione globale dell’ambiente narrativo, cosa difficile da fare nella saga originale – perlopiù incentrata nell’ambiente di losangelino – ma che qui grazie alle comunicazioni di John Connor tramite ricetrasmittente, e a piccoli segmenti narrativi disseminati per tutta la pellicola, rendono la minaccia di Skynet non legata unicamente all’America (pur essendo il territorio americano l’arena in cui si svolgono gli eventi), ma ampliando il raggio d’azione, rendendo così il conflitto nucleare di proporzioni mondiali. Le sacche di Resistenza alle macchine di Skynet sono disseminate in tutto il mondo.

Un ambiente che tuttavia, per trasmettere allo spettatori i sapori di un mondo post-apocalittico, si avvicina ad un’estetica cinematografica che rievoca, un po’ troppo, una versione ancora non-nuclearizzata del Mad Max 2 (1982) di George Miller – risultando quindi poco originale e incapace di trasmettere un’autentica sensazione immersiva. Il tutto aggravato da una regia, quella di McG, che è ben lontana dalla mano “autoriale” di James Cameron, risultando banale, poco ispirata e non all’altezza dei canoni del genere.

Terminator Salvation, McG non è Cameron, e il progetto non decolla mai

Terminator Salvation, creato appositamente per i fan della saga – pur introducendo nuovi modelli di Terminator e riconoscendo l’importanza degli eventi narrativi della trilogia alla base – ragiona sulla propria fanbase consolidata, dando così nuovo lustro alle implicazioni filosofico-esistenziali tipiche del rapporto uomo/macchina.

Un progetto tuttavia affossato da un regista come Mcg che a differenza di Cameron e del suo estro pianificatore, non è un autore ma un semplice mestierante. Mcg infatti, priva Terminator Salvation della magia dell’essere un film di Terminator, dell’essere insomma T4 – un nuovo capitolo della saga stampata addosso all’iconico volto di Arnold Schwarzenegger (qui presente solo in cg); relegandolo così all’essere l’ennesima mediocre pellicola di fantascienza su una guerra tra uomini e robot – tematica ampiamente inflazionata dal cinema di genere con risultati altalenanti.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 3.5

2.5