The Electric State: recensione del film Netflix
La recensione della commedia fantascientifica che i fratelli Russo hanno tratto dalla graphic novel omonima di Simon Stålenhag, con Millie Bobby Brown e Chris Pratt nel cast. Dal 14 marzo 2025 su Netflix.
Secondo un antico detto popolare i soldi non fanno la felicità e a quanto pare nemmeno garantiscono la riuscita di un film. The Electric State, ad oggi la pellicola più costosa prodotta da Netflix per la quale il colosso dello streaming ha speso la bellezza di 320 milioni di dollari, è la perfetta dimostrazione di come una manciata di nomi di richiamo dietro e davanti la macchina da presa e un budget stratosferico non facciano la differenza. Quelli andati in fumo per la realizzazione della trasposizione dell’omonima graphic novel di Simon Stålenhag (pubblicata da Skybound Entertainment nel 2018) firmata dai fratelli Anthony e Joe Russo, rilasciata sulla piattaforma a stelle e strisce il 14 marzo 2025, sono quanto comunemente si è soliti chiamare uno spreco di tempo e di denaro, che probabilmente peserà – e non poco – sulle casse del broadcaster e di conseguenza sulle casse dei suoi abbonati. Ecco allora materializzarsi la tanto temuta equazione che vuole il massiccio investimento direttamente proporzionale ai danni causati dal rovinoso tonfo. Del resto più in alto si sale e più dolorosa rischia di essere la caduta. Staremo a vedere come andrà a finire. Nel frattempo l’immediato piazzamento sul gradino più alto della top ten dei titoli più visti a una manciata di ore dall’uscita, dovuta probabilmente dalla curiosità degli utenti, è solo una magra consolazione che lascerà molto presto spazio alla delusione non appena calerà l’entusiasmo nei confronti di un’opera penalizzata da una trama superficiale, dalla presenza di personaggi bidimensionali con cui è impossibile empatizzare e da un’estetica poco impattante rispetto al potenziale artistico e alle finanze a sua disposizione. Tutto questo per dire che il risultato non è assolutamente all’altezza delle maestranze e degli attori coinvolti nella sua realizzazione.
The Electric State è un’opera penalizzata da una trama superficiale, dalla presenza di personaggi bidimensionali e da un’estetica poco impattante rispetto al potenziale artistico e alle finanze a sua disposizione
Partiamo dalla sceneggiatura, sicuramente il tallone d’Achille del progetto, al quale la riscrittura e l’adattamento dalle tavole della graphic novel di uno dei maggiori illustratori di fantascienza contemporanei per mano di Christopher Markus e Stephen McFeely ha recato dei danni non indifferenti alla già non originalissima trama di partenza, rendendola ancora più fragile e meno stratificata. Per coloro che non la conoscessero The Electric State è ambientata in una versione alternativa e retro-futuristica degli anni Novanta, un’epoca in cui gli automi vivono fianco a fianco agli umani svolgendo da quasi mezzo secolo i lavori più infimi e usuranti. Ma a un certo punto i robot acquisiscono coscienza del loro posto nel mondo e iniziano a rivendicare i propri diritti tramite la Robot Equality Coalition guidata da Mr. Peanut, organizzando una vera e propria rivolta su scala globale alla quale gli umani risponderanno prontamente con una guerra che terminerà con la sconfitta e l’esilio nella Zona di Esclusione, un territorio delimitato dal deserto dove sono state rinchiuse le macchine sopravvissute. Ed è lì che Michelle, un’adolescente orfana dei genitori, si recherà assieme al robot Cosmo in cerca del fratello creduto morto in un incidente stradale di qualche anno prima. Ma sulle loro tracce c’è Sentre, la multinazionale che controlla tutta la moderna tecnologia che tiene in piedi la società. Ed è sempre lì che i due incontreranno un gruppo di nuovi alleati animatronici che li aiuteranno a scoprire che cosa si nasconda realmente dietro la scomparsa del fratello della protagonista.
