The Bikeriders: recensione del film di Jeff Nichols
Jeff Nichols ancora una volta cantore del provincialismo americano. Giunto al suo sesto lungometraggio da regista, quello più probabilmente travagliato, ambizioso e complesso, l’autore di Take Shelter si adagia fin troppo comodamente sulla sella delle motociclette dei Vandals, rischiando di perderne il controllo senza più ritrovarlo. Sull’amore, la gelosia, il possesso e la paura. The Bikeriders è in sala da mercoledì 19 giugno
Se c’è una domanda che più di ogni altra dobbiamo porci guardando The Bikeriders, il sesto lungometraggio da regista di Jeff Nichols, ispirato all’omonimo fotoromanzo di Danny Lyon sulle vicende del moto club degli Outlaws MC è, lascerà mai l’America di provincia Jeff Nichols? Sono lontani ormai i tempi di Shotgun Stories, poco meno quelli di Mud, splendido dramma indipendente a tinte thriller con una doppietta d’interpretazioni tutt’oggi insuperata nel cinema di Nichols e forse perfino insuperabile. Ricordate Sam Shepard e Matthew McConaughey armati a spasso tra le paludi?
Nonostante l’autore di Midnight Special e Loving – L’amore deve nascere libero abbia dimostrato nel corso degli anni di sapere il fatto suo, ad oggi, tra film di notevole spessore ed altri invece scarsamente interessanti, non si ha ancora certezza di un preciso punto d’arrivo. The Bikeriders infatti è tutto ciò che non avremmo mai pensato di vedere conoscendone l’autore, sfortunatamente, così è stato.
The Vandals. I motociclisti gelosi che giocarono ai gangster, scottandosi con le marmitte e così con la vita, l’amore e la paura
Ohio. Tra squallidi diner, catapecchie mal frequentate e distese di campi e boschi infangati e desolati, si muovono i Vandals. Dapprima un circolo di amici con la passione per la motocicletta, poi una gang e infine una congrega mafiosa che The Bikeriders ci presenta come una setta. La quale sorprendentemente, anziché incutere timore, come avrebbe dovuto essere, strappa fin troppe risate e così riflessioni in merito alla natura ambigua di una moltitudine di dinamiche che Nichols purtroppo manca d’approfondire.
La ragione? Non è chiara. Un solo esempio, l’evidente tensione omoerotica tra Benny (Austin Butler) ed il suo leader Johnny (Tom Hardy) che sotterraneamente – e sottilmente – sopravvive ad una narrazione fin troppo convenzionale, oltreché impigrita, tanto da un incessante citazionismo cinefilo, quanto da un irrimediabilmente scarno sentimentalismo drammatico. Se è vero che a Nichols non sembri affatto interessare l’origine dei Vandals, poiché da quando gli stessi hanno inizio non si ha mai realmente la sensazione di comprenderne la ragione d’esistenza, è altrettanto vero che The Bikeriders faccia di tutto pur d’apparire come un film estremamente femminista, nonostante in definitiva non lo sia, o almeno, molto poco.
Come spesso accade nel cinema che racconta i centauri o più in generale la passione per la motocicletta infatti, lo sguardo è tipicamente maschile e con esso la fisicità. Non fa eccezione il sesto lungometraggio di Jeff Nichols, nonostante la voce narrante appartenga – ma non il ruolo da protagonista – alla giovane, ingenua e bella Kathy (Jodie Comer), colei che in principio teme e poco dopo ama i Vandals, sottomettendosi a loro ed infine sfidandoli, un po’ per amore e un po’ per fanciulleschi giochi di potere, che si rincorrono via via nel corso del film, dando il là a sciocche dinamiche di gelosia, possesso e cura.
Forse il nucleo di The Bikeriders risiede proprio qui, nell’incontro e scontro tra due differenti individualità, una maschile rappresentata dal folle e violento leader Johnny ed una femminile rappresentata da Kathy, anime agli antipodi, accomunate però dal medesimo gioco manipolatorio ed emotivo. Johnny e Kathy desiderano Benny. Il primo può averlo come fratello, ma non è mai abbastanza, la seconda invece, può averlo come amore, pur non accontentandosi mai.
Scordate I Selvaggi, scordate Easy Rider, la sovversione, la violenza, la fuga ribelle. I Vandals sono soltanto motociclisti gelosi che un tempo giocarono ai gangster, scottandosi con le marmitte e così con la vita, l’amore e la paura.
The Bikeriders: valutazione e conclusione
Torna ancora una volta il provincialismo americano e così l’ambivalenza propria dello sguardo autoriale di Nichols, che fin dai tempi di Shotgun Stories ci dimostra quanto quest’ultimo scegliendo di farsi cantore degli ultimi, dei folli e dei reietti d’America, non tema in alcun modo prese di posizione e giudizi, restando fedele a sé stesso, dunque dolce e al tempo stesso spietato. Nichols non ama i suoi personaggi, nemmeno li odia, piuttosto li comprende, trovando nei loro tormenti e fantasmi dell’anima una doverosa esigenza da narratore, talvolta ammirabile, talvolta meno. Questo accade ai Vandals di The Bikeriders.
I riferimenti cui Nichols non può fare a meno di guardare sono molti è vero, eppure sembra che le indimenticabili lezioni di Benedek, Corman, Hopper e Sutter, non siano affatto state apprese, poiché a mancare in questo caso, ancor più della violenza che ingiustificatamente svanisce pur essendo presente, è l’istanza di ribellione e conflitto, seguita dalla fuga e dall’inevitabile istinto di sopravvivenza, oltreché desiderio di rivalsa, che non possono in alcun modo mancare ad un cinema interessato al racconto della fuga dal convenzionale e dalla quotidianità, se non in sella ad una motocicletta nel disprezzo di qualsiasi forma di regola o legge.
Non vi è ribellione qui, soltanto gelosia. Non è dunque sufficiente un cast stellare per compensare una narrazione di scarso interesse come questa. Austin Butler è magnetico a tal punto da riempire l’inquadratura perfino nelle scene e sequenze d’assenza, ma non è abbastanza. Non si sono persi soltanto i Vandals sulle strade d’America, s’è perso anche Jeff Nichols.
The Bikeriders è in sala da mercoledì 19 giugno 2024, distribuzione a cura di Universal Pictures.