The assesment: recensione del film con Elizabeth Olsen, Himesh Patel e Alicia Vikander dal TFF42
The assesment, diretto da Fleur Fortune, è stato presentato fuori concorso al 42º Torino Film Festival. Un film distopico che presenta un mondo devastato dai cambiamenti climatici, con criteri per ottimizzare le scelte di vita, in particolare quella di avere figli. Con un cast che vede gli straordinari Elizabeth Olsen, Himesh Patel, insieme ad Alicia Vikander, Charlotte Ritchie, Minnie Driver, Indira Varma, Nicholas Pinnock e moltissimi altri, The assesment racconta i sei giorni di valutazione che i protagonisti passano con la persona che giudicherà se sono preparati, abilitati e promossi per potersi adeguatamente prendere cura di un figlio.
The assesment: la terribile valutazione alla base del film
Cosa vuol dire essere genitori e come si può valutare se si è pronti o meno a diventarlo? Da questa domanda parte The assesment. Inizia mostrando una coppia, Mia e Aaryan, in attesa di scoprire se realizzeranno finalmente il loro sogno e cioè se saranno considerati adatti e qualificati per avere un figlio. I due sono spaventati, ma ottimisti, ed è così che fanno la conoscenza di Virginia, autorità di valutazione cinica e glaciale, una donna apparentemente indifferente e imperturbabile. Virginia, arida e impassibile, entra nelle loro vite e nel loro ambiente, sbucando da ogni angolo, appostandosi dietro ogni porta. Ma Virginia diventerà poi anche l’ipotetica bambina che verrà affidata a Mia e Aaryan, mettendoli di fronte a tutto ciò che può accadere tra genitori e figli, puntando a situazioni che finiscono spesso fuori controllo, in cui la coppia si trova in netto disaccordo. C’è un briciolo di invidia se Virginia si lega più a uno che all’altro, c’è una totale instantanea solitudine, una fulminea incapacità di capire dover aver sbagliato, e un’inaspettata insufficienza di mezzi per capire come rimediare.
The assesment si sofferma, con opportuna dedizione, su quanto il vissuto dei genitori ricada irrimediabilmente sui figli, che si tratti di pregi, difetti, traumi passati, caratteri, personalità e qualsiasi altro impercettibile fattore. Per quanto sembri una realtà ormai datata, The assesment sceglie con attenzione cosa mostrare e cosa tralasciare, con una doppia amarezza che filtra attraverso lo sguardo afflitto e pieno di amore di Elizabeth Olsen, e attraverso quello più divertito, compiaciuto e poi timoroso di Himesh Patel. Se dramma e malinconia si ritrovano nel fatto che non esiste un manuale, né regole da seguire, né leggi alle quali sottostare, che possano rendere un padre e una madre dei genitori impeccabili, c’è un senso di desolazione e sconforto anche nel personaggio dell’agente di valutazione, che non può mai svincolarsi dal proprio ruolo, se non quando deve comportarsi come qualsiasi altro bambino. Non potendo constatare il senso del pericolo o dell’impegno, tra capricci e fiducia da guadagnare.
L’inadeguatezza nascosta dietro la regolare volontà di sentirsi completi
Ma in tutto questo manca la sincerità, perché quella finta bambina che devono accudire, è in realtà un’adulta, è lì per scegliere se loro avranno questo privilegio, e ogni loro errore può essere fatale. Privacy, intimità, legami e memorie vengono violate da quella donna che si comporta da bambina: momenti di genuinità che innalzano il livello del film, che gli danno quel pizzico di spontaneità. Una spontaneità ben edificata e congegnata. È in soli sette giorni, fatti di prove a cui sono sottoposti i due, forse, futuri genitori, che si sceglie a chi affidare uno dei “compiti” più difficili e antichi del mondo: crescere qualcuno, amarlo come merita, sostenerlo e educarlo. Entrando nell’ottica che, stabilmente e necessariamente, con un figlio, prima o poi, si sbaglierà. Per il resto The assesment ha molte scene, vicende e sequenze prevedibili, che spezzano l’intensità emotiva di altre. Il lavoro di Aaryan che prende una piega positiva diventa il desiderio recondito e inespresso: la genialità riconosciuta. La serra che immagazzina le sensazionali scoperte di Mia è la sua fame di conoscenza, l’amore per tutto ciò che può essere ricreato e per distruggere quel clima che ha cambiato tutto. Due mondi che sono effige, formula e segno dell’interiorità di ognuno, di ciò che li muove, li fa sentire vivi, li spinge oltre i propri limiti.
Facendo così sorgere la più comune domanda sul tema: desiderando veramente diventare genitori? E se il quesito è in parte intuito sin da subito, è ciò che devono dimostrare, a se stessi, e all’altro, a farli procedere: l’urgente e imperioso bisogno di sentirsi all’altezza. La recitazione ci riesce, la regia e la sceneggiatura anche, eppure al film manca qualcosa. Dall’ambientazione fin troppo semplice: una spiaggia, una casa dall’esterno fatiscente e dall’interno costituito da stanze ampie, comunicanti e pittoresche, fino alla capacità espressiva di trasmettere realmente un’emozione, che se è infallibile nella prima parte, perde nella seconda, in particolare nell’ultima. Il finale in un film distopico deve essere obbligatoriamente più entusiasmante e inaspettata dell’intero racconto. A salvare The assesment, prima di tutti è l’interpretazione: se su Elizabeth Olsen e Himesh Patel non si avevano più dubbi, è Alicia Vikander a sorprendere per la sua performance. Interpretando, come il ruolo lo richiede, una fredda agente di valutazione, una bambina a volte dispettosa, altre volte dolce e altre ancora incosciente, come spesso si è quando si è piccoli. E diventando poi anche la persona dietro il lavoro, dietro il protocollo che le imponeva di trasformarsi, di mantenere il distacco, di non essere mai del tutto sincera.
The assesment: valutazione e conclusione
La verità è che i film distopici finiscono per assomigliarsi tutti, ed è veramente difficile trovare un prodotto del genere che si possa definire veramente innovativo, autentico, che non si avvi sempre e solo verso la consapevolezza che non esiste un mondo perfetto, che riorganizzarsi è difficile, a volte impossibile, e che qualsiasi sistema autoritario, anche se sembra idilliaco e unico, mira sempre all’annullamento dei sentimenti, della realtà, e nasconde, ogni volta, qualcosa di terribile. La distopia, ambientazione quasi onnipresente da almeno quindici anni, continua ad affascinare, a disorientare e lasciare interdetti. Come The assesment riesce a fare, ma mancando comunque di un’originalità di fondo. La singolarità e l’eccentricità che rendono il film coinvolgente e carismatico come ogni storia distopica dovrebbe essere, riguardano l’idoneità genitoriale, da dover stabilire attraverso un test paradossale e illogico. O l’importanza che si dà al concetto di speranza, di sensazione, di quanto spesso si preferisce essere ingannati, vivere un’esistenza che non è reale, ma che ci si può convincere essere vera. La conclusione e quindi la forza ammaliatrice del film risiede in concezioni che vengono però fin troppo lasciate intendere, neanche approfondite, che i personaggi rivelano e che a livello sostanziale hanno il loro grado di esclusività e smarrimento, ma che comunque non sono abbastanza.
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