The Missing: recensione del film di Ron Howard
The Missing è un film intrigante e particolare rispetto alle altre pellicole del filone di genere a cui appartiene.
Nel 2001 Ron Howard, già conosciuto per aver recitato nella serie tv Happy Days (1974 – 1984) e nel cult movie American Graffiti (1973) di George Lucas e per aver diretto Il Grinch l’anno prima, raggiunge il massimo successo con A Beautiful Mind.
Il rosso più famoso di Hollywood fa strage di statuette agli Oscar, aggiudicandosi sia il premio per il miglior film sia per la miglior regia. Ma, come tutti gli artisti che si rispettino, Howard non considera questo un punto di arrivo della sua carriera, bensì quell’iniezione di fiducia decisiva per sperimentare ancora e lasciarsi tentare da nuovi generi.
Ha così origine l’idea di mettersi a lavoro per dare alla luce The Missing, siamo nel 2003, un western con un cast stellare, i due pezzi da novanta Cate Blanchett e Tommy Lee Jones su tutti, e al sapore di cinema classico, tipico della poetica dell’autore americano.
The Missing: l’importanza della diversità
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Siamo in Nuovo Messico, anno 1885. Maggie (Cate Blanchett) è una guaritrice famosa nella zona, che lavora senza sosta per mantenere le sue due figlie, Lily (Evan Rachel Wood) e Dot, e per mandare avanti il ranch in cui vive, aiutata da Brake (Aaron Eckhart) e dal messicano Emiliano (Sergio Calderón).
La vita scorre più o meno senza intoppi, finché un giorno arriva al ranch una figura misteriosa in cerca di cure. Un uomo bianco con l’aspetto e le movenze di un indiano, di nome Samuel Jones (Tommy Lee Jones), il quale sembra avere una connessione potente con Maggie.
La venuta di Samuel fa solo da preludio agli eventi terribili che porteranno Lily via da sua madre e costringeranno la donna ad intraprendere un viaggio che la condurrà attraverso il mondo dei pellerossa, dove troverà le risposte sul suo passato che per tutta la vita ha voluto allontanare. Maggie non si fermerà comunque davanti a niente e a nessuno per recuperare sua figlia. La chiave del successo sarà proprio Samuel, il ponte dove più culture si incontrano arricchendosi a vicenda, conferendogli la conoscenza e l’esperienza per compiere un impresa sia pratica che spirituale.
The Missing: un esempio di western indiano
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Tra gli elementi di maggiore spicco della pellicola di Howard c’è sicuramente l’importanza degli indiani, sia nello svolgersi della vicenda narrata (sia il protagonista che l’antagonista sono esponenti della cultura dei nativi americani) sia nella sua lettura.
I fili paralleli suoi quali si crea la pellicola sono quelli di una madre che lotta per tenere unita la sua famiglia e di un uomo che ha scelto di abbracciare una cultura diversa dalla sua, cercando di integrarla con la parte della sua vita svoltasi al di fuori di questa sua scelta.
Il risultato è un film intrigante e particolare rispetto alle altre pellicole del filone di genere a cui appartiene, nonostante ricorra a delle scelte molto semplicistiche quando vuol fare incontrare i due fili sopracitati, definiti paralleli proprio per l’inefficacia dei tentativi goffi e superficiali del regista di intrecciarli.
La caratura degli attori che compongono il cast garantisce una recitazione ottima, credibile e che restituisce dei personaggi carismatici, istrionici e coinvolgenti. Da sottolineare anche il cameo di Val Kilmer, sullo schermo per appena dieci minuti, almeno si spera abbia fatto uno sconto alla produzione.
La regia è classica, senza rischi e sperimentazioni, testimone di quella scuola americana derivante da Spielberg e Lucas, che, noncurante del tempo che passa, continua a non evolvere. Probabilmente per raccontare una storia non ce n’è bisogno, almeno secondo Howard.
Una piccola curiosità è la presenza di Evan Rachel Wood e di Elisabeth Moss, rispettivamente le star di due tra le più famose serie moderne: Westworld e The Handmaid’s Tale.