The In Between: recensione del film Netflix di Arie Posin
Tratto dall'omonimo romanzo di Marc Klein, The In Between è la love story adolescenziale che dovrebbe farci "sentire" lo spettro dell'aldilà ma che invece non riesce mai a coinvolgerci.
Su cosa ci sia davvero oltre la morte e, soprattutto, se sia veramente possibile comunicare con chi ormai non c’è più è da sempre materia affascinante, filosofica quanto religiosa, aperta a singolari interpretazioni e a (mis)credenze più o meno scettiche. Il cinema, grazie alla sua preziosa capacità di trasporre in immagini l’immaterialità e la magia della non realtà, ci ha regalato storie d’amore e di fantasmi in cui l’elemento della perdita, e dunque del processo interiore del lutto, veniva traslato in un paranormale-sentimentale: una manifestazione del defunto cioè, alla disperata ricerca comunicativa con l’amore, lasciato e perduto, nella propria vita terrena.
Da Ghost a Storia di un fantasma, passando per Se solo fosse vero e Resta anche domani, nel filone romantico-spettrale va ad aggiungersi anche The In Between, adattamento per Netflix del romanzo omonimo di Marc Klein disponibile in piattaforma a partire dall’8 aprile 2022. Un teen-drama soprannaturale, appositamente rivolto ai coetanei dei qui protagonisti Joey King e Kyle Allen, generico per piena aderenza al linguaggio adolescenziale ma del tutto privo del “sentire” percettivo e ultra-sensoriale della presenza fantasmatica.
“Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi”. D.F Wallace
Risvegliatasi in ospedale a seguito di un incidente che gli “strappa”- letteralmente – il cuore, la liceale Tessa, figlia affidataria della provincia americana, comincia a captare dei strani segnali ancora non pienamente decifrabili, delle voci e dei movimenti, che poco hanno a che fare con la razionalità, che la inquietano ma che per nulla la respingono. A inviarglieli Skyler, il fidanzato perso in quella stessa tragica notte, conosciuto una mattina qualsiasi in un cinema del posto e primo vero amore di una vita che ora sembra congelata nel dolore dell’assenza, ma che un tempo scopriva per la prima volta il valore ancora sconosciuto dell’affetto e della fiducia reciproca.
La ‘via di mezzo’ (The In Between) fra la vita terrena e quella dell’aldilà. E quella (non riuscita) fra il teen-drama e la ghost story
Diretto dal regista e sceneggiatore israeliano Arie Posin, celebre soprattutto per il dramma poliziesco con Annette Bening The Face of Love, The In Between confeziona senza mai arrivare ad un peso emotivo la classica love story liceale di due anime iper-sensibili connesse sull’onda del revival malinconico del mondo analogico, per integrare al suo interno quella più ambiziosa e meno riuscita della ghost story. Filtrando entrambe le corsie attraverso la struttura del flashback e del countdown all’indietro per ripercorrere i giorni prima il fatidico incidente, il film si muove ad estremo rilento nei territori pericolosi della banalità e dell’inconsistenza, incapace di tradurre in idee credibili e visibilmente trascinanti il concetto chiave della mancanza/presenza, qui tradotta in mediocri effetti speciali ed esperienze ‘distorte’ di contatto fra i due mondi goffe e prive di suspense.
Bypassando la convenzionalità della storia d’amore in età pre-adulta, quella vissuta con l’intensità e la sdolcinatezza della prima volta, a rendere The In Between un tentativo debolissimo di commistione fra teen e ghost e l’inerzia con la quale lo scrittore del libro e anche sceneggiatore Klein prova a creare un immaginario avvertibile di tensione e di mistero, uno quantomeno tangibile non solo ai diretti interessati ma agli spettatori stessi, lasciati in disparte e mai davvero coinvolti nel processo emotivo e mistico della protagonista.
Risolto con superficialità nel ritratto fanciullesco più coming-of-age che spirituale, il terzo film di Posin appare come l’ennesimo romance letterario come ne esistono in tanti, dimenticabile e inconsistente come lo spettro che ci dicono si aggiri nella durata del film, ma a noi inafferrabile e evanescente come invece un’interpretazione cinematografica della trascendenza non sarebbe dovuta essere.