Roma FF17 – The Lost King: recensione del film di Stephen Frears
L'opera, nella sezione Grand Pubblic della Festa del Cinema di Roma 2022, unisce passato e presente raccontando una storia intensa, tenera, ironica dove la diversità e l'affermazione della propria dignità trionfano.
The Lost King è il film diretto da Stephen Frears (The Queen – La Regina, Philomena) con una sceneggiatura di Steve Coogan (The Dead Good Show, Un’insolita missione) e Jeff Pope (Stanlio & Ollio) che si ispira ad un fatto realmente accaduto nel 2012 ovvero la scoperta, da parte di una storica amatoriale, Philippa Langley, dei resti di re Riccardo III creduti perduti per secoli. Un lungometraggio leggero che affonda le radici nel passato per raccontare il presente, riuscendo a trovare una chiave interessante, tra realismo storico e attenzione sociale.
The Lost King, infatti, con il pretesto di una storia che appare secondaria e lontana dai riflettori, riesce a sviluppare tematiche di grande impatto, con ironia ma anche serietà, senza lasciarsi prendere da facili moralismi. Il progetto, che è stato presentato in anteprima il 9 settembre 2022 al Toronto International Film Festival, è attualmente presente alla Festa del Cinema di Roma 2022, nella sezione Grand Pubblic dedicata ai titoli mainstream. La realizzazione, prodotta da Pathé, Baby Cow Productions, BBC Films, Ingenious Media, arriverà nelle sale italiane nel 2023 con la distribuzione di Lucky Red.
The Lost King: Historia magistra vitae
Questa celebre locuzione latina, letteralmente “La Storia è maestra di vita”, estrapolata da una frase più ampia presente all’interno del De Oratore di Cicerone, è probabilmente la cifra migliore per descrivere The Lost King. Stephen Frears, infatti, si appoggia al passato per narrare una storia terribilmente attuale e per fare ciò, in primis, crea un forte collegamento tra la protagonista, Philippa Langley (Sally Hawkins) e re Riccardo III (Harry Lloyd), che inizia ad apparirle come una visione. Il sovrano, secondo la tradizione uno dei regnanti più crudeli e terribili di sempre, è stato in realtà vittima di una vera e propria repressione post mortem da parte dei Tudor che ha usato un suo difetto genetico come rappresentazione esteriore della sua malignità.
Spinta da questa apparizione, la protagonista inizia ad indagare su di lui, si fa nuovi nemici e sceglie una strada ben precisa: cercare il corpo perduto di Riccardo III e riabilitare la sua memoria. È interessante notare come, in fase di scrittura, si fa un parallelismo tra la crociata che ha subito il re e il trattamento che sta ricevendo Philippa che, da quando le è stato diagnosticato un difetto congenito al cervello, è stata emarginata nel mondo lavorativo e anche lo stesso ex-marito non la prende più sul serio. La storia insegna e Philippa lo impara a sue spese, indagando la verità per salvare sé stessa e per dimostrare che la sua diversità non deve essere un elemento di scherno o di debolezza.
Brillante inoltre la scelta del copione, redatto da Jeff Pope e Steve Coogan, di utilizzare un’ironia squisitamente british per discutere di tematiche molto importanti e serie, per l’appunto l’importanza della diversità, ma anche la lotta contro ogni pregiudizio a rischio di andare controcorrente rispetto a quanto ci hanno imposto. Passato e presente dialogano armoniosamente e quella che in The Lost King può sembrare una mera ricerca archeologica si configura sempre di più come un’indagine interiore e sociale di grande eleganza e struttura.
Anche la regia di Stephen Frears ha una solidità e un rigore da manuale: sa destreggiarsi tra commedia e mistery, mettendo sempre in risalto il punto focale del racconto. L’elemento più efficace è che la macchina da presa non ha mai la pretesa di approfondire il passato a fondo, d’altronde l’obiettivo dell’autore non è quello storiografico. Proprio per questo motivo, lo sguardo del film-maker si concentra, in particolare, sulla protagonista e, molto secondariamente, sulla sua reale visione, che è uno spettro piuttosto silenzioso e ingombrante, ma che rappresenta perfettamente la volontà ossessiva della donna, disposta a tutto pur di arrivare alla fine di questa storia.
Un re più loquace da morto
Detto questo, purtroppo, ci si accorge che proprio la presenza immaginaria di Carlo III è uno strumento fin troppo accessorio e rarefatto. Se sicuramente dal punto di vista registico ed estetico è suggestiva, la figura del sovrano d’Inghilterra rimane troppo nelle retrovie, non giustificando quindi l’apparizione fisica nel lungometraggio almeno sul piano della scrittura. Per rappresentare questo rapporto tra la protagonista e il monarca, infatti, ci potevano essere altri modi meno altisonanti e più efficaci narrativamente parlando, come ad esempio un dialogo immaginario tra i due in cui la voce del sovrano, in alcune parti del film, dava dei consigli a Philippa, come una sorta di consigliere ultraterreno.
Oltretutto, tutta la sezione storica è relegata ad elementi totalmente staccati da questa vicenda, tra libri di storia e dialoghi con esperti e professori, quindi è lecito chiedersi perché inserire il personaggio e dargli così poche battute. Un elemento che alla fine, se dal punto di vista scenografico e registico funziona come estensione dell’ossessione della protagonista, sul lato narrativo ripetiamo che non ha un vero e proprio scopo. Parlando sempre dello script, inoltre, avrebbe richiesto un approfondimento in più anche la parte dei lavori precedenti la scoperta delle ossa di re Carlo III, magari spiegando più nel dettaglio come si muovono gli archeologi in questi contesti.
Parlando del cast scelto non abbiamo dubbi che sia il più preciso e calzante possibile: Sally Hawkins dimostra ancora una volta di essere una grandissima interprete capace di ascoltare i suoi personaggi e dargli vita con intensità e passione. Harry Lloyd, tra l’altro, ha avuto un compito difficile perché incarnare re Carlo III e rimanere in silenzio per quasi tutta la pellicola ha richiesto uno sforzo in più e lui effettivamente è riuscito, con la sola espressività, a dare il volto ad uno spirito tormentato e decadente in cerca di giustizia. Ottimi anche Steve Coogan e Mark Addy, rispettivamente nei panni di John Langley e Richard Buckley.
The Lost King è un ottimo film, l’ennesimo progetto centrato da Stephen Frears, che con la sua macchina da presa dipinge una storia poetica e coraggiosa: una donna che riscopre il passato per migliorare il presente, dimostrando che, anche a distanza di secoli, l’umanità non è per nulla cambiata. Se la regia è perfettamente calibrata, facendo propri diversi generi cinematografici e concentrandosi in modo intimo e sincero sui personaggi, la scrittura ha qualche difetto nella caratterizzazione di re Riccardo III che non sembra essere funzionale alla trama. Con un cast strepitoso dove spiccano la Hawkins e LLyoyd, il lungometraggio è una piacevole scoperta e una tenera parabola di coraggio e diversità.