The Apprentice: la recensione del film su Donald Trump con Sebastian Stan

Abbiamo visto, all'anteprima stampa mondiale del Festival di Cannes, il nuovo film di Ali Abbasi che racconta Donald Trump negli anni in cui si occupava del settore immobiliare.

Dopo sette giorni intensi, serrati e pieni di film di enorme spessore, questo Festival di Cannes non sembra conoscere battute di arresto, e prosegue con una delle pellicole più belle viste finora nel concorso ufficiale: The Apprentice è l’opera di Ali Abbasi, regista iraniano che di recente sta meritatamente prendendo quota nel panorama cinematografico internazionale. Stavolta lo troviamo alle prese con una atipica biografia di Donald Trump, ambientata negli anni che precedono il suo impegno politico e che riguardano invece la sua attività nel ramo immobiliare.

The Apprentice: un horror travestito da commedia

Abbasi ha iniziato a tutti gli effetti la sua scalata con Holy Spider – che a Cannes ha trionfato nella categoria “miglior attrice” -, un thriller teso e crepuscolare di matrice politica che racconta una storia di omicidi e sopraffazione. In questo caso vira solo apparentemente verso il tono della commedia e verso un’altra modalità di messa in scena, ma in realtà propone un immaginario simile: il Trump di Sebastian Stan definisce se stesso un “killer”, e The Apprentice è di fatto un horror dei più mostruosi e (in)sinuosamente violenti.

Il linguaggio del film è quello spinto e dinamico della commedia, raffinata e tagliente nelle sue battute e incursioni, ma la finestra attraverso cui Abbasi ci fa guardare non è in alcun modo divertente – o almeno, lo è solo in apertura e solo per inganno. Certo, il giudizio si percepisce e solitamente non è mai un buon segno, ma in questo caso l’autore riesce a mantenere un equilibrio sottile e teso tra l’umanizzazione del e la riprovazione verso il protagonista: (il giovane) Trump alla fine dei giochi viene condannato, ma non quanto il padre anaffettivo, il padre imprenditoriale demoniaco e la madre America fintamente democratica che lo hanno “fatto” a loro immagine e somiglianza.

La chirurgia plastica di Abbasi

La chirurgia plastica a cui ricorre il protagonista per “spillare” il proprio scalpo evitando la perdita dei capelli – in una delle scene più orribili e potenti del film – è la stessa che è al servizio della società occidentale contemporanea, che tende a rielaborare il proprio corpo utilizzando gli altri come specchio, ed è la stessa degli Stati Uniti d’America, che tramite qualche ritocco vorrebbe assumere l’aspetto di una vera democrazia; ma è anche la medesima arma di cui si avvale Abbasi per rendere il suo film apparentemente leggero e scanzonato, quando invece si tratta a tutti gli effetti di un horror senza urla o sangue versato – in questo senso è bravissimo Stan nel trasmettere questo senso di orrore attraverso le espressioni facciali e le frasi quasi bloccate sotto i denti.

Il versante tecnico lavora proprio in questa direzione: la regia è (sempre in maniera illusoria) modesta e poco invadente, costantemente al servizio della storia, mentre la fotografia – pregevole, colora le immagini come fossero una diapositiva rigata dal sole “meraviglioso” di New York – e le musiche caricate(e)urali contribuiscono a creare il contrasto ritmico, visivo e concettuale che anima il film. E se alcuni critici stanno lamentando la mancanza (apparente) di fuochi d’artificio allora, caro Abbasi, (don’t) make cinema great again!

Valutazione finale e conclusioni

Abbasi firma un’opera inedita per la sua carriera, eppure paradossalmente anche molto familiare e radicata nelle proprie corde autorali. The Apprentice è un film crudo e spietato, uno dei più belli in concorso.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Sonoro - 3
Fotografia - 5
Recitazione - 4
Emozione - 3

3.8