The Deliverance – La redenzione: recensione dell’horror Netflix con Glenn Close
The Deliverance è una commistione di generi che non riesce a dare il meglio né alla critica sociale né all'horror.
The Deliverance, per la regia di Lee Daniels, è un film che, almeno in teoria, avrebbe dovuto essere una delle uscite cinematografiche più potenti e rilevanti dell’anno. Daniels, noto per la sua capacità di trattare temi difficili e controversi con un tocco di brutalità e umanità, ha dimostrato più volte di saper creare narrazioni profonde e complesse. Film come Precious (2009) e The United States vs. Billie Holiday (2021) hanno esplorato le difficoltà di vivere ai margini della società, toccando corde emotive che risuonano a lungo nello spettatore. Tuttavia, con The Deliverance, Daniels affronta una sfida nuova e forse eccessiva, cercando di fondere il dramma sociale con l’horror soprannaturale, con risultati purtroppo non all’altezza delle aspettative.
The Deliverance – La redenzione: una commistione di generi che non funziona appieno e non rende giustizia al talento del suo cast
Il film prende ispirazione da un caso reale, quello di Latoya Ammons, una madre di Gary, Indiana, che nel 2011 ha affermato di aver assistito a eventi paranormali nella sua casa, culminati in un esorcismo e nella demolizione della stessa abitazione. Daniels e gli sceneggiatori, David Coggeshall e Elijah Bynum, trasportano questa storia in una nuova ambientazione: una grigia e decadente periferia di Pittsburgh. Qui, la protagonista Ebony, interpretata da una straordinaria Andra Day, lotta quotidianamente per mantenere unita la sua famiglia mentre affronta una serie di difficoltà apparentemente insormontabili.
Ebony è una madre single, con tre figli a carico e una madre malata di cancro (Glenn Close), che vive con loro. La vita di Ebony è una battaglia continua contro l’alcolismo, la povertà e un sistema che sembra volerla abbattere a ogni passo. La Day, già acclamata per la sua interpretazione in The United States vs. Billie Holiday, offre qui una performance altrettanto potente. Il suo personaggio è intriso di una rabbia e di un dolore che emergono in ogni scena, rendendola una figura tragica e, allo stesso tempo, incredibilmente reale. Ebony è una donna che lotta contro i propri demoni interiori, e questa lotta è dipinta con una tale autenticità che risulta impossibile non sentirsi coinvolti emotivamente.
Nella prima parte del film, Daniels riesce a creare un’atmosfera densa di tensione, dove ogni gesto, ogni parola, sembra gravato dal peso di anni di sofferenza e di lotte. Il rapporto tra Ebony e i suoi figli è complesso e intriso di non detti; è una relazione che riflette le difficoltà di chi cerca di proteggere i propri cari mentre, allo stesso tempo, combatte contro i propri demoni. Glenn Close, nel ruolo della madre malata di cancro, Alberta, offre un’interpretazione che è un mix perfetto di durezza e vulnerabilità, rendendo il suo personaggio uno dei più memorabili del film.
Tuttavia, è proprio quando Daniels introduce l’elemento soprannaturale che il film comincia a perdere la sua strada. L’orrore, che dovrebbe essere una manifestazione fisica delle paure e delle insicurezze di Ebony, finisce per sembrare una distrazione da ciò che è veramente interessante: la lotta quotidiana di questa donna per mantenere unita la sua famiglia. I cliché dell’horror, come i bambini che agiscono in modo inquietante, le entità che manipolano i corpi e i soliti dialoghi demoniaci, appaiono stanchi e privi di originalità. Nonostante la solida regia di Daniels, queste scene non riescono a infondere lo stesso senso di terrore che caratterizzava i momenti più realistici del film.
Il cast di supporto, sebbene eccellente, non riesce a sollevare il film da questa sua caduta nella prevedibilità. Mo’Nique, che interpreta un’assistente sociale incaricata di indagare sulle accuse di abusi e trascuratezza nei confronti di Ebony, offre una performance intensa e piena di sfumature. Tuttavia, il suo personaggio rimane intrappolato in una trama che, una volta imboccata la strada dell’orrore soprannaturale, sembra perdere il coraggio di affrontare le vere questioni che aveva iniziato a esplorare. Allo stesso modo, Aunjanue Ellis-Taylor, nel ruolo di un’apostola chiamata a intervenire nella vicenda, nonostante la sua presenza carismatica e rassicurante, non riesce a compensare la debolezza della narrazione soprannaturale, che diventa progressivamente sempre meno coinvolgente.
The Deliverance è un film che parte con un’idea potente e una premessa intrigante, ma che si perde lungo la strada a causa della sua volontà di mescolare generi troppo diversi tra loro. Daniels, noto per la sua audacia e il suo coraggio nel trattare temi difficili, sembra qui trattenuto, come se non volesse spingere troppo oltre il confine del dramma sociale. Il risultato è un film che, nonostante alcuni momenti di grande intensità emotiva e interpretazioni memorabili, lascia lo spettatore con la sensazione di un’occasione mancata. L’orrore reale delle vite spezzate dalla povertà, dal razzismo e dalla disperazione è infinitamente più terrificante di qualsiasi demone o entità soprannaturale.
The Deliverance – La redenzione: valutazione e conclusione
The Deliverance tenta di coniugare l’indagine sui mali sociali con un horror convenzionale, ma finisce per soffocare sotto il peso delle sue stesse ambizioni. Daniels rimane un regista di grande talento, ma qui sembra aver perso la bussola, dimenticando che a volte il vero orrore è quello che si nasconde dentro di noi, e non quello che proviene dall’esterno. Il film è disponibile su Netflix.