The Electric State è una commedia fantascientifica derivativa priva di originalità che non aggiunge nulla alla causa, nemmeno sul piano estetico e spettacolare
Sulla carta, o meglio sulle tavole dal quale tutto ha preso forma, di potenziale narrativo e drammaturgico, seppur non di primo pelo, ce n’era, eppure gli autori dello script sono riusciti ad azzerarlo portandolo al minimo indispensabile per abbozzare una trama inesistente e derivativa. C’è poco o nulla da registrare in tal senso, se non le dinamiche basic di una commedia fantascientifica che richiama per molti aspetti i Guardiani della Galassia per concept e tono. Quest’ultimo viene in parte stemperato da argomentazioni e tematiche forti riconducibili alla letteratura Sci-Fi, con la Zona di Esclusione di The Electric State che ricorda moltissimo quella di District 9 di Neill Blomkamp, laddove al posto dei robot venivano confinati gli alieni. Insomma, cambiano gli elementi ma non la sostanza, con la metafora sempre attualissima dell’altro da isolare e tenere distante che è fin troppo semplice e chiara da leggere nemmeno troppo tra le righe del discorso. Dunque anche su questo fronte nulla di significativo da registrare se non la variante di cui sopra, che a conti fatti non aggiunge niente di nuovo alla causa. Per non parlare poi dei personaggi che altro non sono che dei cloni di figure già viste per quanto concerne la caratterizzazione. Lo stesso Chris Pratt sembra l’imitazione trasandata di Peter Quill, mentre l’altra star del cast Millie Bobby Brown pare un derivato di Undici di Stranger Things. Tanto per fare qualche nome, poiché alla lista si potrebbero aggiungere anche i vari Stanely Tucci, Giancarlo Esposito e Ke Huy Quan, i cui rispettivi personaggi sono modellati a immagine e somiglianza di archetipi del genere in questione.
Altra nota dolente di The Electric State è la massiccia e purtroppo altalenante dose di CGI e VFX messa in campo per dare forma e sostanza audiovisiva alle tavole di Stålenhag
Altra nota dolente la massiccia e purtroppo altalenante dose di CGI e VFX messa in campo per dare forma e sostanza audiovisiva alle tavole di Stålenhag e all’ambientazione retro-futurista della sua creatura. La resa non rende giustizia alle illustrazioni dell’artista svedese, al contrario la declassano e la depotenzializzano riducendola a un’estetica che – design dei robot a parte – potrebbe tranquillamente essere quella di un film di serie B. La mente in tal senso torna a quel disastro in salsa vintage che fu Sky Captain and the World of Tomorrow di Kerry Conran, il cui solo ricordo fa venire i brividi. Sull’onda della clonazione e del già visto c’è poi anche un possibile riferimento alla prospettiva robotica offerta da Fallout e ancora prima dal già citato Blomkamp con il suo tanto bistrattato Humandroid in cui la polizia, per combattere il crescente tasso di criminalità, ha investito su dei robot autonomi e gestiti ciascuno da una propria intelligenza artificiale detti scout che ricordano moltissimo quelli che animano The Electric State. E pensare che per generare tutto questo c’è voluta una cifra da capogiro, che loro e nostro malgrado nemmeno le mani esperte dei Russo brothers sono state capaci di gestire al meglio. Il contributo della coppia statunitense è riconducibile alle sole scene d’azione che negli ultimi cinquanta minuti della timeline irrompono sullo schermo dando solamente qualche scossa elettrica allo spettatore.
The Electric State: valutazione e conclusione
Ai fratelli Anthony e Joe Russo l’onere e l’onore di firmare la regia del film più costoso realizzato in casa Netflix, ossia la trasposizione della graphic novel omonima di Simon Stålenhag, The Electric State. L’attesa però si traduce ben presto in una cocente delusione per quella che si può considerare un’occasione persa, oltre che un ingente spreco di denaro. Il cospicuo budget a disposizione di 320 milioni di dollari, un cast di all stars composto da nomi di richiamo come quelli di Millie Bobby Brown, Chris Pratt, Stanely Tucci, Giancarlo Esposito e Ke Huy Quan, la presenza dietro la macchina da presa di due registi del calibro dei Russo e le tavole firmate da uno dei maggiori illustratori di fantascienza contemporanei, non sono stati sufficienti a dare forma e sostanza a un’opera degna di nota. Riprova che i soldi non fanno né la felicità, tantomeno certificano la buona riuscita di un prodotto audiovisivo. The Electric State è una commedia sci-fi derivativa che chiama in causa un retro-futurismo dal design poco efficace e per nulla accattivante, che fa da cornice a una storia noiosa, ripetitiva e poco originale. Insomma una minestrone riscaldato di cose, dinamiche e personaggi già visti che riesce a intrattenere solo nell’ultima parte, quando dalle parole si passa ai fatti.