Venezia 73 – The Bleeder: recensione del film su Chuck Wepner, ispirò Rocky Balboa
A Venezia 73 sbarca The Bleeder, biopic diretto da Philippe Falardeau e interpretato da Liev Schreiber, a cui nel corso del Festival verrà tributato il prestigioso Persol Tribute to Visionary Talent Award. The Bleeder racconta con sincerità e semplicità la vera storia di Chuck Wepner, il pugile che con la sua caparbietà nell’arrivare a lottare per il titolo del mondo partendo dai bassifondi della società ha ispirato Sylvester Stallone per la scrittura e l’intrepretazione del suo capolavoro Rocky. Presenti nel cast anche Elisabeth Moss, Ron Perlman e la splendida compagna (e madre dei figli) di Schreiber Naomi Watts.
Venezia 73 – The Bleeder: recensione del film su Chuck Wepner, ispirò Rocky Balboa
The Bleeder ripercorre le fasi salienti della vita e della carriera di Chuck Wepner (Liev Schreiber), pugile di buona fama negli anni ’70, soprannominato appunto Il sanguinante per la sua tendenza a perdere ingenti quantità di sangue durante i suoi spesso brutali incontri. L’evento chiave intorno a cui ruota il racconto è la sfida del protagonista al celeberrimo campione Muhammad Ali, con in palio il titolo mondiale dei pesi massimi.
Impossibile scindere The Bleeder dalla romanzata trasposizione della vita di Chuck Wepner Rocky, che viene esplicitamente richiamata dai titoli di testa
A dispetto dei pronostici degli addetti ai lavori, che ritenevano questo pugile semisconosciuto incapace di reggere il confronto con una leggenda del ring per più di 3 riprese, Wepner riesce a fare un’ottima figura, cedendo ad Ali solo all’ultima ripresa, grazie a una prestazione fatta di resistenza e abilità nell’incassare un ingente numero di colpi senza riportare seri danni.
L’eco della sua prova a Sylvester Stallone, che plasma a immagine e somiglianza di Chuck Wepner il suo Rocky Balboa, ottenendo così l’eterna gloria cinematografica. La fama e la popolarità di Wepner non gli impediranno però di mandare letteralmente a rotoli la sua vita con gravi errori e pessime scelte.
Impossibile scindere The Bleeder dalla romanzata trasposizione della vita di Chuck Wepner Rocky, che viene esplicitamente richiamata dai titoli di testa e da un’ampia fase nella pellicola, in cui Morgan Spector interpreta proprio Sylvester Stallone, interagendo con il protagonista. Philippe Falardeau racconta senza fronzoli e senza inganni l’altra faccia della medaglia dell’immortale Stallone Italiano, quella di un uomo che con volontà, umiltà e sudore della fronte è sì riuscito ad arrivare ai vertici del pugilato mondiale, ma che altrettanto velocemente è riuscito a vanificare il tutto e a contaminare con il fallimento della propria carriera anche la sua sfera personale, in particolare il rapporto con la moglie Phyllis (Elisabeth Moss).
Liev Schreiber convince con una prestazione intensa e appassionata, diametralmente opposta a quella controllata e composta fornita ne Il caso Spotlight, presentato proprio al Lido lo scorso anno.
Persona e personaggio si fondono così in una maschera, una macchietta vivente incapace di affrontare con impegno e serietà anche le cose più importanti
Impossibile empatizzare fino in fondo con un uomo che come un Re Mida al contrario vanifica continuamente tutto ciò che tocca e con superficialità e menefreghismo, ma il Chuck Wepner presentato in The Bleeder si rivela un antieroe romantico, capace solo di inseguire un sogno ma non di mantenerlo vivo. Lo spettatore rimane così affascinato da un personaggio che, incapace di mantenere i suoi risultati nella vita reale, non può fare altro che trasfigurarsi nella sua versione cinematografica e cercare un appiglio in essa, rivendicando con orgoglio il proprio ruolo nella genesi di Rocky anche se la sua vita diverge sostanzialmente da quella dell’icona del cinema.
Persona e personaggio si fondono così in una maschera, una macchietta vivente incapace di affrontare con impegno e serietà anche le cose più importanti come i rapporti con la moglie, la figlia e il fratello.
The Bleeder accompagna lo spettatore in un ciclo apparentemente infinito di salita, caduta e riscatto, evitando la trappola della ridondanza e del buonismo e mantenendo una notevole coerenza interna fino alla parte finale, che appare leggermente affrettata e brusca rispetto al lento ma costante incedere del resto del film. Da segnalare anche una buona colonna sonora, basata sulla musica anni ’70, un’efficace fotografia che riesce a riprodurre le atmosfere e le emozioni dell’epoca in cui è ambientato il racconto, e le funzionali prove di tutti i personaggi secondari, fra i quali a mettersi in luce ancora una volta nei panni della barista Linda è la sempre magnetica Naomi Watts, che ormai vicina ai 50 anni dimostra che fascino, carisma e classe non possono minimamente essere intaccati dal passare del tempo.
The Bleeder accompagna lo spettatore in un ciclo apparentemente infinito di salita, caduta e riscatto, evitando la trappola della ridondanza
Il regista canadese Philippe Falardeau, già candidato all’Oscar per Monsieur Lazhar e vincitore di un Orso di cristallo per C’est pas moi, je le jure!, centra con The Bleeder un altro grande risultato, raccontando senza moralismo o indoramenti della pillola la storia di un uomo vero e corrotto, con tutte le sue scivolate e tutti i suoi sbagli. L’antitesi di una favola, capace di emozionare e coinvolgere nel mostrare i sogni infranti e le promesse disattese.