The Animal Kingdom: recensione del film di Thomas Cailley

Regia di Thomas Cailley, in sala il 13 giugno 2024, The Animal Kingdom è un mix di realismo e fantasy che ci parla di libertà, amore e trasformazione. Con Romain Duris, Adèle Exarchopoulos e Paul Kircher.

Fantasy venato di realismo, realtà deformata da un’immaginazione vivace, fate voi, The Animal Kingdom è una rarità, il film che riesce a tenere aperto un canale di comunicazione tra i due versanti. Da un lato, affonda il dito nella piaga, alludendo alle trasformazioni che alterano drammaticamente contorni e fisionomia al mondo di oggi – che sotto tanti punti di vista (politico, ecologico, comportamentale) non somiglia per niente a quello di ieri – parlandoci di libertà, diversità, accettazione. Dall’altro, tempera la riflessione, non facile da digerire per lo spettatore, con un’attenzione al potenziale spettacolare della storia – il film è molto spettacolare, in effetti – e una forte carica sentimentale. Oltre l’afflato politico e lo sguardo sulla contemporaneità, la storia è quella di un padre e un figlio alle prese con una trasformazione che li travolge, anche se con modalità e tempistiche differenti. Imparare a conviverci, accettare la diversità, trovare l’amore nel dare libertà all’altro, tutto è morale in questa favola dalla forma e il contenuto esuberanti.

Regia di Thomas Cailley, con con Paul Kircher, Romain Duris, Adèle Exarchopoulos. Vincitore di 5 premi César, gli Oscar del cinema francese, passato a Cannes 2023 sezione Un Certain Regard, presentato al Biografilm l’8 giugno 2024, The Animal Kingdom arriva nella sale italiane il 13 giugno 2024 per I Wonder Pictures.

The Animal Kingdom: mondo nuovo, nuova normalità, vecchio amore

The Animal Kingdom cinematographe.it recensione
LE RÈGNE ANIMAL_© 2023 NORD-OUEST FILMS – STUDIOCANAL – FRANCE 2 CINÉMA – ARTÉMIS PRODUCTIONS / Photographe : IVAN MATHIE.

C’è un modo indiretto ma affidabile per capire se un film funziona. Vale, per The Animal Kingdom, in maniera anche abbastanza clamorosa, si vedrà poi perché. È il potere dell’intuizione, della realtà che irrompe nel film per provarne, in modo involontario e quindi ancora più efficace, le tesi. Thomas Cailley ha spiegato di aver scritto (insieme a Pauline Munier) la sceneggiatura di The Animal Kingdom nel 2019. Nell’immaginare una malattia misteriosa (ma è una malattia?) che mette il corpo a soqquadro con sintomi peculiari e invisibili modalità di trasmissione, nel far cronaca delle abitudini stravolte e della “nuova normalità” che altera i ritmi di vita individuale e collettiva – c’è proprio tutto, dal coprifuoco all’isolamento alla richiesta alla scienza di fare qualcosa – è chiaro che il regista francese ha centrato il bersaglio. Tutto quello che è successo dal 2020 in poi conferma la solidità delle argomentazioni portate all’attenzione del pubblico da The Animal Kingdom. Che diventa – trasversalmente, perché non è questa la priorità – una ficcante metafora del mondo nuovo made in Covid.

Ovviamente il senso politico del film, strettamente connesso all’attualità, può rivolgersi anche altrove. C’è chi leggerà, non sbagliando, un’allusione al cambiamento climatico, chi un riferimento all’intransigente xenofobia della retorica anti migranti, chi la strada per un rapporto più sano tra uomo e ambiente. Non è sbagliato accogliere suggestioni così diverse tra loro, la storia è fluida e le incoraggia apertamente. Che si alluda anche al nostro tormentato presente si capisce già dall’incipit, che per tensione e coerenza tematica è tra i più riusciti degli ultimi tempi. Un padre, François (Romain Duris), un figlio, Émile (Paul Kircher), intrappolati nel traffico. La monotonia bruscamente interrotta da un’esplosione di violenza, di cui è responsabile uno degli infetti, che sta mutando per effetto del morbo e ora è mezzo uomo e mezzo uccello. Si chiama Fix (Tom Mercier).

Padre e figlio hanno una moglie e una madre, Lana, anche lei mutante. Vogliono starle accanto e si trasferiscono in prossimità del centro di accoglienza (detenzione) che la ospiterà da lì in avanti, sperando in una cura. C’è un incidente e il mezzo che trasporta i mutanti va fuori strada, liberandoli. Émile e François devono darsi da fare per ritrovarla nei boschi lì intorno ed è un problema, perché la piccola comunità che li circonda è per lo più segnata da un odio feroce per il diverso. Ci sono un paio di eccezioni: Julia (Adèle Exarchopoulos), agente di polizia che solidarizza con François e Nina (Billie Blain), compagna di classe molto presa da Émile. Lui fa amicizia con Fix e passa sempre più tempo nei boschi, con i mutanti. Non solo per cercare la madre. All’oscuro di tutti, Émile sta mutando. In che modo la mutazione stravolgerà i rapporti tra padre e figlio? La diversità dell’uno verrà accolta, come, dall’altro? L’amore di un padre (ok, questa è retorica) si riflette maggiormente nell’atteggiamento iperprotettivo o nella “resa” all’emancipazione altrui? Gli interrogativi che il film si e ci pone, hanno a che fare con i sentimenti. Le risposte, sono anche politiche.

