The Call (2020): recensione del thriller coreano Netflix
Una premessa vincente e due performance straordinarie rendono The Call un appuntamento imperdibile per gli amanti dei thriller serrati e senza sosta.
The Call, disponibile su Netflix dal 27 Novembre e diretto da Lee Chung-hyun, offre uno spunto di trama avvincente: due ragazze in diretta connessione da due realtà differenti, attraverso un telefono di casa. Confinate nella stessa abitazione, Seo-yeon (Park Shin-hye) e Young-sook (Jeon Jong-seo) scoprono una maniera del tutto inaspettata di attraversare la dimensione temporale. Ambientato sia ai giorni nostri che nell’anno 1999, The Call offre una versione alternativa dei film incentrati sui viaggi del tempo, affascinando lo spettatore con l’idea illuminante nelle fasi iniziali e organizzando le regole principali da rispettare per mantenere equilibrato l’assetto narrativo. Le due ragazze diventeranno ben presto amiche, per correggere gli sbagli da loro compiuti e le tragedie avvenute nelle due realtà raffigurate: Seo-yeon con una perdita in famiglia che non riesce a superare, e Young-sook con un rapporto tossico instaurato con una madre disturbata e senza controllo.
The Call: il montaggio è praticamente inattaccabile, ottimo per garantire due ore di sana tensione
L’elemento più riuscito all’interno dell’esclusiva Netflix The Call è uno scambio di dialogo continuo, incessante, che attraversa i due periodi temporali senza soluzione di continuità. Seo-yeon e Young-sook condividono la grande scoperta prima con entusiasmo, poi con assoluta accortezza. Le due figure femminili vengono disfatte internamente, con un serie crescente di preoccupazioni che mettono sotto scacco la loro psiche. Ogni passo falso viene registrato, in un quaderno mentale di note a margine che serve per modificare i dettagli delle ambientazioni, anche i più impercettibili. Si tratta di un mondo completamente malleabile, regolato da due personalità combattive che non si daranno pace fino a quando non vengono risolte le questioni familiari più delicate.
Il telefono è l’unico punto di contatto che tiene legate le fila della trama, e il regista Chung-hyun svolge il ruolo di burattinaio che va manovrando le sequenze, in modo tale da servire e ricevere al tempo stesso le battute alle due fenomenali attrici: Park Shin-hye (#Alive, film Netflix) e Jeon Jong-seo (Burning) vengono posizionate sul piedistallo, pronte per rilasciare un enorme quantitativo di emozioni viscerali e travolgenti. Non esiste altro membro del cast all’infuori di loro, una scelta voluta per rendere altamente dinamica ogni svolta condotta dalle protagoniste. Viene messo in atto una guerra di posizione serrata, dove i caratteri più forti possono governare sulla gestione del tempo narrativo. Uno scambio equo, uno scontro senza esclusione di colpi, un palcoscenico intinto di sangue.
Da applausi a scena aperta la definizione di una antagonista memorabile
The Call si può definire un film sui viaggi del tempo ma anche un origin-story di una villain d’eccezione, che occupa prepotentemente la scena non appena veniamo a conoscenza dei meccanismi che muovono il racconto. Le regole vengono infrante e le basi risultano distorte, con lo sviluppo di un personaggio memorabile – non sveliamo di chi si tratta tra le due interpreti principali – che inizia a dettare legge durante la stesura dello svolgimento. Le telefonate si fanno via via sempre più agghiaccianti, fino a svelare un ulteriore strato ammantato da un’oscurità pressante; le influenze esercitate dall’antagonista trasportano il film dentro un vortice di colpi di scena al cardiopalma, una situazione caotica nella quale sia il personaggio positivo che lo spettatore si ritrovano a dover eseguire delle contromosse calcolate.
Da lodare la location di riferimento, una villa isolata che cambia configurazione a seconda delle decisioni di Seo-yeon e Young-sook. Stanze desolate e spoglie possono assumere altre forme più dettagliate, mentre il legame tra le due ragazze subisce importanti trasformazioni. La regia concentra gli sforzi su uno sfondo che non può rimanere in disparte, deve giocare un ruolo di rilievo e controbattere di prepotenza nella spietata partita condotta nei tre atti e in due linee temporali differenti. Il risultato è esemplare, con un ritmo che non conosce alcuna tregua e delle soluzioni visive – specialmente nell’atto conclusivo – che vanno ad impreziosire le performance spericolate di Park e Jeon.