The King’s Man – Le origini: recensione del film con Ralph Fiennes
Cosa aspettarsi da The King's Man - Le origini? La nostra recensione del film, al cinema dal 5 gennaio 2022.
Non chiamatela trilogia. Perché The King’s Man – Le Origini, in sala dal 5 gennaio 2022, è un passo indietro nelle vicende della saga tratta dagli omonimi fumetti di Mark Millar e Dave Gibbons. Un prequel a tutti gli effetti. Distante nella trama – che cerca di tratteggiare il percorso storico sino alla fondazione dei King’s Man – e dall’approccio dei film che lo precedono. Lontano da Kingsman – Secret Service perché non sufficiente a erediterne la linearità grandiosa delle scene d’azione più folli mista al ritmo dello stile tutto inglese che cuciva le vicende sullo charme di Colin Firth. Ma per fortuna lontano anche dal suo sbiadito sequel, disastroso tentativo di trasformare la pausa té degli uomini del Re in una bourlesque qualsiasi. The King’s Man – le origini è dunque un lavoro duplice. Porta avanti il nome della saga e ne ricerca il senso profondo lì dove tutto è iniziato. Riazzera le speranze di un futuro per questo universo narrativo e si lascia seguire con passione persino da chi giunge ignaro delle vicende già raccontate. Un punto zero con zone d’ombra e graditi pregi, in cui Matthew Vaughn – già regista degli altri due capitoli – ritrova i personaggi di Millar e torna a concedersi le giuste libertà.
The King’s Man – Le Origini è un war-spy movie con il giusto tono
Lasciato Colin Firth, riavvolgiamo la storia sino a riscoprire la fonte: Orlando Oxford (Ralph Fiennes), il nobiluomo che diede inizio a tutto. Teatro delle vicende è la Grande Guerra, di cui seguiamo e riviviamo le origini. La celeberrima goccia che fece traboccare il noto vaso è posta alla rilettura fantasiosa di quest’universo parallelo, dove le ragioni del conflitto si assomigliano mentre cambiano sfumature e protagonisti.
Infatti, le diatribe geopolitiche guidate dai nazionalismi e dai sogni di gloria dei popoli vengono soggiogate dalla longa manus di una misteriosa organizzazione che agisce al di sopra di tutto. Il mandante di ogni nefandezza che condurrà e alimenterà lo scontro – l’uomo alla cima di un tavolone che ricorda la Spectre bondiana – ci è abilmente nascosto. Seppur suggerito. The King’s Man – Le Origini è infatti un war movie dal sottotesto spionistico in cui si incastra a sorpresa del pubblico un rivolo d’oro, un’avventura da racconto giallo che conduce al gran finale: la rivelazione del nemico.
E così le vicende sono fili rossi che attraversano un mappamondo in sughero, dove la vastità del globo si riduce a intrecci sapientemente costruiti per fermare la guerra. A guidare l’indagine lontana dalla trincea ma ad essa allacciata come una fondina alla cinta è un nobiluomo guidato da intenti pacifisti. Ralph Fiennes è segnato dalla violenza dell’uomo, a cui a deciso di porre fine con una morale integerrima e infrangibile. Nel 1902, durante la seconda guerra boera, la moglie viene infatti uccisa di fronte agli occhi inermi del figlio Conrad (Harris Dickinson). Gli Oxford sono fedeli servitori del Re, ma distante è sempre la loro mano dal cane della pistola. Allo scoppio della guerra il dilemma morale si incarna nel giovane Conrad, riconoscente nei confronti del padre ma volenteroso di fare il proprio tra le fila delle trincee.
