Terra Incognita: recensione del documentario diretto da Enrico Masi
Disciplina narrativa del documentario; rivalità tra il processo etico, evolutivo e creativo; collaborazione estetica, linguistica e visiva. Terra Incognita, presentato in anteprima al Festival dei Popoli di Firenze, è al cinema dal 30 gennaio 2025.
Essere parte o far parte; l’“essere parte” implica una dimensione passiva, il “far parte” una partecipazione attiva nella società. Terra Incognita è la locuzione che, nel suo significato più intrinseco accompagna l’intera visione di un film che propone, da una parte, la cultura o, meglio ancora, il “culto” del silenzio in luoghi distanti dal frastuono della contemporaneità, attraverso una ricerca che si pone tra il fisico e il metafisico, inserendo nella lentezza immaginativa una fotocamera cinematografica che in modo eccellente esalta l’intera estetica.
Terra Incognita cattura l’agitazione della quiete
Terra Incognita diretto da Enrico Masi utilizza i registri interni del documentario indipendente; racconta la storia di una famiglia che vive sospesa tra le Alpi nell’eco di una montagna che si innalza tra l’Italia e la Francia. Una coppia e i loro figli, i lavori manuali, la passione per il violoncello questi elementi che riprendono e interpretano concettualmente l’arte antropologica praticata da Joseph Beuys, all’inizio del 1970 fino al 1986 – anno della sua morte – attuando un progetto che prese il nome di “Difesa della natura”, piantando in Abruzzo ben 14.00 querce.
Nel docufilm il ritmo è determinato da movimenti “calmi”, siglati da una fotografia “fredda” che sembra ipnotizzare e trasportare nelle profondità esistenziali che si contrappongono alle vette di una montagna tra le più alte al mondo. La famiglia Keyenburg vive quei luoghi nella continua ricerca di equilibri interiori, senza volontà di dimostrazioni sociologiche o antropologiche ma solo con l’esigenza di restare legati a tutto ciò che la natura, nella sua semplicità e originalità, offre.
L’estetica del documentario per la disciplina dell’individualismo
Terra Incognita cataloga la grandezza della natura catturando i suoni, le sensazioni di tutto ciò che parla con un proprio linguaggio, sempre unico.
L’estetica è sicuramente la parte fondamentale di questo film che fin da subito ci fa intendere una sua duplicità narrativa. La famiglia posta al centro scenico è composta da sei persone, vive ritirata dove la lentezza non ha pretese o limiti, sospesa nella precisione di un razionale autocontrollo che non risente della lontananza assordante di un progresso che a volte si dimostra alienante. -Si dice che a far impazzire sia la pianura mentre a nutrire la mente la montagna- Dall’altra parte, poco lontano, in Francia, la ricerca di un mondo “perfetto”, di un’energia inesauribile, di un controllo assoluto; la costruzione di una centrale nucleare, di una macchina che risucchia il tempo e l’uomo in una frenesia di controllo che investe solo ed esclusivamente la parte di una scientifica razionalità.
Da una parte il sogno che fa della natura condizione esistenziale, il sogno di creare una comunità in Canada indipendente; dall’altra la determinazione di un progetto tecnologico che vede la natura unicamente come strumento di una sperimentazione al fine di generare energia attraverso la fusione atomica.
Terra Incognita: valutazione e conclusione
Tra analisi criptica e rappresentazione cinematografica: l’intento è già nel titolo. L’incognita è l’esistenza di un essere diverso rispetto all’altro. Come è possibile una convivenza tra sconosciuti? Come è possibile far convivere ciò che è fisico e ciò che è astratto? Cosa è necessario per generare un’evoluzione che realmente abbia a che fare con una visione futura?
La stesura scenografica di Terra Incognita imprigiona i termini del documentario, la disciplina dell’immagine evidenzia chiaramente la realtà sia in ragion d’essere sia rispetto a un individuato all’interno di circostanze spaziali assolutamente definite.
Il modello di Herzog è indiscutibile; Enrico Masi lo adotta pienamente in Terra Incognita seppur l’intenzione non è la stessa di Grizzly Man (2005),prevale l’individualismo umano che sovrappone la tecnologia all’uomo attraverso la tesi scientifica dell’autosufficienza, ripudiando la natura come fondamento di un’essenza vitale.
Terra Incognita pone l’attenzione verso due prospettive che vanno in direzioni diverse, tra loro parallele e quindi senza possibilità di incontro: da una parte il silenzio dall’altra un continuo vociare che distrae l’uomo da una responsabilità etica nei confronti della sua stessa crescita che vede il progresso esclusivamente nei termini di risultati da laboratorio distanti e inconsapevoli delle conseguenze per un prossimo futuro.
Terra Incognita in 93 minuti è critica, utopia, analisi di un altro ‘Realismo Capitalista’.
Terra Incognita, diretto da Enrico Masi, scritto con Stefano Migliore e con la fotografia di Stefano Croci, è stato presentato in anteprima al Festival dei Popoli di Firenze; distribuito da Caucaso è in tutti i cinema dal 30 gennaio 2025.