The Elephant Man: recensione del capolavoro di David Lynch
Dopo l’esordio con il visionario Eraserhead, divenuto in breve tempo un cult del circuito underground, David Lynch sforna nel 1980 The Elephant Man, una delle sue opere più riuscite e toccanti, che riesce a mettere d’accordo anche i detrattori più accaniti del regista. Le sequenze oniriche e inquietanti sulle quali David Lynch baserà gran parte delle sue opere successive sono qui ridotte ai minimi termini, lasciando spazio al commovente e poetico racconto della vera storia di Joseph Merrick, un uomo inglese vissuto durante l’era vittoriana e affetto dalla Sindrome di Proteo, che gli causò evidenti deformità nel corpo e nella testa, facendogli guadagnare il triste e offensivo appellativo di Uomo Elefante. Il ruolo del protagonista fu affidato a John Hurt, reduce dal successo di Alien, che appena un anno prima lo vide protagonista delle celeberrima sequenza del “parto” dell’alieno. Per interpretare la parte di Joseph Merrick, certamente la più importante della sua memorabile carriera, l’attore britannico fu costretto a subire estenuanti sedute di diverse ore per l’applicazione e la rimozione del trucco, al punto da essere costretto a lavorare solo a giorni alterni per preservare la propria salute. Ad affiancare John Hurt nei ruoli più importanti furono chiamati Anthony Hopkins, ancora agli inizi della propria carriera, e Anne Bancroft, in precedenza già premio Oscar per Anna dei miracoli e soprattutto indimenticabile Mrs. Robinson ne Il laureato.
The Elephant Man: una toccante e commovente parabola sui pregiudizi e sulla superficialità
Il Dottor Frederick Treves (Anthony Hopkins) scova in uno spettacolo di strada Joseph Merrick (John Hurt), un uomo deforme che viene sfruttato dallo spregevole Bytes (Freddie Jones) come fenomeno da baraccone. Le impressionanti deformazioni di Merrick, che lo costringono a girare per strada con un sacco in testa per non essere deriso, attirano la curiosità scientifica di Treves, che pagando ottiene da Bytes il permesso di mostrare l’uomo a dei suoi colleghi in nome della ricerca e del progresso. Al suo ritorno, Merrick viene malmenato da Bytes e salvato dallo stesso Treves, che decide di portarlo con sé nell’ospedale in cui lavora e tenerlo sotto la sua ala protettrice. Nonostante la sua malattia, Merrick fa uscire ben presto le sue qualità umane e culturali, facendo interessare al suo caso anche la Regina Vittoria (che attiva un fondo per le sue cure) e dall’attrice teatrale Miss Kendall (Anne Bancroft), che chiede di incontrarlo. Il pregiudizio, la superficialità e la cattiveria insita nell’animo umano creeranno però più di un problema al cosiddetto The Elephant Man, che dovrà lottare contro tutto e tutti per affermare la sua umanità e il suo diritto a una vita serena.
La triste e malinconica parabola di The Elephant Man commuove e ci fa riflettere su quanto sia potente la minaccia portata dai pregiudizi e dall’ignoranza. “Gli uomini hanno paura di ciò che non capiscono“, disse lo stesso Joseph Merrick più di un secolo fa, ma ancora oggi ci troviamo ogni giorno di fronte a soprusi, cattiverie e violenze scaturite da caratteristiche fisiche o caratteriali che alcune persone misere non riescono ad accettare. The Elephant Man è quindi un film che mantiene inalterata la propria forza e che potrebbe tranquillamente essere ambientato e prodotto ai giorni nostri senza vedere minimamente intaccata la propria credibilità. David Lynch non indora la pillola, mostrando tutta la crudeltà e l’ipocrisia a cui possono arrivare le persone verso ciò che è diverso dal loro piccolo e ottuso mondo. A tal proposito è esemplare una delle scene più strazianti di tutto il film, in cui assistiamo all’ira e ai soprusi di una folla di persone vero Merrick, che reagisce sfogandosi con la frase “Io non sono un elefante! Io non sono un animale! Sono un essere umano!“, che racchiude in sé l’intero senso della pellicola. Esemplare anche l’evoluzione del personaggio di Frederick Treves nel corso del film. Accortosi di trattare l’Uomo Elefante come un oggetto esattamente allo stesso modo di Bytes, ma con un approccio scientifico anziché meramente economico, il Dottore ha la forza d’animo di cercare di guardare oltre, svelando un lato umano di Merrick che fa risaltare ancora di più i soprusi nei suoi confronti e permette allo spettatore di empatizzare maggiormente col protagonista.
Dal punto di vista tecnico, David Lynch si affida a un bianco e nero che ha la duplice funzione di trasportarci idealmente in piena età vittoriana e di farci assaporare tutta la mestizia che traspare in ogni momento della pellicola. Cast perfetto in ogni sua componente, dal tormentato John Hurt al combattivo e addolorato Anthony Hopkins, passando per una Anne Bancroft più dolce che mai. Trucchi, scenografie e costumi sono curati alla perfezione, dando modo al regista di sfruttare tutta la sua maestria dietro alla macchina da presa. Riconosciamo la tipica mano del regista dell’inconscio (di cui potete leggere di più nel nostro speciale) in due sequenze, quella iniziale e quella finale, ma per una volta David Lynch non ha bisogno di ricorrere all’uso massiccio della sua visionarietà per raccontare i segreti più reconditi dell’animo umano. La toccante colonna sonora di John Morris completa un capolavoro senza tempo, davanti al quale anche per i più duri è difficile non sciogliersi in lacrime almeno una volta. Fra le tante sequenze indimenticabili di questa pietra miliare, il pensiero va sicuramente alla lancinante scena in cui Joseph Merrick cerca di realizzare uno dei suoi più grandi desideri, ovvero quello di poter dormire come una persona normale e non nell’innaturale posizione che la sua malattia lo costringe ad assumere.
The Elephant Man ci ammonisce per i nostri pregiudizi e ci spinge a cercare sempre di guardare oltre le apparenze, raccontandoci una storia in cui chiunque può riconoscersi, perché ognuno di noi almeno una volta è stato escluso o messo ai margini per un superficiale difetto esteriore. Il film è anche una risposta a chi addita David Lynch come regista capace solo di partorire opere particolarmente criptiche e complesse, che poi così non complesse non sono. Uno dei primi tasselli della carriera di uno dei più grandi cineasti di sempre, che ci ha regalato altre pellicole indimenticabili come Mulholland Drive, Inland Empire, Strade perdute e Una storia vera, oltre alla rivoluzionaria serie Twin Peaks.
Candidato a otto premi Oscar, questa pellicola scandalosamente non ne vinse nessuno, mentre Gente comune di Robert Redford ne portò a casa ben sei. A tal proposito, il produttore di The Elephant Man Mel Brooks, che scelse di non apparire nei crediti per non fare associare il film a una commedia, ebbe a dire: “Da qui a dieci anni Gente comune sarà la risposta a un gioco di società; ma la gente andrà ancora a vedere The Elephant Man.“. Ci sentiamo di dire che non si è sbagliato di molto.
“Mai. Oh, Mai. Niente morirà mai. L’acqua scorre. Il vento soffia. La nuvola fugge. Il cuore batte. …Niente muore.”