The Parades: recensione del dramma giapponese Netflix
La recensione del dramma dalle venature fantasy sui temi della morte e del rimpianto diretto dal giapponese Michihito Fujii. Su Netflix dal 29 febbraio 2024.
Quella della morte e del rimpianto è una tematica cara al cinema e alla narrativa giapponese da secoli. Innumerevoli, tanto da rendere impossibile un vero e proprio censimento, sono infatti i film che nel corso dei decenni hanno affrontato e raccontato storie che la riguardano. The Parades, la nuova fatica dietro la macchina da presa del prolifico regista di Tokyo, Michihito Fujii, disponibile dal 29 febbraio 2024 su Netflix, è solo l’ultimo in tal senso ad approdare sugli schermi.
In The Parades si assiste a un viaggio emotivo in un mondo parallelo, alla ricerca della pace e della redenzione
La pellicola ci catapulta in media-res in una città costiera non meglio identifica del Giappone atrocemente devastata da uno tsunami conseguente ad un violento terremoto. Su una spiaggia, tra le macerie, i detriti e i resti delle imbarcazioni andate in frantumi, si risveglia Minako (interpretata da un’intensa Masami Nagasawa) che dopo essersi immediatamente fiondata alla disperata ricerca della figlia scopre di essere morta. Si ritrova quindi nel bel mezzo delle Parades, un misterioso raduno in cui le anime dei morti cercano di riunirsi ai loro cari. Accompagnata da altre anime sospese, la donna intraprende un viaggio emotivo in questo mondo parallelo, sperando di trovare la pace e forse anche la redenzione.
Un film che mescola il dramma con il fantasy per dare forma e sostanza a una vicenda che esplora i temi della morte, dell’elaborazione del lutto, dell’interconnessione con l’aldilà, dell’amore, della ricerca della pace e dell’esistenza
Michihito Fujii mescola il dramma con il fantasy per dare forma e sostanza a una vicenda che esplora e riflette sui temi della morte, dell’elaborazione del lutto, dell’interconnessione con l’aldilà, dell’amore, della ricerca della pace e dell’esistenza. Un “magma” di tematiche universali, questo, che attraverso il filtro della cultura orientale e nipponica acquistano un significato e un valore ancora più profondi. È la delicatezza che permea la scrittura, il disegno dei personaggi e la messa in quadro il modus operandi che muove i fili di un’opera che attinge alle molte leggende del folclore del Sol Levante per costruire un racconto che punta tutto sulle emozioni. Il risultato è un flusso che via via scaturisce dalla fruizione più che un racconto strutturato nel quale si verificano catene di cause ed effetti. Una fruizione coinvolgente che pone al centro degli spiriti inquieti destinati a vagare sulla Terra senza sosta, alla ricerca di qualcosa che hanno perduto, che nel caso dei protagonisti di The Parades, in primis Minako, sono gli affetti e la vita terrena. Motivo per cui la scrittura prima e la cinepresa poi del regista giapponese scelgono di concentrarsi e indugiare sulle loro reazioni emotive davanti al proprio irrisolto piuttosto che su singole situazioni. Da qui la dilatazione dei tempi e la lentezza del ritmo nel racconto che da una parte permette un più approfondito sviluppo dei personaggi, con la conseguente catarsi dello spettatore, dall’altra un appesantimento della timeline che rende la visione a tratti soporifera e poco scorrevole. Le due ore e passa a conti fatti ne risentono, con la durata che ci sembra andare oltre le effettive necessità narrative e drammaturgiche del plot.
The Parades: valutazione e conclusione
In The Parades si riflette su tematiche universali come la morte, l’elaborazione del lutto, l’interconnessione con l’aldilà, l’amore, la ricerca della pace e l’esistenza, per dare alla luce un’opera che mescola dramma e fantasy attraverso il prima della cultura giapponese e la delicatezza del tocco tipico della sua cinematografia. Le emozioni e l’approfondimento dei personaggi molto più delle azioni sono i fili che muovono il racconto, con l’intensa interpretazione di Masami Nagasawa nei panni della protagonista che rappresenta un valore aggiunto. Il racconto però risente dal punto di vista ritmico e narrativo dell’eccessiva dilatazione, tanto da rendere soporifere alcune parti della timeline. Se le immagini sono qualitativamente di buona fattura, con una regia capace di inventare soluzioni e al contempo mettersi al servizio dei personaggi, il suono non è avvolgente e immersivo come invece un progetto sensoriale come questo avrebbe richiesto.