The Kitchen: recensione del film di fantascienza Netflix
Fantascienza distopica per l’opera prima di Daniel Kaluuya e Kibwe Tavares con Kane Robinson, disponibile su Netflix dal 19 gennaio 2024.
I motivi che rendevano The Kitchen uno dei film più attesi tra quelli in uscita a gennaio 2024 su Netflix erano tanti, a cominciare dal genere di appartenenza, ossia la fantascienza distopica, sino all’ambizione che ne caratterizzava tanto la confezione tecnica quanto la storia narrata e le tematiche trattate, che come avremo modo di vedere sono decisamente impegnative e dal peso specifico piuttosto rilevante. Ma più di tutte era la presenza dietro la macchina da presa di Daniel Kaluuya, coadiuvato in cabina di regia da Kibwe Tavares, ad avere alimentato la curiosità nei suoi confronti da parte degli abbonati alla piattaforma a stelle e strisce, che ha rilasciato la pellicola il 19 gennaio 2024 dopo che questa aveva avuto l’onere e l’onore di chiudere in anteprima mondiale la 67esima edizione del London Film Festival lo scorso ottobre. Per l’attore premio Oscar per la sua interpretazione da non protagonista in Judas and the Black Messiah, oltre che di Scappa – Get Out e Black Panther, così come per il connazionale, si tratta infatti dell’opera prima. Dietro l’attesa del pubblico e degli addetti ai lavori – noi compresi – c’era dunque lo scoprire come se la fossero cavata questi due esordienti con un progetto sulla carta dal coefficiente di difficoltà così elevato.
Le ottime interpretazioni di Kane Robinson e del giovane Jedaiah Bannerman sono le note positive di un’opera prima che delude ampiamente le attese
Purtroppo per la coppia britannica il risultato ha deluso e non poco le tante attese riposte in un lungometraggio del quale ci sentiamo di salvare davvero poco e in quel poco ci sono sicuramente le perfomance del talentuoso Kane Robinson (visto in Top Boy) e del promettente Jedaiah Bannerman. Il primo lascia il segno calandosi nei panni di Izi, uno schivo e solitario impiegato di un’impresa di pompe funebri ecologica che dopo la morte della sua ex fidanzata scopre di avere un figlio di nome Benji, interpretato con la giusta intensità proprio dal giovanissimo Bannerman. Quando il ragazzo in cerca del padre arriva a The Kitchen, centro di una vivace comunità e ultimo edificio sociale rimasto intatto in una Londra futuristica dove le disparità socio-economiche hanno raggiunto livelli senza precedenti, Izi è costretto a uscire dal suo isolamento e diventare di fatto un tutore e combattere insieme al figlio e al resto della popolazione dell’enclave contro coloro che cercano di distruggerla.
The Kitchen ci porta in una Londra distopica piuttosto derivativa in termini scenografici poiché messa in quattro attraverso un incontro tra l’afrofuturismo e un immaginario alla Blade Runner
Da quello che si evince dal plot, Tavares e Kaluuya hanno coraggiosamente tentato di alzare l’asticella con un film di grande impatto, che ci porta in una Londra distopica piuttosto derivativa in termini scenografici poiché messa in quattro attraverso un incontro tra l’afrofuturismo e un immaginario a metà strada tra Blade Runner e I figli degli uomini. Qui il divario tra i ricchi e i poveri è arrivato al limite e si è verificato lo sradicamento di tutte le case popolari. Tematica, questa, fortemente attuale che i due registi, con la complicità in fase di scrittura di Joseph Murtagh, hanno voluto proiettare in un futuro nemmeno troppo lontano dalla realtà nella quale stiamo vivendo. L’intenzione degli autori è fin troppo chiara ed è quella di suonare e fare echeggiare attraverso gli strumenti messi a disposizione della Settima Arte un campanello d’allarme rispetto a ciò al quale stiamo andando incontro. Ai possibili effetti di una catastrofe socio-economica si vanno poi ad aggiungere un tempestivo promemoria di cosa significa essere una famiglia e lottare per ciò che è più importante, ma anche le pagine di un romanzo di formazione (il cammino di crescita di Benji) e più in generale una storia sull’essere padre e sul legame con la propria comunità di appartenenza. Un magma incandescente di argomentazioni, molte delle quali universali, che condensate nel racconto non trovano spazio a sufficienza per essere approfondite come avrebbero meritato, così come l’universo interiore dei personaggi che a conti fatti mostra ancora ampi margini di sviluppo.
Le emozioni vere e la tensione arrivano purtroppo solo nella seconda parte
La sensazione al momento dei titoli di coda è di essersi imbattuti in un’opera concepita sulla base delle tantissime buone intenzioni dei registi e degli sceneggiatori, molte delle quali purtroppo rimaste loro e nostro malgrado insolute. Dopo una prima ora di eccessivo rodaggio all’insegna dell’accumulo di informazioni e al limite del soporifero, The Kitchen arriva finalmente a regime e ingrana la marcia corretta tanto nel ritmo quanto nella tensione e nelle emozioni, con quest’ultime che raggiungono il picco nelle scene delle irruzioni della polizia durante gli sgombri dell’enclave con la mente che torna ad Athena, Diaz – Don’t Clean Up This Blood e Il legionario. Qui il film trova una sua dimensione e un suo motivo di esistere, o quantomeno un giusto compromesso tra il vorrei e il posso, una condizione che nella prima parte invece non si è palesata per i motivi di cui sopra.
The Kitchen: valutazione e conclusione
L’opera prima di Daniel Kaluuya e Kibwe Tavares delude le attese, dimostrandosi ampiamente al di sotto delle potenzialità a sua disposizione. Discontinuità narrativa e drammaturgica tra una prima parte soporifera e incerta e una seconda più convincente in termini di tensione, ritmo ed emozioni, non permette alla scrittura di raggiungere la compattezza, l’equilibrio e la solidità delle quali un progetto complesso come The Kitchen aveva assolutamente bisogno. La confezione tecnica e le scenografie ampiamente derivative non sono sufficienti a colmare le mancanze strutturali, così come le interpretazioni di Kane Robinson e Jedaiah Bannerman nonostante offrano e comunichino moltissimo ai personaggi, alla storia e al pubblico non bastano per mantenere in quota il tutto.