Roma FF18 – Il ragazzo e l’airone: recensione del capolavoro di Hayao Miyazaki
Il lungometraggio d'animazione, presentato alla Festa del Cinema di Roma 2023 con il contributo di Alice nella Città, è un profondo viaggio lirico e stupefacente, dove la dispersione diventa cifra stilistica.
Il ragazzo e l’airone, presentato alla 18ma Festa del Cinema di Roma col titolo The Boy and The Heron e al cinema in Italia dal dal 1°gennaio 2024 con Lucky Red, rappresenta il ritorno sul grande schermo del maestro d’animazione Hayao Miyazaki (La città incantata, Il mio vicino Totoro) che, dopo 10 anni da Si alza il vento, propone un progetto mastodontico, dove confluisce tutta la sua poetica simbolica e allegorica, trascinando gli spettatori, volutamente senza una guida, in un universo impressionante dalla leggerezza formale e contenutistica.
Ancora una volta lo Studio Ghibli porta l’animazione tradizionale su nuove vette tematiche ed estetiche, che brillano di una particolare ed emozionante luce. La pellicola, che arriverà nelle sale italiane dal 1° gennaio 2024 con la distribuzione di Lucky Red, dopo la presentazione in diversi Festival internazionali, è stato proiettato alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma grazie al contributo con Alice nella Città.
Il ragazzo e l’airone: echi infernali in perenne movimento
Il ragazzo e l’airone sembra non fermarsi mai: dalla prima corsa di Mahito Maki verso la madre, prigioniera di un ospedale in fiamme, sembra partire un flusso tematico ed estetico incessante che travolge gli spettatori con estrema leggerezza. Un universo in continuo movimento perfettamente coerente con l’immaginario fantastico che Miyazaki propone nella seconda parte del film, quando il protagonista penetra in una dimensione parallela del nostro mondo. Se il dinamismo, nella prima sezione dell’opera, è espresso da una fuga costante dalla guerra, dalla morte e dalle macerie di una civiltà che si sta mano a mano disgregando; nella sezione successiva, questa energia irrefrenabile sembra cominciare con l’esplorazione di Mahito della torre e poi confluire nel ricchissimo background immaginifico che il maestro giapponese ci svela a poco a poco, facendo improvvisamente cadere il giovane (e il pubblico) in una realtà maestosa che va al di là dei confini materiali conosciuti.
Questo universo fuori dal tempo e dallo spazio è stratificato e pregno di suggestioni diversissime tra loro: l’Inferno dantesco, in qualche modo, rappresenta solo la punta dell’iceberg e progressivamente, più ci avviciniamo alla fine del lungometraggio, più notiamo echi di mondi lontani, frammenti filosofici e altri dettagli che vanno a creare, pezzo dopo pezzo, una costruzione identitaria ben precisa. Nonostante i tanti riferimenti, infatti, non c’è dubbio che siamo di fronte a qualcosa di totalmente originale che stupisce ad ogni immagine, ad ogni pennellata di questo complesso quadro d’insieme. Ecco che quindi questa carrellata impressionante di sincretismi e simbolismi è talmente tanto colossale nella sua caratterizzazione e sviluppo che guarda ad una sorta di summa visiva e tematica dell’intera poetica di Miyazaki, nonostante, come ben sappiamo, non siamo in presenza di un pieno testamento artistico considerando la sua volontà di mandare avanti la sua arte.
Detto questo, quello che davvero colpisce è il passaggio lirico, la transizione quasi naturale ed immediata tra un mondo e l’altro, dalla dimensione terrena dei bombardamenti, alla pienezza cosmica dell’altro universo. In mezzo ci sono animazioni fulgide e vivissime, di una profondità psicologica tridimensionale che rappresentano il punto di arrivo di un processo artistico al quale Studio Ghibli era destinato dopo anni e anni di perfezionamento. Nella regia, inoltre, si può notare un’attenzione particolare ai sentimenti inespressi, ai gesti rivelatori, ad un silenzio che poi, quando si precipita nell’universo “alternativo”, si riempie di risposte oracolari e di immagini dai tanti significati e spiegazioni. Il tutto, però, è governato dalla leggerezza, da uno spirito leggiadro che governa tutte le animazioni che appaiono su schermo.