E così, King’s Man – Le Origini ha l’occasione per spezzarsi: con il padre a monitorare le trame del mondo, con il figlio ad eludere i proiettili. L’epilogo predilige un andamento disneyiano con morale ibrida e ricostituita dopo le peripezie. Ed è qui che King’s Man – Le Origini riprende la spigliata voglia di caos del primo capitolo. Prende scelte forti, segue i personaggi ma senza invaghirsene a tal punto da non poterli eliminare. Ha la libertà di un prequel sufficientemente distante dagli altri due capitoli da poter giocare con la trama senza obblighi d’alcun tipo. L’importante è l’arrivo, la fondazione dei King’s Man. Elemento che, nell’insieme roboante degli eventi della Grande Guerra alternati ai villain di passaggio che anticipano il boss finale, si ha tempo di dimenticare. Sorpresi da un plot twist rivelato nel titolo.
Il mappamondo in mano ai camerieri
È al connubbio ponderato tra cast e ruoli che si deve molta dell’emozione provata al cospetto di The King’s Man – Le Origini. Il soggetto d’origine subisce alcune variazioni ma lascia intatto l’aspetto duplice della vicenda raccontata. Seguendo il Signor Oxford scopriamo che a combattere gli intrighi nazionali è il suo esercito di spie private. Non sono soldati e nemmeno mercenari. Sono gli insospettabili per antonomasia in un sistema ancora aristocratico: la servitù. Cameriere, maggiordomi, cuochi e governanti di tutto il mondo uniti da un’invisibile rete che osserva da vicino i potenti del mondo. Ogni informazione arriva a Oxford, che anticipa le mosse dei nemici e ne scardina i piani meglio della macchina di Turing contro l’enigma tedesco della seconda guerra mondiale.
Al fianco del pacifista, in un bunker nascosto dietro la libreria – perché la cultura resta l’arma di quest’aristocrazia illuminata -, la sua governante Polly, interpretata con un brio controllato ma avvenente da Gemma Arterton. Il gruppo scenderà anche in campo, sino al cospetto del palazzo d’Inverno. Qui, incontrano Rasputin (Rhys Ifans), tra i molti personaggi storicamente attestati che fanno capolino nelle vicende con caratteri e fattezze a volte parodistici altre del tutto rinnovati. Idea significativa ed esilarante è la triplice interpretazione di Tom Hollander, assime Re Giorgio V, Guglielmo II e Nicola II.
La danza-lotta con il consigliere privato dei Romanov è una delle gemme di regia di un film che, nonostante ritrovi se stesso dopo un deludente secondo capitolo, fatica comunque a costruire un’azione rigorosa e ben inquadrata come fu nel primo titolo. A questa segue anche la sequenza sul campo di battaglia, dove sovente ricordiamo 1917 di Sam Mendes, una comparazione dove persino il premio Oscar a tratti vacilla. La necessità di Vaughn di ricondurre gli scontri a un corpo a corpo – dove la sua idea di regia guadagna di profondità e lascia la sensazione di non essere d’innanzi a un action come un altro – lo porta a scrivere una bella scena di notturna ambientata tra due trincee, dove i soldati di ogni schieramento non sparano per evitare di avviare le mitragliatrici delle sentinelle. Tirate su le maniche, inizia un eloquente dialogo nell’universale lingua dei pugni. The King’s Man – Le Origini offre purtroppo un’estetica meno sicura dei suoi predecessori, anche a causa di una fotografia che fatica a comunicare con i (numerosi) sfondi ed elementi ricostruiti in computer grafica. Elemento che inficia su un finale più debole delle decantate premesse.
Seppur ancora legati a Kingsman – Secret Service, questo nuovo capitolo si fa amare per le sue anime distinte e ambiziose, superiori quando separate e lasciate scorrere piuttosto che ricongiunte nello scontro conclusivo. Il grande conflito mondiale si riassume in vicende di famiglia e soluzioni a portata di messaggero (o ancora meglio di maggiordomo), un aspetto che strappa un sorriso e ricorda il bello di reimmaginare il passato alla luce degli universi narrativi. Di certo, The King’s Man – Le origini è un messaggio agli aristocratici del mondo: guardatevi da chi vi porta il té. Potrebbe essere un messaggio degli uomini del Re.