The Grudge (2020) – recensione del film prodotto da Sam Raimi
Nato in Giappone negli anni Sessanta, il J-horror ha avuto diverse mutazioni e declinazioni. The Grudge, in uscita il 5 marzo 2020 con Warner Bros., è il secondo remake statunitense di quello che si può considerare uno dei classici del genere, in cui si sono cimentati molti grandi cineasti.
Takashi Miike e Shinya Tsukamoto, tanto per citarne due, senza dimenticare quelli che negli anni 2000 hanno contribuito a portare il J-Horror negli Stati Uniti, Hideo Nakata per primo, con la saga di Ringu, meglio nota come The Ring. E poi Takashi Shimizu, che con il suo Ju-on. Ovvero The Grudge, ha dato vita a una saga di sette film in patria e due versioni americane. La prima diretta dallo stesso Shimizu, nel 2004, e interpretata da Sarah Michelle Gellar. La seconda appena arrivata nelle sale di tutto il mondo.
The Grudge, un dramma immobiliare
Una donna esce da un appartamento dove ha soggiornato per un breve periodo a Tokyo. Precedentemente la dimora è stata funestata da una serie di morti violente. La prima tragedia ha creato il Ju-on, la maledizione del rancore, che colpisce tutti quelli che entrano in contatto con la casa in cui è avvenuta. Fiona Landers porterà con sé quella di Kayako, che ha originato una lunga serie di omicidi misteriosi e che non si fermerà neanche negli Stati Uniti. Sui casi collegati alla famiglia Landers inizierà a investigare la detective Muldoon, ignara di quello che significherà dipanare il mistero.
Un sottogenere fondamentale nell’horror è quello delle case infestate, che si potrebbe anche chiamare dramma immobiliare. The Grudge rientra nel filone, anche se non completamente, dato che, come spesso avviene nel J-horror, la maledizione è metafora di disagio sociale ed esistenziale profondo e radicato particolarmente nella cultura giapponese.
Il film è stato prodotto dalla Ghost House di Sam Raimi. Voleva evidentemente migliorare il lavoro fatto nel 2004 con il primo remake, di cui era anche in quel caso artefice. Dietro la macchina da presa mette Nicolas Pesce, alla sua terza regia e anche autore di soggetto e sceneggiatura e, rispettando in parte la struttura della storia originale, riesce in un’operazione assai interessante.
The Grudge (2020): qualche passo nel delirio
L’indagine sui diversi casi, strutturata in flashback, è molto classica, una vera e propria raccolta di storie della mezzanotte, soluzione semplice ed efficace, che permette allo spettatore di seguire in parallelo, senza dispersione e con estrema chiarezza, tutto il dipanarsi della trama. Niente di trascendentale, se non la consapevolezza che, come spesso accade, l’asciuttezza paga.
Nicolas Pesce dirige con diligenza e non si lascia andare a facili spaventi, al contrario c’è molto non visto preceduto sempre dalla giusta tensione. A questo va aggiunto il valore di un cast composto da ottimi attori.
Andrea Riseborough ben si cala nel ruolo della detective da poco vedova e affascinata dalle misteriose strade della morte. L’attrice inglese (protagonista anche di ZeroZeroZero) lavora molto in sottrazione, cosa che le riesce benissimo, come ha già dimostrato nel bel Nancy, piccolo film decisamente sottovalutato e da riscoprire. Attorno a lei due eccellenti caratteristi come Demiàn Bichir (The Hateful Eight) e Jackie Weaver (candidata all’Oscar per Animal Kingdom e Il lato positivo), e una coppia di interpreti che meriterebbe più attenzione dal grande cinema come John Cho (il signor Sulu degli ultimi Star Trek cinematografici) e Betty Gilpin, già stella del ring di Glow.
The Grudge non resterà negli annali del genere
Ma vista la sin troppo prolifica produzione horror, si distingue per una confezione intelligente e curata (bella la fotografia livida di Zach Galler) a fronte del budget relativamente basso, come è nella filosofia del Sam Raimi produttore.
In ogni caso, seguite un consiglio: se state cercando casa, oltre all’impianto elettrico a norma e la doppia esposizione, preferite la doccia alla vasca da bagno.