Questo è probabilmente il più grande merito di Il ragazzo e l’airone, oltre alla tecnica d’animazione fuori scala: è il saper mettere in piedi una poesia pregevole senza dover per forza caricare di senso ogni cosa, senza l’ingerenza di appesantire un’immaginario che riesce a svelarsi da solo, lasciando perdere l’impellenza del significato. Ed è proprio nell’abbandonare quasi del tutto un impianto fortemente didascalico ed esplicativo che Hayao Miyazaki permette la connessione più alta e straordinaria con gli spettatori: nel lasciarli vivere tutte le sensazioni possibili senza guidarli eccessivamente, ecco che il cineasta li fa smarrire nella sua arte.
Il ragazzo e l’airone: smarrirsi nell’equilibrio cosmico
Il ragazzo e l’airone, quindi, in questa ricchezza artistica e concettuale, fa dello stupore l’arma migliore e perfetta per generare dispersione: nonostante sembri effettivamente mancare un centro, un’interpretazione, non importa. Il traguardo ultimo del progetto non sembra essere quindi quello di offrire il maggior numero di strumenti possibili per capire l’anima del film, ma di affidare , in modo soggettivo, ad ogni spettatore la propria chiave di lettura, il proprio senso. E per raggiungere tale scopo difficilissimo, lo Studio Ghibli sceglie l’annullamento e lo smarrimento come strade più dirette.
Detto questo, per rendere tale processo mentale più facile, il film si affida alle note musicali. La colonna sonora della pellicola, firmata da Joe Hisaishi, è la sottile bussola che manca sul piano narrativo e registico. Non rappresenta un semplice accompagnamento, ma si fa portatrice di una comunicazione non verbale basata sulle emozioni e sul netto contrasto tra sonorità gravi, epiche ed oniriche (che appartengono alla realtà ultraterrena) e sfumature nostalgiche, malinconiche (legate invece alla dimensione reale). Questo accostamento, di grande impatto, sembra seguire pedissequamente un altro snodo nevralgico della poetica del lungometraggio, ovvero lo studio degli opposti, delle compenetrazioni cosmiche tra vita e morte, fine e rinascita.
Un gioco spaziale che riesce a trovare, però, un elemento solido ed equilibrato, la torre, che, al tempo stesso, rappresenta il luogo di accesso tra le due dimensioni dell’esistenza. È chiaro che questa è una delle infinite interpretazioni di Il ragazzo e l’airone ed è solo un sostrato tematico che si svela, per certi versi, progressivamente, in modo direttamente proporzionale allo smarrimento degli spettatori. Per quanto questa perdita di coordinate geografiche potrebbe deludere tutti coloro che sono al contrario alla ricerca di un preciso e univoco significato del film, bisogna essere consapevoli che spesso l’arte è volutamente enigmatica e libera proprio per far sì che prenda diverse forme a seconda del contesto.
In ultima istanza, inoltre, è altrettanto importante mettere in evidenza quanto studio c’è effettivamente dietro la creazione delle ambientazioni e del background in generale, proprio perché tutto quello che circonda il protagonista non solo pullula, come già sottolineato, di significati esoterici, filosofici e simbolici, ma ha una voce propria, un’anima dinamica perfettamente coerente con la leggerezza e il movimento che permeano ogni passaggio dal mondo fisico a quello soprannaturale. Non si tratta solo di una cifra stilistica ben precisa, di un marchio di fabbrica indistinguibile di proprietà di Miyazaki e dello Studio Ghibli, ma di una forma mentis che, proprio con Il ragazzo e l’airone, sembra abbia trovato la sua risoluzione più compiuta e perfetta, il trionfo dell’armonia contro la rigidità delle forme.
Il ragazzo e l’airone: valutazione e conclusione
Una regia stupefacente che fa della meraviglia il mezzo ideale per guidare il pubblico verso lo smarrimento; una sceneggiatura che trabocca di significato, ma che fa di tutto per non svelarsi superficialmente; una fotografia vivida ed armonica dominata dalla leggerezza; un cast di grande caratura che qui dà il suo massimo; un sonoro intenso che, silenziosamente, accompagna gli spettatori rendendoli partecipi di contrasti e opposizioni; una sinfonia emotiva di puro movimento che sconvolge. In conclusione, un nuovo capolavoro dello Studio Ghibli che riesce a costruire un intero immaginario artistico ed emotivo tratteggiandolo in silenzio.
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