TFF33 – The Forbidden Room: recensione del film di Guy Maddin
Tra sperimentazione e omaggio al cinema muto, The Forbidden Room di Guy Maddin e Evan Johnson si mostra essere tra le migliori sorprese del 33. Torino Film Festival.
Presentato nella sezione After Hours, The Forbidden Room è un mix tra lo slapstick alla Guy Ritchie, oniriche visioni lynchiane e atmosfere tipiche del cinema espressionista tedesco; lungometraggio composto da diversi episodi, impostato come se fosse una matrioska: una storia nella storia nella storia. Più semplicemente The Forbidden Room è Guy Maddin nella sua massima forma, sorprendendo con giochi tecnici lo spettatore e gli appassionati del genere.
Difficile stabilire una vera partenza per quest’opera, così come impossibile sarebbe ritrarre un filo logico di questi 120 minuti, ma tutto sembra avere più o meno inizio all’interno di un sottomarino destinato a scomparire con tutto il suo equipaggio, dove all’improvviso compare un boscaiolo senza memoria. Dalla comparsa del boscaiolo in poi inizieranno ad alternarsi le varie storie, le quali avranno quasi sempre gli stessi attori che passano di personaggio in personaggio. Questa la trama principale, contornata da uno stravagante e ironico tutorial sul come fare il perfetto bagno caldo, richiamo con l’acqua e l’immersione del sottomarino, ma anche sintesi di uno dei maggiori momenti di relax dove la mente può finalmente spegnersi per un po’ e, magari, iniziare a viaggiare in mondi lontani, come all’interno di un club anni ’40 o dentro alla tana di un “feroce” branco di lupi.
Lo stile di Maddin e l’impostazione di questo suo nuovo lavoro, si riconosce immediatamente dai titoli di testa. Una sequela di rifacimenti del cinema dei primi del novecento, con i classici colori e font per poter elencare il cast tecnico e artistico dell’opera in questioni.
Suoni e colori disturbanti. Un trip a volte angosciante, altre volte mistico, e ancora erotico. Si passa dal sonoro al muto con didascalie a sfondo nero; da un montaggio tradizionale ad uno decisamente più sperimentale. Molto rumore di fondo sull’immagine, quasi a voler ricreare una grana molto antica e, a volte, una pellicola sovraesposta. Maddin gioca moltissimo con i colori e passa dal bianco e nero al colore acido, arrivando a colori più caldo o, addirittura, posticci con una semplicità disarmante, tutto perfettamente armonico e meravigliosamente costruito. Un lavoro di tecnicismo e post produzione che sarà costato al regista e al suo assistente non poca fatica.
The Forbidden Room: tra sperimentazione e video arte per il nuovo film di Guy Maddin.
Al limite tra l’omaggio ad una grossa fetta del cinema fino agli anni’30 e la video arte vera e propria, Guy Maddin si immortala con The Forbidden Room in un lavoro sicuramente fuori dagli schemi e soprattutto rivolto a una nicchia molto ristretta.
Una pellicola contornata di numerosi camei, dove possiamo trovare tra i tanti nomi: Roy Dupuis, Louis Negin, Caroline Dhavernas, Paul Ahmarani, Mathieu Almaric, Udo Kier, Maria De Medeiros, Geraldine Chaplin, Ariane Labed.
Non è facilissimo restare concentrati dall’inizio alla fine. I troppi salti e i troppi giochi di trame intrapresi dalla pellicola tendono a far perdere lo spettatore, e spesso e volentieri non si riesce a comprendere quale filo stia realmente seguendo la narrazione; fino a che punto le varie storie vogliono davvero arrivare. A pellicola terminate rimane un po’ di amaro in bocca, un vago senso di confusione ed estraniamento; ma, tentare di trovare una consequenzialità daclassica storia a tre atti nel cinema di Maddin è più folle delle sue stesse opere. Un film da prendere con le pinze sicuramente destinato a breve vita al cinema, ma assolutamente consigliato agli amanti del genere e della sperimentazione.