TFF33 – Just Jim: recensione dell’opera prima di Craig Roberts
Just Jim è il brillante e simpatico esordio alla regia di Craig Roberts, giovanissimo attore, regista e sceneggiatore presente nella sezione Festa Mobile del 33. Torino Film Festival.
Roberts racconta, facendo riferimento agli stilemi del cinema indie d’autore alla Spike Jonze, Jason Reitman e Michel Gondry, una storia di tutti giorni, semplice, dentro alla quale qualsiasi adolescente, e non solo, potrebbe riconoscersi.
Jim (Craig Roberts) è un liceale che deve combattere ogni giorno contro quella giungla chiamata vita. Piuttosto solitario, goffo e timido, Jim è un Charlie Brown un po’ Burtoniano dei nostri giorni. Un perdente patentato che non può fare a meno di crogiolarsi su se stesso, vivendo desideri, conversazioni e un’identità più forte solo nella sua mente. Un freak incompreso, invisibile agli occhi dei suoi insegnanti e della sua stessa famiglia, abbandonato perfino dal suo stesso cane. Il suo unico vero amico è la custode stralunata di un cinema sempre deserto, dove Jim ama perdersi nei film noir.
La vita di Jim è destinata a cambiare con l’arrivo di Dean (Emile Hirsh), un americano trasferitosi all’improvviso vicino a casa sua. Un ragazzo intraprendente e sfrontato con il fascino alle James Dean, il quale scopo sembra essere solo quello di trasformare Jim in un vincente.
Inizia il percorso del ragazzo verso il cambiamento. Un cambiamento distorto dalle etichette, dal semplice gusto di apparire e di essere una versione opposta di se stessi per piacere agli altri. Ma essere diversi, essere popolari, non vuol dire essere migliori. Jim si accorgerà quasi troppo tardi di ciò che Dean sta davvero facendo. La popolarità di Jim, infatti, inizia a scemare velocemente. La sua rabbia e la sua frustrazione diventano agli occhi degli altri follia, alimentata dalle falsità di Dean stesso.
Just Jim – l’opera prima di Craig Roberts
Craig Roberts in uno slancio molto particolare e per nulla forzato, passa da quello che potrebbe sembrare un film di Jonze a un contorto gioco delle parti che potrebbe tranquillamente far riferimento a Fight Club di David Fincher. Viene quasi da chiedersi se Dean esista davvero e se non sia semplicemente la malata proiezione di ciò che Jim avrebbe sempre voluto essere ma che adesso, toccando con mano, si accorge di quanto letale e fuori controllo sia questa idealizzazione.
Just Jim è un racconto sulla presa di coscienza di se stessi. Sull’affrontare i propri fantasmi e le proprie paure, senza aggirarli e senza cambiarsi, ma semplicemente usando le proprie capacità e il proprio modo di essere. Un film sull’accettazione di se stessi e sulla crescita. Jim è in quella fase di transizione tra adolescenza ed età adulta, quando ci si chiede chi siamo per davvero e qual è il nostro posto nel mondo. Non siamo né peggio né meglio degli altri, siamo semplicemente noi. Così come Jim è semplicemente Jim, e lo scontro con Dean è proprio il suo banco di prova.
Colori pastello, andamento a passo d’uomo, quasi di soppiatto. Just Jim è una commedia acida, ironica e paradossale, che prende un’inaspettata svolta thriller sul finale, forse unica vera pecca troppo caricata della pellicola.
Emile Hirsh si mostra essere ancora una volta un promettente giovane attore, versatile e soprattutto credibile, capace di far perdere lo spettatore nei suoi personaggi; ma il vero inchino va nei confronti di Craig Roberts che, alla sua prima prova dietro la macchina da presa, non solo mostra di avere una grande capacità tecnica e stilistica, ma anche di riuscire a scrivere un buon film e a interpretarlo al tempo stesso.
Nonostante i piccoli difetti che possiamo trovare, come una risoluzione un po’ troppo sbrigativa e un eccessivo caricamento degli elementi all’interno della storia, forzando la mano sulla svolta più drammatica senza dare una concreta giustificazione degli eventi finali, Just Jim rimane l’opera prima di un ventiquattrenne che dimostra di avere un grandissima conoscenza del cinema, sia da un punto di vista storico che da quello tecnico, e di sapere tenere incollato allo schermo il pubblico per un’ora e mezzo senza annoiare.
Roberts ha sicuramente dimostrato di avere la stoffa per questo mestiere, di sapere comunicare con una storia semplice e anche di poter osare. Sicuramente c’è ancora tanta strada che questo giovane talento deve fare, ma non sarà di certo l’ultima volta che sentiremo parlare di lui.