Berlinale 2021 – The Mauritanian: recensione del film di Kevin Macdonald
La recensione di The Mauritanian, il film di Kevin Macdonald presentato alla Berlinale 2021 con Jodie Foster.
Alla Berlinale 2021, nella sezione Specials, arriva anche The Mauritanian, l’ultimo film di Kevin MacDonald, fresco di vittoria del Golden Globe per la miglior interpretazione a Jodie Foster, come Miglior attrice non protagonista. Le vicende centrali sono quelle narrate nel romanzo Guantànamo Diary di Mohamedou Ould Salahi, il racconto autobiografico dei 14 anni di prigionia passati nel carcere di massima sicurezza di Guantanamo. Dopo una complicata vicenda produttiva, causa Covid, il film è riuscito ad arrivare alle sale cinematografiche americane e, adesso, a essere presentato in Europa proprio in occasione della Berlinale 2021 (in Italia l’uscita è prevista direttamente su Amazon Prime Video).
The Mauritanian: non uno dei tanti film sulle ingiustizie
La vicenda di Mohamedou Ould Salahi scuote lo spettatore soprattutto perché alla sua cattura per lunghissimo tempo non ha fatto seguito niente: né un’accusa ufficiale, né tantomeno un processo. Al prigioniero non resta quindi che languire, in attesa che un qualche evento provochi un qualche scossone nella monotonia della quotidianità di Mohamedou. Fortunatamente, al suo fianco ci sono gli avvocati Nancy Hollander e Teri Duncan, che combattono con lui per avere un briciolo di giustizia in una storia che sembra ormai già decisa. A questo scarno gruppetto di ricercatori di verità e rigore morale si unisce anche Stuart Couch, un militare che riesce a smascherare alcune prove contraffatte, portando alla luce anche un piano cospiratorio più grande di quanto ci si potrebbe immaginare.
Inizialmente il titolo di The Mauritanian avrebbe dovuto essere Prisoner 760, ponendo quindi l’accento sulla condizione di prigionia di Mohamedou a Guantanamo, ma quella formulazione lo avrebbe anche reso uno dei tanti, confondendolo tra tutti gli altri detenuti. L’eco della detenzione ingiusta di riflette in ogni inquadratura: ogni immagine in cui compare il protagonista diventa un omaggio alla claustrofobia, con una cornice sempre a circondare la sua figura. Il suo volto, soprattutto durante i colloqui con le due avvocatesse, riempie gran parte della proscena, con piani molto ravvicinati che quasi creano sproporzione tra l’uomo in primo piano e lo spazio circostante, evidentemente insufficiente ad accoglierlo in maniera consona. Anche la luce diventa prerogativa di Jodie Foster e Shailene Woodley, mentre all’interno del carcere dominano incontrastate la penombra e la cupezza dei colori spenti.
Le interpretazioni d Benedict Cumberbatch e Jodie Foster rendono giustizia alla storia narrata in The Mauritanian
Alle immagini della lotta giustizialista di Mohamedou e del suo corpo difensore si alternano quelle ben più note dei trattamenti raccapriccianti riservati ai detenuti. Nonostante il lento incedere delle ricerche dei protagonisti, The Mauritanian si dilunga soprattutto per presentare ciclicamente situazioni sovrapponibili, ma è proprio l’iterazione di queste situazioni tanto da rasentare l’insofferenza che rende l’idea della situazione in cui si trova il protagonista, facendolo assomigliare a un pesce che si dibatte in una rete (o un’iguana dentro una gabbia), mentre l’unica cosa che scorre liscia e repentina è il tempo, accumulando così oltre un decennio di attesa, di tentativi falliti e di frustrazione. L’importanza del successo nel campo della giustizia è direttamente proporzionale all’affetto con cui vengono ricordati gli ultimi anni ’80 in Mauritania, così lontani nello spazio e nel tempo dalla Guantanamo dell’inizio del nuovo millennio da rendere a dir poco difficoltoso ritrovare il collegamento diretto tra le due dimensioni e capire quindi la parabola che ha portato Mohamedou a finire tra quelle quattro mura. A rendere giustizia alla storia raccontata sono comunque le performance degli attori, più di ogni altro aspetto.