FCAAAL 28: The Fifth Point of the Compass: recensione
Il Festival Cinema Africano, d'Asia e America Latina presenta un lungometraggio che racconta un tema complesso in modo delicato e personale
La ventottesima edizione del FCAAAL, Il Festival del cinema Africano, Asia e America Latina prosegue con un film documentario, The Fifth Point of the Compass, primo lungometraggio del regista Martin Prinoth. Un lungometraggio che riguarda l’ambito del Festival dell’America Latina, in particolare il Brasile un meraviglioso Paese con un paesaggio mozzafiato, ma ricco di fragilità.
Martin Prinoth decide di raccontare una storia a lui molto vicina, quella di Markus suo cugino, brasiliano, adottato da una famiglia in un paesino di montagna sulle Dolomiti. Dopo la morte del fratello su un volo di ritorno dal Brasile, Markus lascia il paesino e si sposta in diverse città del mondo, fino ad arrivare alla necessità di tornare in Brasile e conoscere la sua madre biologica.
The Fifth Point of the Compass la necessità di ritrovare le proprie origini
Una storia che viene raccontata spesso, quella delle persone adottate e della loro necessità viscerale di dover recuperare le proprie radici, di conoscere la madre biologica cercare di capire il motivo di quell’abbandono, anche senza farle troppe domande.
Qui, però ci troviamo in una storia diversa, raccontata con un diverso punto di vista, perchè ognuno ha il suo personale e questo è quello di Markus.
Markus che si è ritrovato ad essere un bambino con il colore di pelle diversa in un paesino di montagna sulle Dolomiti e si è ritrovato gli sguardi degli abitanti su di sè, sguardi che gli ricordavano sempre la sua diversità.
L’esigenza di voler conoscere la madre biologica nasce dal desiderio di capire qualcosa di più sulla sua vita e soprattutto a quale posto appartiene.
Il glaciale paesaggio bianco del luogo in cui ha vissuto durante la sua infanzia e adolescenza va a contrapporsi in modo volontario con quello del Brasile, quando Markus vi giunge con il regista e cugino Martin Prinoth. I piedi nella sabbia, le onde che dolcemente vanno ad infrangersi sulla riva deserta. Lo sguardo di Markus è diverso, sembra, che nonostante non sia riuscito a trovare la sua madre biologica, sia riuscito a ritrovare le sue radici. Ma questo viaggio non è semplice per lui, non ha neanche un preciso epilogo, perché nel mondo reale, non tutte le storie lo hanno.
Markus capisce che non deve fermarsi, deve continuare a vivere, spostarsi, viaggiare, ma tutto ciò senza un preciso obiettivo nella vita.
The Fifth Point of the Compass – La fotografia, la colonna sonora e la lingua, coprotagonisti di questa storia
La fotografia di questo lungometraggio va a campire di contenuti l’intera storia laddove mancano i dialoghi. Markus si inserisce nei paesaggi e nei contrasti, montagne, neve, spiaggia, oceano, casette di legno, palme. Il tutto a ritmo di una colonna sonora prodotta dallo stesso regista che muove da suoni caldi, tipici della musica brasiliana, ma rispettano il ritmo lento e delicato di tutto il film.
Un importante inserimento che va ad arricchire la trama è anche quello della lingua, il ladino, lingua retoromanza parlata in Alto Adige, Trentino, Veneto e Friuli-Venezia Giulia. Si sente principalmente in gran parte delle scene, perchè è la lingua di Markus, quella con cui è cresciuto e con cui si è formato. Nonostante il suo girovagare non l’ha dimenticata, non è la sua lingua di origine, ma è quella che ha segnato la sua vita.
Così come lo sono le montagne e la neve, che vanno però a scontarsi con l’ambiente brasiliano, che gli scorre inevitabilmente nelle vene.
The Fifth point of the compass è la storia di un punto di vista, di un racconto personale, diverso dagli altri proprio per tutti i dettagli legati al suo protagonista che vengono inseriti. Tratta un tema forte, contemporaneo, quello delle adozioni e riesce a raccontarlo in modo personale, che va ad arricchire ulteriormente questo tema di sfumature e di complessità, rendendolo quindi impossibile da schematizzare secondo valori assoluti.