The Beatles – Eight Days a Week: recensione del documentario di Ron Howard
«Questa è Beatleland, al secolo la Gran Bretagna, dove è scoppiata un’epidemia». Con queste parole, nei primissimi anni Sessanta, un incredulo speaker radiofonico cercava di descrivere ai suoi ascoltatori la Beatlemania: un fenomeno sociologico e culturale del tutto privo di precedenti, che consisteva in una venerazione potente e incondizionata per i Beatles e si manifestava attraverso crisi isteriche, assembramenti di folle euforiche, urla, pianti disperati e svenimenti. Non è facile, per chi non ha vissuto quegli anni, rendersi conto fino in fondo della portata del fenomeno.
Con The Beatles – Eight Days a Week il regista premio Oscar Ron Howard porta il quartetto di Liverpool al cinema
È per questa ragione che il regista premio Oscar Ron Howard (A Beautiful Mind) ha deciso di portare i fab four al cinema con The Beatles – Eight Days a Week, nelle sale italiane dal 15 al 21 settembre. Il documentario è un viaggio attraverso gli anni cruciali della vita del quartetto di Liverpool – dai celebri show al Cavern Club del periodo 1961-63 sino all’ultimo, storico concerto del 30 gennaio ’69, sul tetto degli uffici della Apple Records a Londra – raccontati attraverso il montaggio di foto e, soprattutto, di filmati dell’epoca, inframezzati da interviste originali a Paul McCartney e Ringo Starr e a tanti altri personaggi.
Il film si compone di inediti filmati d’epoca girati dai fan ai concerti, montati insieme a materiale d’archivio e a interviste originali
Un progetto, questo, che ha conosciuto una lunga gestazione: era il 2002 quando la società di produzione One Voice One World propose alla Apple Corps Ltd. dei Beatles di avviare una ricerca dei filmati amatoriali registrati dai fan di John, Paul, Ringo e George nel corso dei vari concerti della band. Quando Ron Howard si unì all’operazione un’impressionante quantità di materiale era già stata reperita. Il produttore Nigel Sinclair racconta, infatti, di aver dovuto addirittura istituire un centralino speciale per gestire tutte le chiamate che arrivavano.
Un team di archivisti, ricercatori, assistenti montatori e restauratori si è poi occupato di cucire insieme questi filmati – realizzati per lo più in Super 8, sia in bianco e nero che a colori – e i vari materiali d’archivio. Merita di essere menzionato anche il lavoro del dipartimento suono, che ha saputo ottenere la migliore qualità possibile da tracce audio spesso pessime, nelle quali la musica della band risultava completamente sovrastata dalle grida dei fan e dal rumore di fondo, senza ricorrere alla campionatura o all’aggiunta di nuovi suoni.
Il documentario si conclude con 30 minuti dello storico concerto del 15 agosto 1965 allo Shea Stadium di New York
The Beatles – Eight Days a Week si snoda così tra fotografie, video dei concerti (tantissimi!), interviste dell’epoca e dietro le quinte (come quello girato dai fratelli Maysles per il documentario What’s happening! The Beatles in the USA, dedicato al primo tour americano del gruppo) seguendo il percorso della band, scandito dai vari tour nazionali e internazionali e dalle uscite discografiche. Il primo viaggio negli USA, il tour mondiale, i film, i periodi in studio con George Martin, il concerto-record da 55mila persone allo Shea Stadium di New York…con tanto di amplificatori costruiti dalla Vox per l’occasione. Ma anche la stanchezza degli ultimi anni, la fortissima presa di posizione della band nella questione della segregazione razziale in occasione del concerto a Jacksonville, le tensioni a seguito della controversa – e male interpretata – dichiarazione in cui Lennon paragonava i Beatles, per grandezza e per fama, a Gesù Cristo.
C’è tutto questo nel documentario di Ron Howard. Chi spera di scoprire qualcosa di nuovo sulla band di Liverpool rimarrà, per lo più, deluso: l’occhio del regista, infatti, ripercorre la storia dei Beatles concentrandosi non tanto sul gruppo in sé quanto, piuttosto, sul successo che John Lennon, Paul McCartney, George Harrison e Ringo Starr conobbero, esplorato anche in chiave sociologica. Solo in questo modo chi non ha vissuto gli anni sfrenati della beatlemania potrà capire che « Non è Presley. Non è Sinatra. Non è il compianto Presidente Kennedy. Sono i Beatles e non hanno precedenti!». Ai fan che conoscono già la storia rimangono due ore buone di filmati originali restaurati, con tanto di mezz’ora di concerto allo Shea Stadium con audio remixato agli Abbey Road Studios. E non è mica poco.