The Hurt Locker: recensione del film con Jeremy Renner
The Hurt Locker è un film che, al momento della sua uscita, ha toccato un nervo scoperto della società e della politica mondiale e statunitense in particolare.
L’elaborazione dei traumi delle Torri Gemelle e delle contestuali guerre che hanno riportato sul fronte un’ingente quantità di uomini e donne americani nel 2008 era ancora in pieno svolgimento. Kathryn Bigelow proprio in quell’anno porta al cinema la storia scritta dal giornalista Mark Boal, che aveva passato dei periodi insieme ai soldati impegnati sul fronte della guerra in iraq, dando vita a The Hurt Locker.
Con i volti di Jeremy Renner, Ralph Fiennes, Guy Pierce e Anthony Mackie (tra gli altri), Bigelow ha dato vita ai personaggi del film che hanno ben poco di fittizio, cercando di ripercorrere i meccanismi provocati dalle esperienze belliche. La squadra di soldati protagonista di The Hurt Locker ruota intorno al personaggio del Sergente William James, membro provetto dell’esercito statunitense mosso da una fervente passione per l’azione, con il rischio che l’adrenalina del combattimento prenda il sopravvento sulla logica e sulla razionalità.
Proprio questo difetto sembra essere alla base dell’incidente che porta al ferimento del suo più stretto compagno di avventura: lo scontro tra soldato e nemico diventa una lotta tra fratelli di battaglia, che si trovano vicendevolmente trasformati dall’esperienza di guerra, soprattutto per quanto riguarda James. Il personaggio interpretato da Jeremy Renner, infatti, si trova a vivere quel trauma già narrato ampiamente nella letteratura del Novecento (dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale in poi), facendo esperienza di una sorta di impossibilità di tornare alla vita di prima, scoprendosi incapace di adattarsi alle mura domestiche e al calore familiare, che lo porta nel finale a riprendere il suo posto nell’esercito, in prima fila in Iraq.
The Hurt Locker: il racconto della dimensione intima di una guerra in atto
Coperto di numerosi premi (6 Oscar, tanto per citarne alcuni), è chiaro che The Hurt Locker al momento della sua uscita abbia toccato un nervo scoperto della società e della politica mondiale e statunitense in particolare, che in quegli anni si è trovata nuovamente scossa da una serie di conflitti bellici che gli Usa hanno costruito in rapida sequenza, seguendo la famigerata battaglia contro il terrorismo e l’altrettanto celebre corsa al petrolio. Le reazioni di critica e pubblico al racconto di Boal e Bigelow testimoniano la necessità di esplicitare queste esperienze, ponendo fin dal titolo l’accento sulla dimensione intima della guerra in atto. The Hurt Locker indica in gergo militare un luogo impervio da cui non si è sicuro di poter uscire senza riportare danni, ma è anche simbolicamente un contenitore molto resistente al dolore, un modo per difendere la propria sensibilità dai rimorsi e dal dolore causato dalle efferate immagini proposte quotidianamente. James è l’emblema di un uomo anestetizzato emotivamente, una vera macchina da guerra, conscio dei pericoli e della necessità (almeno supposta) del suo ruolo, ma che vive ormai senza possibilità di redenzione in una dimensione dissociata dalla realtà.
Le immagini di The Hurt Locker propongono un’alternanza di primi piani tra i volti dei diversi protagonisti, fornendo un ampio spettro del modo di vivere il campo di battaglia. L’Iraq mostrato sullo sfondo diventa un luogo universale, senza legami spazio-temporali, che però si lega alla contemporanea esperienza di un’intera nazione continuamente chiamata a proteggere i suoi interessi senza riguardo per le vite umane messe in campo. Tutto il racconto diretto da Kathryn Bigelow si rivela quindi molto simbolico, procedendo per immagini pregne di significato, ognuna di esse simbolo di un’intera dimensione personale e universale, talvolta giocando anche su facili accostamenti patetici ai sentimenti dei personaggi rappresentati.