Venezia 77 – The Disciple: recensione del film di Alfonso Cuarón
The Disciple è il film sulla pericolosità di inseguire il proprio sogno, soprattutto quando non si ha abbastanza talento per farlo.
Dopo aver trionfato con il film di un’importanza fondamentale per la sua vita e carriera Roma, Alfonso Cuarón torna alla Mostra del Cinema di Venezia per una nuova avventura come produttore, mettendo sotto la propria ala un talentuoso protégée come Chaitanya Tamhane. Alla sua prima esperienza in concorso al festival internazionale, alla regia di un’opera dalla completezza invidiabile che descrive con accuratezza come l’esistenza possa venir segnata, lucidamente o deludentemente, dal conseguimento del proprio sogno, l’autore indiano attraversa l’esistenza circoscritta in precisi momenti dell’esistenza del suo protagonista, vite che dovrebbero essere distanti l’una dall’altra e invece sembrano ripetersi sempre uguali nel mancato conseguimento di un traguardo che sembra impossibile poter mollare, ribaltando la narrazione sul compimento dei propri desideri e concretizzandolo con lucidità pura.
Sharad (Aditya Modak) si dedica corpo e anima all’antica tradizione della musica classica indiana, applicandosi con l’insegnamento dei rag e esercitandosi notte e giorno per poter raggiungere livelli di conoscenza che potrebbero portarlo lontano. Ma partecipare a concorsi, esibirsi con il suo maestro e mentore da sempre, conoscere una vasta gamma di artisti misconosciuti o più che hanno segnato la storia della musica del suo Paese non sembrano doti sufficienti per poter vincere concorsi canori o intraprendere una carriera da musicista, tentando comunque di riuscire nel proprio intento per tutta la vita, in un provare continuo, assente di successi.
The Disciple – E se il sogno non si realizza?
Nel presentare, all’inverso, una storia che conosciamo tutti bene, con il The Disciple di Chaitanya Tamhane è il lato meno idilliaco e più materialistico delle proprie aspirazioni con cui viene messo in contatto lo spettatore cinematografico, reduce da anni e anni di narrazioni possibilistiche sulle proprie riuscite e di racconti che spingono il pubblico e i personaggi a una fede cieca e incontrollata nelle doti uniche dei propri protagonisti. Una bellissima realtà che vogliamo tutti raccontarci, di cui ci alimentiamo consciamente e inconsciamente sperando che, un giorno, possa toccare anche a noi, pronti ad abbracciare i risultati positivi che vogliamo conquistare in questa vita, avendo la tranquillità di poter dirci che, queste cose, non accadono solo nei film. Ma che succede se anche al cinema il sogno non si avvera?
Nella mancanza di speranza che potrebbe sembrare solo messaggio da voler trasmettere, focalizzandosi invece sulle probabilità dell’esistenza che non sempre giocano a nostro favore e polemicizzando anche il semplice sogno come mancata comprensione di un’abilità che, in verità, non ci appartiene, The Disciple svolge un analitico lavoro di costruzione del suo protagonista e di due periodi della sua vita messi accuratamente a paragone. Una messa in mostra delle differenze che caratterizzano giovinezza e età adulta del personaggio interpretato da Aditya Modak, ma soprattutto i tanti, troppi punti in comune tra due momenti esistenziali che dovrebbero essere, invece, ben distanti, evidenziando l’immobilità che può generare un’aspirazione non soddisfatta, in un crogiolarsi per lo spettatore che riesce ad accettare prima del protagonista il suo essere inadeguato.
The Disciple – La completezza formale del film di Chaitanya Tamhane
Un ritratto vitale dell’infelice musicista di rag, accompagnato dalle lunghe sessioni di canto a cui il pubblico viene sottoposto e che fanno continuamente da sottofondo alla visione del film. Una quotidianità costante, un provare e provare e provare ancora che, fortunatamente, non appartiene alla riuscita del film, così completo in questa disamina sulla mediocrità che ne fa lavoro eccellente per il suo autore. Un’opera completa, esaustiva, con direttive chiarissime da seguire e che trovano la maniera di ricollegarsi tra loro nel corso della pellicola e non mancano di rivelarne, comunque, un lato ironico e comprensivo, una tenerezza per il suo Sharad che ha la carezza di un mentore e il sostegno di un amico, e ne asseconda dunque le indifendibili battaglie nella volontà di rimanere, in ogni caso, dalla sua parte.
Un film ben costruito e convincente, in dialogo continuo con realtà popolari come i programmi televisivi canori e il tramandarsi conoscenze di un’arte unica e integrata alla propria cultura. Un’identità tanto definita che, se manca al suo protagonista, è quanto mai determinante per il complesso di The Disciple, scommessa vinta dal maestro Cuarón e ancor più dal suo regista Tamhane.