The Letter Room: recensione del cortometraggio con Oscar Isaac
Al Not FIlm Festival, Oscar Isaac protagonista del corto The Letter Room diretto dalla moglie Elvira Linda. Un toccante e intelligente racconto carcerario.
The Letter Room è la prova provata che si possono fare tanti diversi tipi di racconto per parlare della vita carceraria, dell’universo parallelo con cui si ha a che fare lì tra quattro mura dove l’anima è prigioniera, dove la società rinchiude gli indesiderabili, chi non è riuscito ad essere altro che un dato in un procedimento giudiziario.
E sappiamo tutti quanto negli Stati Uniti la realtà carceraria sia ancor più drammatica in virtù della profonda diseguaglianza sociale, povertà, razzismo, mancanza di adeguati fondi pubblici e soprattutto della violenza legalizzata. La pena di morte continua ad essere una presenza imbarazzante agli occhi del mondo, ma più ancora l’incapacità di metterla in discussione. Su tutti questi temi, con un pizzico di agrodolce, si sviluppa il bellissimo corto The Letter Room di Elvira Linda, presentato da noi al Not Film Festival di Santarcangelo di Romagna e con un bravissimo Oscar Isaac come protagonista di un viaggio umanissimo e per certi versi davvero sorprendente lungo appena 30 minuti ma che vale più di tanti lungometraggi che assediano i nostri sensi.
Un guardia carceraria molto sui generis
Per Richard (Oscar Isaac) la vita è qualcosa di abbastanza ordinario. Guarda carceraria in uno istituto correttivo di massima sicurezza, è apparentemente una persona abitudinaria, pigra, svogliata ma solare e con la capacità di farsi ben volere da colleghi e detenuti. Sperando di avere un miglior stipendio e meno noia con cui avere a che fare, accetta di diventare l’incaricato dell’Ufficio Postale del carcere, cosa che in realtà prevede che lui analizzi e controlli le lettere e i pacchi che arrivano ai detenuti, cercando prove di eventuali reati, frasi in codice, materiale proibito, droga, pornografia o altro.
Inizialmente poco felice dell’incarico, in breve trova in esso un elemento di curiosità e di interesse, soprattutto perché gli permette di intrufolarsi nelle vite degli altri. Oltre alle richieste di un detenuto che non ha più contatti con la figlia, ad attrarre la sua attenzione sono le lettere di Rosita (Alia Shawkat), la fidanzata di Cris, reo di aver ucciso un poliziotto e per questo in attesa di essere giustiziato nel braccio della morte. L’amore che trasuda da quelle lettere lo stregheranno e lo porteranno verso un confine molto pericoloso, molto al di là delle sue supposte responsabilità.
The Letter Room è un film molto intimo
The Letter Room si concentra quasi esclusivamente sul punto di vista di Richard, che ha dalla sua un’interpretazione molto solida di Oscar Isaac, che dopo aver vestito i panni del Duca Leto in Dune di Villeneuve e quelle di un antieroe urbano in Il Collezionista di Carte di Schrader, qui si normalizza, nel senso che ci dona il classico uomo-medio un po’ represso e un po’ immalinconito, adagiato su un quieto vivere da cui vorrebbe scappare in ogni modo.
Imbranato, timido, senza grandi ambizioni da rivelare al mondo, è anche caratterizzato da una solitudine opprimente che la sceneggiatura di Elvira Lind è perfetta nel far emergere di sottecchi, nelle piccole cose e piccoli gesti, nella sua vita di single con cane e cibo al microonde, scossa da una sensualità agognata e che traspira da quelle pagine scritte a mano. Nei 30 minuti di questo corto (nominato agli Oscar e al Tribeca Festival) riusciamo immediatamente a comprendere una perfetta realtà: non sono solo Cris e gli altri ad essere prigionieri del carcere, ma anche Richard e gli altri come lui, assediati da mura grigie e opprimenti, da una disumanizzazione burocraticizzata che si fa sempre più evidente ogni minuto che passa.
Un viaggio dentro i paradossi della vita
The Letter Room in 30 minuti esatti ci mostra le contraddizioni dell’animo umano, tra pietas e egoismo, tra mancanza di empatia e sentimentalismo, connettendosi in questo ad altri film su tale tema. Tuttavia rifiuta la drammaticità tout court vista per esempio nel nuovo Papillon di Noer, ma connettendosi maggiormente a una dimensione di universale comprensione sulla difficoltà nel sapere cosa fare in certi momenti della nostra vita.
Anche esteticamente il corto è splendido, e permane alla fine la sensazione che con i giusti accorgimenti e la giusta volontà, se ne potrebbe fare un lungometraggio di grande impatto e originalità, distante dai cliché del genere e soprattutto disconnesso dalla visione manichea con cui una certa cinematografia contemporanea parla del difficile mondo grigio che separa legge da giustizia, ciò che è giusto fare da ciò che si è autorizzati a fare. 30 minuti per un corto che di corto ha solo il nome, che paiono non finire mai e nel senso positivo, coerenti con quell’autorialità americana dei nostri giorni che dovrebbe essere maggiormente centrale nella proposta cinematografica popolare.
Invece domina l’isolamento, dettato da una sorta di senso di colpa, lo stesso di Richard, che fa quello che fa per se stesso ma impara che le buone azioni disinteressate rendono il mondo un posto migliore anche solo per un istante.