Sentimenti, libertà, contemporaneità, fantasia: parole chiave di un film vitale e molto interessante

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LE RÈGNE ANIMAL_© 2023 NORD-OUEST FILMS – STUDIOCANAL – FRANCE 2 CINÉMA – ARTÉMIS PRODUCTIONS / Photographe : IVAN MATHIE.

Se la coerenza è la virtù da mettere in cima alla lista, quella di The Animal Kingdom comincia da un’atmosfera di genere flessibile, ibrida, che ruba al realismo e al fantasy dove e quando può, senza scegliere una volta per tutte se essere l’uno o l’altro. E, per una volta, l’indecisione – che, precisiamolo, è il frutto di una scelta deliberata del suo autore e non il parto di una visione confusa e frettolosa – è esattamente quello che serve, al film per ingranare e al pubblico per farsi trascinare dentro la storia. Thomas Cailley fa scontrare due forze decisive, immutabili anche se molto diverse: l’amore – in questo caso quello di un padre per suo figlio e viceversa – e il cambiamento. The Animal Kingdom racconta bene l’ansia apocalittica di questi anni di transizione verso un domani che fatichiamo a decifrare. Lo fa sottolineando il potenziale catartico e rigeneratore del cambiamento, non compiacendosi morbosamente di fronte allo spettacolo del mondo vecchio in fiamme. Fatica un po’ a portarci “dentro” la mutazione di Émile, la racconta meglio da fuori, quando la affida allo sguardo del protagonista. Ma il senso della metafora è valido da qualsiasi verso si scelga di osservarlo.

La natura ibrida e multiforme di The Animal Kingdom alimenta il gioco cinefilo delle suggestioni perché il film, spettacolare e intimo, in bilico tra i generi, che prende di petto la contemporaneità immergendola, ridisegnandone i contorni, in un bagno creativo e vitale, costruisce il suo universo allineando somiglianze e “prestiti” da tanto cinema di ieri. Ci sono titoli di cui a parlarci è proprio Thomas Cailley. Da Un mondo perfetto (Clint Eastwood) a The Host (Bong Joon-ho) a Thelma & Louise (Ridley Scott) – ovvio che la mutazione evochi anche tanto cinema commerciale in materia (X-Men, non troverete una citazione più pigra di così) – ma come scordare il debito di riconoscenza al totem Spielberg, in questa storia di padri e figli che devono ritrovarsi. Politica, ma raccontata dai sentimenti. Realistica e piena d’immaginazione.

Bisogna parlare degli interpreti. C’è l’energia elettrica, nervosa, il carisma, giovane ma consapevole, del bravo Paul Kircher, c’è la maturità malinconica ma vitale di Romain Duris, c’è la sorda complicità e l’empatia di Adèle Exarchopoulos; il suo minutaggio è il tallone d’Achille del film perché lei, in scena, c’è meno di quanto si desidererebbe, ma è evidente che la storia non riusciva a darle più di questo, un peccato. Sono, i due protagonisti e la terza leggermente defilata, i vertici di un triangolo che illumina il senso, politico e emotivo, del film. La sfida più dura per un genitore è anche la più importante. Riconoscere, come prova estrema d’amore, il dovere e la necessità di lasciar andare i figli. Accettare che la vita li porti dove serve che vadano, accogliendo il cambiamento, confrontandosi con l’idea della diversità in maniera costruttiva (e onesta), riconoscendo la ricchezza nella varietà e non chiudendosi a riccio. Un film potente, perché sa legare bene l’esteriorità (il mondo che cambia) e l’interiorità (sentimentale) del suo discorso.

The Animal Kingdom: valutazione e conclusione

Come ogni storia che parte dall’uomo per parlarci del suo rapporto con il mondo, The Animal Kingdom è materia politica, scottante. Ma Thomas Cailley sa che il modo migliore per essere politici, al cinema, è rispettare profondamente lo spettacolo e non dimenticare i sentimenti. The Animal Kingdom è un’avventura a misura d’uomo, emotivamente risonante e ben allineata con le preoccupazioni e i problemi del mondo di oggi. Forse cede un po’ sul finale, frettoloso nell’allineare i protagonisti alla morale della favola – libertà e amore nel cambiamento – ma non è grave. The Animal Kingdom è cinema, è un’idea di spettacolo vitale, una metafora che funziona in superficie e in profondità. Il cinema italiano prenda spunto.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.3