The Predator: recensione del film di Shane Black
The Predator di Shane Black riporta sul grande schermo la creatura iconica dell'universo sci-fi horror di fine anni '80. Il reboot butta via i pochi spunti creativi, mitragliando sul pubblico cliché, troppo action e pochissima suspense: il risultato è qualche risata e tanta noia.
Ormai sono passati 31 anni dall’uscita di Predator, il film del 1987 con Arnold Schwarznegger in cui per la prima volta ci si imbatteva in una creatura aliena terrificante, feroce, molto astuta e ovviamente letale. Dopo quella che è poi divenuta una pellicola cult del genere, a cui è succeduto un sequel del 1990, due crossover in cui gli alieni della razza Yautja si scontrano con gli Alien, ed infine il remake Predators del 2000 con Adrien Brody come protagonista, arriva un nuovo film a riaccendere la saga. The Predator, nelle sale italiane a partire dall’11 ottobre 2018, è diretto da Shane Black, noto sceneggiatore di Hollywood – ha scritto la sceneggiatura di Arma Letale – e regista del terzo capitolo di Iron Man, che ha fatto parte del cast di Predator del 1987, figurando tra gli attori protagonisti del film. Chi meglio di colui che ha visto in prima persona la genesi di questo personaggio iconico avrebbe potuto cogliere la sfida – per molti persa in partenza, dati gli insuccessi di tutti gli altri capitoli e spin-off della saga – per rilanciare, e offrire nuova linfa vitale alla saga di Predator?
The Predator: Shane Black e il suo mix di generi
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The Predator inizia mostrando una navicella spaziale con a bordo un alieno – caratterizzato dai tipici dreads – in fuga. Fuga che si conclude sulla Terra dove l’alieno, dopo aver commesso i classici sbudellamenti e lasciato cadaveri a penzoloni, viene catturato dal governo statunitense che lo porta in laboratorio per studi e sperimentazioni. Ovviamene l’alieno si risveglia e scappa: il Predator è pronto per iniziare la sua caccia in una piccola cittadina degli Stati Uniti.
Come in tutti i film in cui compaiono i Predator, al centro della trama c’è una missione, e qui la missione si ingigantisce perché nel nuovo film di Shane Black non ci troviamo più nella giungla sperduta: ora in pericolo c’è una città intera. Per sconfiggere il mostro dovrà scendere in campo un gruppo di reietti, tutti ex soldati di guerra oggi con disturbi psichici, che dal bus che li porta verso l’internamento vedono il predator scappare. In questo gruppo ci è finito anche da Quinn McKenna (Boyd Holbrook), un soldato non matto, ma che ha visto e sa troppo. In loro aiuto arriverà anche la Dottoressa Bracket (Olivia Munn) esperta di genetica aliena e un bambino autistico, il figlio di Quinn McKenna, ma dall’intelligenza spiccata: è l’unico che riesce a decifrare il linguaggio alieno e avanzato dei predator, per questo le creature vogliono rapire il piccolo e portarlo con sé nella galassia.
The Predator: Shane Black aggiunge tanto action ma niente suspense
Il film entra subito nel vivo senza fare preamboli: Black come nel suo stile mette al centro l’action duro e puro, richiamando in causa i film anni ’80 del genere, tra duelli fisici, esplosioni e tanti spari. Il film cerca di rilanciare la storia dei predator inserendo spunti narrativi, alcuni buoni, altri meno, forse troppi, rendendo la storia caotica. Peccato che il film decida di mettere completamente da parte la tensione e l’aura di mistero che aleggia intorno la creatura che qui non è più protagonista, ma diventa un mostro invincibile qualsiasi.
Inoltre The Predator abbonda di cliché: da un lato c’è un gruppo di svitati, dalle battute politicamente scorrette (inserendo così qualche pennellata di buddy movie ben costruita e che diverte) pronti a riscattarsi, dall’altro due figure femminili che devono ancora una volta sottolineare quanto loro non abbiano bisogno di essere salvate perché sanno imbracciare fucili e vedersela da sole. Una nota femminista poco incisiva. Nonostante Shane Black giochi benissimo con il mix di generi, dimentica la chiave fantascientifica da cui il film dovrebbe attingere: il clima giocoso, molto ironico grazie alle battute che l’allegro gruppetto di ex soldati svitati tira fuori, annulla completamente il clima horror sci-fi da cui il personaggio del titolo prende vita. A rendere il quadro ancora più infausto c’è una sceneggiatura in alcuni passaggi criptica, sequenze action reiterate poco entusiasmanti e un finale forzato che prelude ad un nuovo capitolo. Fra le note positive del film c’è il cast tutto in parte a partire da Boyd Holbrook, già apprezzato nella serie tv di Netflix Narcos e nel cinecomic d’autore Logan. Al suo fianco ritroviamo per la quota femminile la bella Olivia Munn (che prossimamente ritroveremo in X-Men: Dark Phoenix) e Trevante Rhodes, nei panni del militare con istinti suicidi e che in passato abbiamo visto anche in Moonlight.
The Predator: vedi qui il trailer finale italiano del film di Shane Black
Insomma sembra che nemmeno il quarto capitolo sia riuscito a risollevare la saga, almeno per i fan del cult del 1987: The Predator ibrida i generi, come ibrida la creatura grazie alla quale la storia prende vita (surprise, che chi ha visto il trailer conosce già: c’è un super predator in giro, di cui si sa pochissimo e forse si saprà di più in un probabile sequel). Inoltre nel clima ironico che Shane Black ha creato insieme a Fred Dekker (Robocop 3, Scuola di mostri) si trova il tempo anche per discutere se il nome predator si addica agli alieni Yautjia: nel film infatti Olivia Munn dice che in fondo il nome è sbagliato perché non sono dei predatori, non lo fanno per istinto di sopravvivenza, ma dei cacciatori, perché la loro caccia è uno sport. È giusto innovare, ma non snaturare.